IL RITIRO SOCIALE: IL FENOMENO DEGLI HIKIKOMORI

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Dr. Daniele Bosco Psicologo, Psicoterapeuta

Si utilizza il termine Hikikomori per descrivere quelle persone, soprattutto giovani, che ad un certo punto della loro vita decidono di ritirarsi dalle attività sociali per isolarsi nella propria casa o camera da letto.

Il termine proviene da un’espressione giapponese dove il fenomeno risultava già particolarmente importante negli anni ’90 e significa “stare indietro, ritirarsi”. Inizialmente si pensava che fosse esclusivamente un problema culturale nipponico ma, con l’aumento dei casi anche in Europa, Cina e negli Stati Uniti, si tende a pensare che questo sia correlato ad i paesi più sviluppati.

Normalmente i soggetti che decidono di ritirarsi dalla vita sociale iniziano con il trascorrere molte ore in camera da letto a leggere, navigare su internet o chattare, giocare con i videogiochi e guardare la TV. Queste attività vengono svolte inizialmente di notte per poi consolidarsi quando il soggetto comincia ad utilizzare il giorno per il riposo/sonno.

Non dobbiamo pensare agli hikikomori come persone disadattate e con un livello intellettivo basso anzi, sono persone molto intelligenti e curiose e spesso provengono da famiglie con estrazione sociale medio-alta, infatti riescono tranquillamente a raggiungere gli obiettivi scolastici. Le problematiche arrivano successivamente quando il soggetto decide il ritiro ed esso inizia a prolungarsi nel tempo.

I SINTOMI

I segnali possono essere diversi:

  • Permanenza prolungata in ambiente domestico;
  • Mancanza o allontanamento di rapporti amicali;
  • Distacco o assenza di comunicazione con la famiglia;
  • Permanenza davanti al computer o TV per molte ore;
  • Svogliatezza per le attività che richiedono di uscire (praticare sport, frequentare amici, parrocchia, associazioni, ecc.).

Parliamo quindi di sindrome hikikomori quando siamo in presenza di ritiro sociale per un lungo periodo (rifiuto delle amicizie, di praticare attività ludiche come lo sport, trasferimento dalla vita reale alla vita “virtuale”), ritiro scolastico, ritiro da attività lavorative, rovesciamento dei ritmi circadiani e l’instaurarsi di relazioni esclusive attraverso chat e social network.

La conseguenza dei comportamenti sopra citati perseverati per lungo tempo possono provocare anche l’insorgere di diversi disturbi psichici come depressione, paranoia, disturbi ossessivo compulsivi, agorafobia ed apatia.

LE CAUSE

Tra i fattori scatenanti che provocano questa condotta troviamo quelli sociali, come la difficoltà a stringere relazioni, insicurezza, perdita dell’impegno, vergogna, scarsità di motivazioni; familiari, come le pressioni per il raggiungimento di più elevati livelli di istruzione, difficoltà di relazioni, padre assente, madre iperprotettiva; scolastiche, come il bullismo, sollecitazioni alla competizione, fallimento negli esami, rifiuto della scuola (uno dei primi campanelli d'allarme dell'hikikomori) e quelle individuali legate soprattutto a problemi psicologici.

Ciò porta ad una crescente difficoltà del ragazzo nell’affrontare la vita quotidiana che si trasforma poi in vero e proprio rifiuto della stessa. Spesso i genitori diventano complici inconsapevoli di questo disagio sia perché inizialmente un figlio a casa “crea meno preoccupazioni” rispetto allo “star fuori” che invece, nella giusta misura, rinforza l’identità, sia perché, ad uno stadio avanzato, la condivisione dell’isolamento diventa quasi un’accettazione della stessa per cui ad esempio si ritrovano a non partecipare con il proprio figlio neanche alla consumazione dei pasti.

IL TRATTAMENTO

Il trattamento psicologico dell’adolescente che presenta i primi sintomi di isolamento (inizia a non uscire molto, rifiuta gli amici, trascorre molte ore davanti al computer ed inizia ad essere svogliato nell’andare a scuola) è fondamentale. La psicoterapia o meglio lo psicoterapeuta può aiutare il ragazzo a risolvere i primi problemi che in futuro potrebbero diventare di più difficile gestione.

Ma come spesso accade, sia perché i genitori fanno fatica ad accettare il problema sia perché “è un periodo ma passerà” viene richiesto il trattamento solo quando i primi sintomi si sono consolidati. Da non trascurare sono anche le famiglie che spesso si sentono più tranquille con i figli a casa piuttosto che fuori, rinforzano inconsapevolmente la socialità online ed inibendo la naturale autonomia dalla famiglia.

L’intervento quindi per i casi più gravi è quello domiciliare dove il terapeuta avrà l’obiettivo di ottenere il consenso per stare con lui nella sua stanza ed entrare in contatto con il suo mondo. Successivamente si potrà iniziare con delle piccole uscite e la graduale riabilitazione nella società. Contemporaneamente il lavoro psicologico sarà svolto sulle cause che hanno portato all’insorgenza del sintomo.

Oltre ai professionisti del settore ci sono anche numerose associazioni che possono fornire informazioni ed un primo aiuto alle famiglie che ne facciano richiesta.

BIBLIOGRAFIA

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Ricci C. 2010, Hikikomori. Narrazione da una porta chiusa. Aracne, Roma

Ricci C. 2008, Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Franco Angeli, Milano.

Sagliocco G., 2011, Hikikomori e adolescenza. Fenomenologia dell'autoreclusione. Mimesis

Spiniello R., Piotti A., Comazzi D., 2015. Il corpo in una stanza. Adolescenti ritirati che vivono di computer. Franco Angeli, Milano

http://www.centro-hikikomori.it/

http://www.hikikomoriitalia.it/

https://it.wikipedia.org/wiki/Hikikomori#Bibliografia

Data pubblicazione: 03 aprile 2018

Autore

daniele.bosco
Dr. Daniele Bosco Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2006 presso Università degli studi di Torino.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Piemonte tesserino n° 6235.

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