Psicoterapia

Salve gentili dottori, sono una ragazza di 21 anni e scrivo per cercare di iniziare a sciogliere un nodo piuttosto ingombrante e un qualsiasi suggerimento da Voi esperti.
Sto seguendo un percorso di psicoterapia da un anno e mezzo. E' cominciato per mia iniziativa, nel tentativo di tirarmi fuori da uno stato di grande tristezza e perenne sensazione di essere sbagliata, di non valere nulla e di non essere degna di stare al mondo, incapace di partecipare alla vita. Quel senso di sconforto profondo è rimasto in sordina a partire dai sedici anni, per poi uscire prepotentemente e violentemente alla fine del liceo, dopo la maturità, portandomi a desiderare intensamente la morte. Avevo rovinato e distrutto tutto: passioni, sogni, desideri, interessi, amicizie, piaceri, legami familiari. E' stato strano ma meraviglioso accorgersi di quanto mi fossi addestrata all'infelicità e poi scoprire che si può essere felici, che il benessere e la soddisfazione esistono. Oggi posso ritenermi soddisfatta ed entusiasta nell'affrontare la vita, fatiche e dolori compresi. Non credo sarebbe stato possibile senza l'aiuto della psicoterapeuta (psicanalista).
Tuttavia da qualche tempo non ho voglia di andare in seduta, non ho voglia di vedere la dott.ssa anche se lei è sempre stata eccellente nel suo lavoro con me e non mi ha mai dato modo di ricredermi sul percorso intrapreso. Lei è impeccabile, seria ed affidabile, competente, professionale, attenta, accogliente, empatica. Ha un notevole successo, è impegnata in tantissime attività e iniziative importanti.
Credo lei rappresenti l'idea di perfezione dalla quale sto cercando di allontanarmi. Uscire da quella stanza oggi mi fa soffrire, talvolta anche arrabbiare. E' un ottimo esempio per me ma credo che a questo punto mi condizioni troppo. Inoltre temo molto il suo giudizio, nonostante anche su questo punto è preparata. Faccio fatica a parlarle di me in totale libertà, apertura e sincerità, non riesco ad espormi e lasciar andare il pensiero in sua presenza. In questi giorni sono un po' confusa, sarà la stanchezza dopo la sessione d'esami all'università, ma ho dubbi e sensazioni sfumate non molto piacevoli sulle quali potrei ragionare con la dott.ssa. Nonostante ne sia consapevole scappo e rimando la seduta, aspettando di sentirmi magicamente meglio. Forse ci sono questioni che chiedono di essere affrontate e il rimandare l'appuntamento sarebbe un tentativo di evitarle. Ma non ho proprio voglia di parlarne con la dott.ssa ...Che succede?
Forse sarebbe la via consigliata ma al momento per me è impensabile parlare a lei di queste cose. Che si fa?
Grazie.
[#1]
Dr.ssa Giovanna Costanza Psicologo, Psicoterapeuta 14 1
Carissima, durante una lunga terapia capita di attraversare questi momenti, che possono avere varie cause: resistenze al cambiamento, consapevolezza che visti i molti risultati ottenuti gradualmente la terapia volgerà alla fine, quindi angoscia di separazione, ambivalenza verso il terapeuta, competizioni e conflitti associati ad altri contesti di vita che in terapia si riattivano con il terapeuta, bisogno di autonomia ecc...
Io le consiglio cercare di parlare schiettamente con la sua terapeuta di questi sentimenti, perchè di solito emergono proprio nelle fasi più importanti della terapia, quando si è molto vicini alla risoluzione di nuclei importanti, affrontarli insieme potrà segnare un momento molto importante di evoluzione della terapia.

Cordialmente.

Dr.ssa Costanza Giovanna