Concedersi la creatività

La creatività non è una caratteristica di pochi individui, ma una dote potenziale di tutti gli esseri umani - Donald Winnicott

La creatività non è una caratteristica di pochi individui, ma una dote potenziale di tutti gli esseri umani.

Donald Winnicott

 

Cosa vuol dire essere creativi?

È creativo chiunque riesca a vedere la realtà che lo circonda da un punto di vista diverso dagli altri creando delle connessioni tra elementi mai pensate. Questa insolita visione consentirebbe di generare un prodotto che risolve un problema comune in un modo singolare. Guildford parla di pensiero divergentequale capacità di produrre una gamma di possibili soluzioni per un dato problema, in particolare per un problema che non preveda un 'unica risposta corretta. 

 

Si nasce creativi o lo si diventa?

Per riuscire a vedere la realtà da prospettive diverse bisogna essere cresciuti con la grande libertà di poter sbagliare, l'idea che qualsiasi pensiero fatto sia giusto senza tabù e costrizioni mentali.

Per concedersi il diritto di essere creativo una persona deve aver sviluppato:

  • una forte sicurezza in se stesso, quella fiducia in quello che pensa che la rende libera di esprimersi senza paura di sbagliare;
  • uno spazio mentale intimo nel quale può viaggiare con la fantasia;
  • la percezione che il mondo esterno sia una fonte di sapere e la curiosità che ne deriva con la conseguente voglia di esporsi senza la paura di essere deriso, non compreso, isolato;
  • la comprensione di non essere solo al mondo e del vantaggio del confronto con gli altri quali fonte di arricchimento

 

Quando una persona sviluppa queste caratteristiche?

Ogni individuo dovrebbe sperimentare come prima esperienza un senso di onnipotenza dato dalla capacità delle figure di attaccamento di rispondere prontamente alle sue richieste (Winnicott parlerebbe di madre sufficientemente buona).

Il neonato non comprende ancora la differenziazione tra interno ed esterno e introietta l'idea di essere il fautore unico di quello che avviene intorno a sé.

Se ha fame piange e arriva il latte, non sa che è la madre a comprendere le sue esigenze e si attribuisce il merito di aver creato quello di cui aveva bisogno.

Con il tempo il bambino inizia a differenziare la madre da sé, sia perché si accorge che lei non è sempre presente quando ne ha bisogno sia perché nota di non essere il suo unico interlocutore, ma che c'è anche papà quale persona amata dalla mamma. È con la triangolazione che finisce il periodo di fusione e onnipotenza e inizia la differenziazione interno/esterno, il bambino si accorge del fatto che la realtà è esterna a sé ed ha le sue regole che non sempre gli piacciono.

Questo passaggio è fondamentale perché crea nel bambino l'idea che ci siano dei limiti e che si deve confrontare con questi.

La scoperta della realtà esterna comunque è qualcosa di straordinario per il bambino e se viene incoraggiata la sua curiosità sarà fonte di conoscenza e di ispirazione anche per gli anni futuri (un bambino che riesce a sperimentare la curiosità da piccolo riuscirà a riprendere questa sua modalità anche da adulto). 

 

Come si incoraggia la curiosità in un bambino?

Le quattro esperienze che il bambino dovrebbe vivere o sperimentare in minor quantità sono: paure non risolte verso il mondo esterno, esperienze di violenza subita o anche solo assistita, sfiducia in quello che pensa, tabù.

L'educazione non dovrebbe essere costrittiva e minacciante usando le sue paure per renderlo più mansueto (il concetto di educato come ammaestrato, per intenderci).

Bisognerebbe renderlo libero fin da piccolo, pur insegnandogli a rispettare ciò che lo circonda e le opinioni diverse. 

Insegnare che non bisogna aver paura della diversità perché potrà essere un valore aggiunto, lo aiuterà a non chiudersi nelle idee conformistiche e a non sentirsi strano nell'eventualità la pensasse in modo diverso dalla massa. 

Inoltre perché una persona non impari a mettersi sulla difensiva quando deve avere a che fare con la realtà esterna deve avere fiducia nel fatto che anche se succedesse qualcosa di male saprebbe affrontarlo ma questo risulta difficile da fare se già tra le quattro mura di casa vive situazioni di violenza e fonti di stress che lo portano alla percezione di sè come impotente. 

Ultimo punto: con i bambini bisognerebbe cercare di parlare di tutto, con i modi adeguati alla loro età ma senza creare vuoti nella loro ricerca sulla verità della vita. Solo incoraggiandoli a riflettere e trattandoli come piccoli esploratori si potrà garantire loro la libertà di conoscere e di rapportarsi con curiosità alla vita.

 

Una persona che non è cresciuta così può sviluppare un'intelligenza creativa?

Non è mai tardi per aprirsi al mondo, agli altri, alla vita. Sarà più difficile andare contro degli insegnamenti sedimentati dentro di sè ma imparare a conoscere i propri limiti è già il primo passo verso un approccio più curioso, si parte da sé stessi per poi ampliare i propri orizzonti. Tenere allenata la riflessione è già un ottimo esercizio, riflettendo su ciò che accade si avrà voglia di approfondire degli argomenti e l'approfondimento a sua volta creerà nuovi interessi da sviluppare. Più si amplia la sete di conoscenza più aumentano i cassettini del sapere che apriremo quando tenteremo di risolvere un problema. Un'altra grande risorsa? Gli altri e le loro opinioni diverse, se solo li ascoltassimo senza sentirci attaccati e senza cercare di convincerli che le nostre idee sono migliori delle loro.

 

La creatività è tale se è utile e riconosciuta dagli altri?

 

Come scriveva John Donne, "nessun uomo è un'isola, Intero in sé stesso", da quando nasciamo gli altri sono lo specchio nel quale ci rivediamo, attraverso le loro reazioni ai nostri comportamenti ci facciamo un'idea su di noi.

Gli altri sono la nostra risorsa e il nostro limite: non sempre hanno le stesse nostre opinioni quindi da un lato ascoltare le loro amplia le nostre vedute se siamo capaci di trarne beneficio, dall'altra limitano il nostro senso di onnipotenza. In ogni atto, anche in quello creativo, c'è un interlocutore e ci deve essere anche lo sforzo di farsi comprendere nella comunicazione.

Come quando il bambino differenzia la sua realtà interna da quella esterna e per comunicare non si affida più alle interpretazioni dei suoi genitori ma impara il loro linguaggio per farsi comprendere e per comunicare con loro.

 

Bibliografia

  • Donald W. Winnicott "Gioco e realtà" Armando Editore 2006
  • John Donne "The Major Works" 2000 

 

Data pubblicazione: 01 luglio 2014

Autore

r.buccafusca
Dr.ssa Rosaria Buccafusca Psicologo

Laureata in Psicologia nel 2012 presso Seconda Università degli studi di Napoli.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Campania tesserino n° 5832.

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