Come si calcola il rischio reale per il tumore al seno
morta !
Io ci sono
Buongiorno blog!
Un abbraccio
Stavo pensando una cosa in questi giorni
Spero di non essere fraintesa.
L'iniziativa sono bellissime solo mi piacerebbe che non finissero qui.
Nel senso che dopo questo periodo di lettere /cartoline /attenzioni poi verranno lasciati soli. Questo mi dispiacerebbe un pò tanto.
Mi piacerebbe che riuscissimo ad essere presenti e aggiornate sulla vita della piccola Marmottina, e che ogni tanto (io lo farò) mandiamo una cartolina anche solo per un saluto. Come il Io ci sono. Ma
Non so se sono troppo sognatrice.
Ma sono due anni che seguo il blog, non presente nello scrivere ma ci sono, e Rebecca e tutti i piccoli del blog sono di famiglia.
E anche voi.

Ma almeno l'hai riportato indietro?
Volevo complimentarmi con tutte per avere già fatto.. io . modello bradipo farò nei prossimi giorni..
Dott. Salvo io vorrei sapere se ora va tutto bene.. la sua coniglietta Stefania? le avevo mandato un mess per Pasqua , non mi ha risposto ma non mi sono preoccupata pensavo che avesse perso il mio augurio , ora che mi dice così spero non sia successo niente a Stefania.
Ci faccia sapere!!
Buon pomeriggio ragazze e Dott.Catania sono appena tornata da lavoro sono stancama esco per andare a trovare i miei genitori e poi mi faccio un pochino di tapis roulant magari mi riprendo
Ciao Dany73 , benvenuta!!!
anche io penso la stessa cosa, mi spiacerebbe perdere di vista Rebecca.
mi piacerebbe sapere anche della bimba di Venus.
ora vi lancio il mio capitolo .. dovrebbe essere il sedicesimo.
Anche a questo capitolo sono molto legata perchè è uno scritto che avevo richiesto al mio chirurgo che tormentavo in quel periodo.
volevo soprattutto capire perchè mi ero così legata a lui, perchè era diventata, senza averlo mai conosciuto realmente una persona così importante per me.
soprattutto volevo che non si dimenticasse mai di me.. e credo di essere riuscita nell'obiettivo
soprattutto volevo capire come mai mia mamma che pure aveva subito una mastectomia radicale senza ricostruzione lo stesso era "innamorata" del suo chirurgo e il chirurgo .. che cosa prova per le pazienti?
E tu Leonardo?
Inosmma.. che periodo...
CAPITOLO SEDICESIMO di "La mia storia. La storia di una rfs"
IL MIO SCOMODO RAPPORTO CON LE DONNE
Ho deciso di fare il medico sin da bambino; il dottore del mio paese allora mi ispezionava la gola sgarbatamente con il freddo manico di un cucchiaio, incurante di indurmi conati di vomito. Sentivo la sua anima ancor più gelida e aliena del metallo che mi cacciava sulle tonsille. Era impaziente, emotivamente distante e frettoloso di lasciare al più presto la povera casa disadorna in cui vivevamo e per la quale pareva anche un po' schifato. Allora scattò dentro di me la sfida: sarà possibile fare il medico dispiacendo un po' meno ai malati?
Non fu facile il mio corso degli studi: figlio di contadini, all'università non mi fu mai regalato niente, diversamente da molti annoiati figli di medici o della borghesia cittadina. I miei esami erano impietosamente autentici. Orfano di padre a sedici anni, marito e padre a ventuno, dovevo mantenermi agli studi facendo decine di piccoli lavori stagionali. Non ho mai conosciuto la noia, così come non ho mai invidiato nessuno. Nonostante le difficoltà mi ritengo un uomo fortunato: la mia buona sorte tuttavia ha sempre richiesto impegno e perseveranza. Strade da percorrere, ma mai spianate, eppure ciascuna tribolazione, poiché non mi ha disarcionato, mi ha regalato qualcosa nell'esperienza. Devo ringraziare molte delle persone che hanno accompagnato il mio percorso. Non ho mai veramente odiato, ma solo disprezzato, chi mi ha ostacolato per ottusa invidia o malanimo.
Ritengo di essere epidermicamente antipatico, sincero fino all'indelicatezza, impulsivo, pignolo e affidabile, vanitoso e insieme realisticamente autocritico, generoso ma esigente, ruvido e talvolta dolce, spigoloso ma anche romantico, deciso e insieme timido, socievole solo a tratti, onesto ma poco tollerante, mai rancoroso, spesso impaziente; curioso di tutte le cose, abitudinario ma a tratti trasgressivo, fantasioso ma non creativo, sempre incantato dalla natura. Insomma uno strano impasto, molto disomogeneo, di non facile gestione.
Ho scelto di fare il chirurgo perché l'abilità manuale, artigianale dell'uomo mi ha sempre affascinato. Non sono adatto alla pura sintesi teorica del lavoro di concetto. Cervello e mano costituiscono un binomio inscindibile e meraviglioso che alle nuove generazioni raccomando di continuare ad esercitare. Credo che oggi il mondo virtuale possa a tal punto invadere la nostra vita da atrofizzare le capacità tattili. Riscontro che la sostituzione di molte abilità manuali umane da parte dei dispositivi meccanici abbia un prezzo molto alto in termini di perdita sensoriale. Credo, o forse mi illudo, che anche nel futuro saranno ancora necessarie determinate capacità manipolatorie e mi affascinano sempre i numerosi schizzi preparatori che gli artisti di ogni epoca hanno dedicato allo studio delle movenze della mano.
Ho deciso di fare il chirurgo dedicato a trattare una malattia delle donne perché il mio rapporto col mondo femminile non è mai stato semplice (Fromm dice che ciò che è facilmente raggiungibile non può dare soddisfazione durevole). In gioventù l'aver a che fare con le donne mi scatenava tale timidezza da avvamparmi di rossore; tuttavia questo non mi ha trattenuto dall'esplorare questo pianeta. La curiosità ha prevalso, proprio perché si tratta di una realtà che non ho mai completamente compreso, mai totalmente svelato e, come per un gioco di scatole cinesi, l'interesse non è stato offuscato dalla noia. A volte mi serve una boccata d'ossigeno, altre volte ho bisogno di una frase di sfogo scurrile masticata fra i denti fuori dallo sguardo delle interessate, ma quando il tormento della presenza femminile è assente, fatalmente mi manca. Universo femminile, un labirinto di stupore disseminato di specchi deformanti in cui ci si può perdere, si può gioire sino al sublime, oppure anche scoraggiarsi ed irritarsi; vale comunque sempre la pena, soprattutto se ci si fa contaminare, riuscendo però a rimanere "altro" rispetto ad una donna.
Forse è meglio che non nasconda un pizzico di maschilismo; non un senso di superiorità, ma il mantenimento di un costante denominatore fermamente ancorato alle diversità di genere. Tuttora sono deluso quando vedo donne che interpretano l'emancipazione come imitazione dei peggiori difetti atavici dell'uomo (donne-soldato; arrampicatrici sociali aggressive; donne che praticano sport violenti ...). Invece penso che l'emancipazione femminile dovrebbe ispirarsi all'attuazione nella società di quelle prerogative che nascono dalla radice più autentica dell'essere donna. Se alla fine della sua evoluzione il genere femminile sarà distinguibile solo per alcuni dettagli anatomici nascosti, non sarà stato un progresso!
Spesso mi sono chiesto se il miglior medico per le malattie femminili non dovesse essere proprio una donna (sembrerebbe più che ovvio), ma altrettanto frequentemente ho riscontrato una sorprendente mancanza di delicata solidarietà e di complicità proprio fra una dottoressa ed una malata. Non capisco quale meccanismo avverso possa scattare in tali frangenti, tuttavia sono giunto alla conclusione che nel mio mestiere la differenza di genere fra professionista e paziente non rappresenta un ostacolo ma, al contrario, un potenziale vantaggio: coinvolgimento, empatia e vicinanza sono indispensabili, ma poi le decisioni, le operazioni, richiedono di recuperare prontamente una condizione di "altro dalla paziente".
Credo che il tumore della mammella molte volte rappresenti lo scomodo prodotto finale di una ferita nell'affettività femminile determinatasi in precedenza. In molti casi è agevole riscontrare un chiaro episodio recente lesivo dell'equilibrio sentimentale come una separazione o un lutto, altre volte sembra di percepire una profonda e protratta insoddisfazione per la propria vita sentimentale. Nelle donne moderne, che vivono prevalentemente all'esterno della casa, si coglie non di rado un senso di colpa che è cresciuto minacciosamente mentre è venuto il tempo dei bilanci: la donna avverte talora la mancanza di un partner adeguato al suo sopravvenuto bisogno di stabilità, mentre altre volte sente che la vita col proprio partner è divenuta soffocante e limitativa. Due situazioni solo in apparenza opposte, accomunate invece da una profonda percezione privativa. Così anche un tardivo slancio verso la maternità può risultare concretamente frustrato dopo decenni di rinvii dovuti all'impegno lavorativo o al desiderio di libertà; ma può darsi anche che una madre ritenga di aver trascurato il rapporto con i propri figli, assorbita dai mille impegni ritenuti prioritari fino a poco tempo prima e senta di essere punita per questo dalla distanza che i figli le dimostrano. Diciamo che le donne emancipate corrono il rischio di vedersi logorate dal loro modello di esistenza, quando non anche soppiantate dai supposti valori su cui hanno investito durante la giovinezza. Talvolta il lavoro le ha deluse dopo aver loro succhiato le energie migliori, talaltra una vita improntata all'autonomia assoluta e all'edonismo comincia ad avere il sapore della solitudine.
Quando sull'inquietudine un po' convulsa della routine si abbatte la notizia di avere un tumore della mammella, può accadere che si senta imminente il finire del proprio tempo, prive di difese, completamente impreparate. Un senso, sia esso manifesto o represso, di disgregazione della propria identità pervade la donna che tende ad ingigantire le prospettive negative derivanti dalla malattia, sorpresa ed arrabbiata come un ladro colto con la refurtiva in mano. Le reazioni, filtrate attraverso la personalità individuale, potranno essere disparate e complesse: vari miscugli di incredulità, rancore senso di colpa, costernazione, passività, rimozione e dissimulazione, preoccupazione proiettata sui propri cari, frastornazione, apatia, regressione infantile, rifiuto alla collaborazione, angoscia, depressione e fuga, assurdo appello ai propri impegni, anche i più futili, a cui tentare di ormeggiare la propria barca in preda a improvvisa tempesta. E' un processo di interiorizzazione e di ricerca della consapevolezza assai delicato che ha durata variabile ed esito non scontato.
E' questo il momento cruciale in cui il chirurgo solitamente è chiamato a giocare gran parte delle sue possibilità di interagire favorevolmente con la donna, ipotecando la riuscita di tutte le successive fasi di cura. Parte da questo momento un cammino che potrà riconsegnare la donna, al di là delle crude aspettative di una stabile guarigione, ad un'esistenza largamente sgombra (anche se mai più completamente) di ombre. Ora il chirurgo deve tuffarsi in una corrente vorticosa da cui potrà far raggiungere alla donna un approdo sereno, oppure non riuscire a vederla riemergere, rischiando così di sentir vacillare anche la sua stessa capacità di curare.
Non posso suggerire per questa circostanza una ricetta buona per tutte le pazienti e non credo che ne esistano. Con una mente aperta occorre fare appello a tutte le proprie risorse di pazienza nell'ascolto, dolcezza, ma insieme franchezza nella comunicazione (alcuni ancora credono che si possa ottenere fiducia attraverso pietose bugie!), disponibilità a concedere un tempo non limitato, elasticità, quasi una capacità di recitazione (non finzione, ma sincera adattabilità) per assumere espressioni ed atteggiamenti estremamente duttili, a misura di ciascuna nuova donna che ci siederà di fronte. Prendersi cura significa anche scardinare le proprie certezze di fronte alla malata, fare fatica, sentire angustia per la sua tribolazione, fino a che si riuscirà ad avere cura dell'anima curando il corpo: la cosa più difficile.
Insieme serve fermezza per non subire condizionamenti dai tentativi di depistaggio che non di rado la donna mette in atto. D'altronde è noto che un colloquio con un medico che trasmette incertezza è quanto di peggio possa capitare a chi si trova ad aver perso la propria certezza. La paziente è quasi sempre in grado di percepire la professionalità, la cordialità, l'effettiva partecipazione ai suoi problemi o uno sgradevole atteggiamento paternalistico.
Bisogna costruire quanto prima un ponte con la parte più intima della personalità della donna parlando di altri argomenti non connessi con la malattia; questa è una premessa fondamentale perché si stabilisca la cosiddetta alleanza terapeutica. Sento spesso l'utilità di toccare la donna, di avvicinarmi fisicamente perché lei possa esorcizzare al più presto il comprensibile concetto di cura violenta che associa alla mia presenza.
Con talune che tendono a drammatizzare in modo persino grottesco, anche una battuta umoristica può aiutare a spezzare un clima inutilmente irrespirabile. Una volta entrato in una certa confidenza, può succedere che riesca, senza offenderla, a zittire una paziente logorroica. Chiederle qualcosa circa i suoi nipoti è la miglior medicina quando parliamo con una nonna.
La flessibilità nel linguaggio del chirurgo deve essere tale da poter esaurientemente spiegare la situazione ad ogni paziente, quale che sia il suo livello culturale o il suo grado di comprensione. La paziente, prima di cercare un rimedio per la malattia, cerca un senso alla malattia e cerca di non perdervi la propria dignità. La donna ha l'esigenza di poter identificare nel chirurgo un punto di riferimento al quale, ancora dopo mesi ed anni dall'intervento chiederà di svolgere un ruolo unificante nei confronti della frammentarietà delle cure e delle evenienze collegate alla trascorsa malattia. Talvolta egli resta un consulente permanente cui rivolgersi anche per vicende non strettamente sanitarie.
Per nessun motivo uso un linguaggio tecnico con la donna e introduco spesso paragoni e metafore per divulgare concetti astratti. Qualche schizzo (mi perdoneranno la scadente vena artistica), qualche parola nel dialetto delle nostre terre, mi soccorrono e mi avvicinano più agevolmente ad alcune pazienti. Che ogni donna, secondo le sue possibilità, abbia compreso la sua situazione è per me un punto irrinunciabile; troppi colleghi non si sono mai dotati di un filtro mentale che permetta loro di accorgersi dell'incomprensibilità di ciò che stanno spiegando al paziente (occhi sgranati, mancanza di partecipazione nel dialogo, reticenza nelle risposte).
Serve un approccio diverso per ciascuna donna, come serve una chiave diversa per ogni porta. Bisogna assolutamente entrare .... Ma senza scardinare la serratura.
Quando mi propongo di aiutare una donna in difficoltà cerco di essere un suo pari sul piano umano, però esperto per quello che a lei serve in quel momento. So di essere fragile e per questo la creazione di un rapporto umanizzato può innescare una serie di problematiche che riguardano la mia persona, a cominciare da un eccessivo senso di responsabilità, quasi di colpa.
Quello che ho fatto nella vita non è mai stato indenne da un vorticoso flusso di passioni, forse qui sta il mio segreto ed il mio limite.
LEONARDO CATTELANI
Grazie DaDa per il ben venuto, purtroppo o fatto tutti gli altri esami , la biopsia, ed il risultato purtroppo e di calcinoma filtrante alto grado di malignità G3, mi anno chiamato dall'ospedale per darmi la notizia proprio mercoledì, ed mi anno detto che devo fare la tac Total body che lo prenotata per il giorno 26di questo mese, e la scintigrafia ossea con mezzo di contrasto lo fatta ieri la risposta me la danno martedì/mercoledì,
L'ospedale mi a fatto parlare con l'oncologo ed mi a spiegato che dovrò fare un lungo percorso purtroppo, devo fare le chemio poi mi operano e poi continuare di nuovo con le chemio, sto per la verità confusa e piena di paure, avrei tante domande da fare ma non vorrei che risultassi fastidiosa , ma la paura e tanta,e mi faccio tante domande tra cui le probabilità che vada bene , oppure la percentuale di vita, vi chiedo di nuovo scusa se o scritto tanto ,e ringrazio in anticipo per la risposta,
Un ultima cosa prima o postato la domanda che ho fatto una ventina di giorni fa al senologo perché solo ora o visto che mi aveva risposto e che aveva inserito il link per fare parte di questo gruppo per altre spiegazioni ,buona serata a tutti
Ciao come ti chiami? e' assolutamente normale sentirsi così.
Anche io 8 anni fa feci questo percorso a sandwich.. chemio poi operazione, poi di nuovo chemio. Sono ancora qua
Non so se sono troppo sognatrice.
Ma sono due anni che seguo il blog, non presente nello scrivere ma ci sono, e Rebecca e tutti i piccoli del blog sono di famiglia.
E anche voi.
Un bellissimo pensiero, io ci sto e ci sono! ❤️ ❤️ ❤️
Ma non ci credo!?!?
Assurdo!!!
Sei fantastica!

Ma un kiletto di cazzi tuoi , no??!!!

Sei stata davvero carina ed il Nonnino, seppur sorpreso di cotanta gentilezza, non ha lesinato 2 passi a braccetto con te!

Ti voglio bene!

Dany73
Anch'io me lo domando...i problemi arrivano dopo.La consapevolezza pure.Rebyla vorremmo tutte "adottare"

Sentiamo il Dottore se ha qualche consiglio
Io non credo che verranno lasciati soli anche dopo!
Da parte mia non mancherà occasione per un pensiero per un biglietto per il compleanno sarà come avere una nipotina a distanza