Trattamenti farmacologici psichiatrici: i falsi miti

francescosaverioruggiero
Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta

Molto spesso, sia i medici che i pazienti si avvicinano ai trattamenti psichiatrici come a terapie che possono essere pericolose e minare l’integrità psicofisica del paziente.

Queste paure non sono altro che l’espressione delle comunicazioni errate che vengono imposte dai mezzi di comunicazione e di coloro che hanno poca dimestichezza con tali trattamenti.
E' infatti molto comune che i pazienti che si avvicinano, per la prima volta, o anche successivamente, ad un trattamento psichiatrico, esprimano alcuni punti fermi che riguardano la “volontà di farcela da soli” e il “desiderio di non diventare dipendente dai farmaci”.

Questo accade, sia perché vengono spinti da altri “esperti” del settore a non assumere psicofarmaci sia perché l’ambiente circostante cerca di indurre un comportamento differente verso l’assunzione degli psicofarmaci.
L’unica vera dipendenza alla quale bisogna stare attenti è quella verso le benzodiazepine che comportano assuefazione e dipendenza nell’utilizzo a lungo termine.
Infatti, le benzodiazepine sono farmaci di uso molto comune.

Vengono erroneamente utilizzate per il trattamento dei momenti acuti di crisi in quanto riducono notevolmente gli stati di agitazione in un tempo piuttosto breve, inducendo in chi le usa la falsa aspettativa che quel farmaco potrà essere utile sempre allo stesso modo, non sapendo che, invece, inizia a creare una dipendenza che poi difficilmente potrà essere risolta in tempi brevi.

Gli altri psicofarmaci, invece, non creano alcuna dipendenza ma riequilibrano alcuni neurotrasmettitori di cui il cervello è carente nel momento in cui si presentano i sintomi.
Il riequilibrio di queste sostanze consente di migliorare alcuni aspetti della propria vita e di acquisire nel tempo nuove modalità di interazione con l’ambiente.

L’altra considerazione da valutare è quella della volontà di “farcela da soli”.
Spesso infatti l’utilizzo di psicofarmaci viene interpretato come una debolezza personale, come se un iperteso volesse abbassarsi la pressione con il pensiero, un diabetico insulino-dipendente volesse mantenere la glicemia bassa, pur non producendo insulina, attraverso metodiche non corrispondenti alla medicina ufficiale.
Le patologie psichiatriche sono patologie alla pari delle altre e per questo motivo necessitano di trattamenti specifici che possono riportare alla normalità numerose condizioni patologiche.

In realtà non vi è alcuna debolezza nell’assumere psicofarmaci, ma, al contrario, si apre la strada per un'accettazione e consapevolezza verso una patologia.
Il desiderio di voler risolvere la problematica presente senza l’ausilio di psicofarmaci e, comunque, senza il supporto di un esperto del settore, non porta altro che alla cronicizzazione del problema ed al peggioramento della sintomatologia.

Spesso, viene anche trasmesso il messaggio secondo il quale i pazienti che sono in trattamento con una psicoterapia non possono assumere psicofarmaci, per i più svariati motivi; non ultima la mancanza di introiezione dovuta agli psicofarmaci.
In realtà, tali trattamenti possono perfettamente essere combinati tra di essi e, molto spesso, l’utilizzo degli psicofarmaci, può ridurre considerevolmente la sintomatologia e consentire un migliore approccio psicoterapeutico che, diversamente, potrebbe essere messo in discussione da possibili continue ricadute nella sintomatologia per la quale si è in trattamento.

Gli effetti collaterali sono spesso un fenomeno lamentato dai pazienti, tanto che inducono in errore il medico prescrittore facendo ridurre la dose di farmaco o riducendola da soli.

La riduzione della dose, al di sotto della dose minima terapeutica accertata dagli studi clinici, è responsabile di una maggiore incidenza di effetti collaterali con tutte le conseguenze che comporta.
E' utile che il paziente con patologia psichiatrica si affidi allo psichiatra seguendone le indicazioni in modo preciso ed effettuando controlli periodici, che all’inizio del trattamento sono a breve termine e, successivamente, divengono più sporadici.

Le linee guida internazionali indicano una migliore risposta ed una riduzione delle ricadute per i pazienti che hanno assunto un trattamento psichiatrico da un minimo di sei mesi fino a due anni.
Sono sempre sconsigliati trattamenti al di sotto di sei mesi.

Data pubblicazione: 13 marzo 2010

Autore

francescosaverioruggiero
Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1998 presso Università Cattolica del S. Cuore - Roma.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Avellino tesserino n° 3387.

Iscriviti alla newsletter