Eventi di perdita: quando il lutto diventa “complicato”

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Dr. Gianluigi Basile Psicologo, Psicoterapeuta

A tutti prima o poi è capitato di vivere una situazione di lutto che causa sofferenza ed è difficile da superare. Si prova un intenso dolore, si è molto coinvolti emotivamente e ogni altro pensiero perde significato. Solitamente si tratta di un periodo circoscritto. Qui vedremo quali possono essere i motivi per cui la fase di lutto si prolunga eccessivamente e a quali conseguenze può portare.

 

Cos'è il lutto persistente complicato?

Pur essendo nella natura delle cose e parte inevitabile della condizione umana, affrontare la sofferenza causata dal lutto a volte lascia dei residui che se non elaborati correttamente possono portare alla presentazione di sintomi più o meno espliciti di angoscia, ansia o depressione.

Nel DSM V si parla di lutto persistente complicato quando la perdita di una persona cara causa uno struggimento quotidiano o invalidante nell'inviduo. La sofferenza reattiva alla morte è intensa ed è accompagnata da un disordine sociale rispetto alla propria identità. La diagnosi per questo disturbo non andrebbe fatta prima dei sei mesi ed i sintomi devono perdurare per la maggior parte dei giorni per un arco di tempo di almeno 12 mesi.

Dal punto di vista fenomenologico, la sintomatologia del lutto complicato consta di due gruppi:

  • sintomi relativi ad angoscia da separazione: intenso struggimento; desiderio della persona amata; emozioni dolorose; costante stato di preoccupazione legato al ricordo della persona scomparsa;

  • sintomi da stress post-traumatico: pensieri ricorrenti e intrusivi circa l’assenza della persona deceduta; senso di incredulità riguardante la morte; rabbia e amarezza; frequente tendenza all’evitamento dei ricordi associati al dolore della perdita

 

Una o piu teorie sull'elaborazione del lutto?

 

Nell’arco dell’ultimo secolo ci sono state 4 principali teorie e scuole di pensiero che si sono occupate di studiare e definire il fenomeno del lutto: la teoria psicoanalitica , la teoria biologica o interpersonale, la teoria esistenziale e quella della crisi o post-traumatica.

Nella teoria psicoanalitica di Freud ( Lutto e melaconia del 1915) la perdita dell’“oggetto” determina un processo, definito “lavoro del lutto”, attraverso il quale l’energia psichica precedentemente investita sull’oggetto d'amore viene gradualmente ritirata verso l’Io e successivamente reinvestita verso nuovi oggetti. L’assenza esterna dell’oggetto viene trasformata in presenza interna attraverso un percorso a tappe che porterà alla risoluzione del lutto.

A differenza della teoria psicoanalitica, basata essenzialmente su un approccio intrapsichico del lutto, la teoria biologica o interpersonale fa riferimento ai concetti sull'attaccamento elaborati da Bowlby. Istinto, autoconservazione post-lutto e adattamento all'ambiente rappresentano i concetti chiave. La morte rompe il legame d'intimità e vicinanaza che si era creato tra due individui e chi subisce la perdita della persona che soddisfaceva il suo bisogno di attaccamento deve ridefinire il suo sistema di valori, priorità e credenze per affrontare un radicale cambiamento degli atteggiamenti e dell’“identità”. Anche in questo caso l'elaborazione del lutto è un percorso a tappe che va da una fase di stordimento iniziale fino ad una riorganizzazione che porta alla risoluzione del lutto.

Il senso della vita, perduto a causa del lutto di una persona cara, è il concetto su cui si basa la prospettiva esistenziale del lutto di Campione. Recuperare il senso della nostra storia, lasciando alle spalle i nostri morti potrà secondo questa prospettiva aiutare a superare la “crisi” e permettere di intrecciare nuove relazioni e foriere di cambiamenti cognitivi e affettivi.

Horowitz nella sua teoria post-traumatica si riferisce al lutto come a una delle condizioni di vita più stressanti per l’individuo in quanto esso può provocare stress e disagio, sia psichico che somatico, significativo. Il processo di elaborazione del lutto consiste dunque nell’attraversare gradualmente una serie di fasi di “adattamento alla perdita” (intensa protesta, rifiuto, elaborazione e completamento).

 

 

Tutte e 4 queste teorie hanno aspetti importanti che possono essere utili per comprendere meglio e da prospettive diverse un fenomeno complesso come quello dell'elaborazione del lutto.

 

Come distinguere un lutto “normale” da un lutto “complicato”?

 

Oltre alla questione temporale citata precedentemente, ci sono altri elementi che possono aiutare a comprendere se siamo di fronte ad un normale dolore derivato da una perdita importante, oppure se si tratta di una sofferenza che è possibile evitare. Andiamo nel dettaglio.

Nel lutto “normale” esistono due fasi: la prima è quella del lutto acuto in cui la tristezza inconsolabile è il tratto manifesto più importante ed è accompagnato da crisi di pianto improvvise, difficoltà di concentrazione e disinteresse per i rapporti sociali e le attività quotidiane; la seconda, quella del lutto integrato, è caratterizzata dalla facilità con cui la persona viene ricordata nonostante la tristezza legata all'assenza. Le ferite causate dalla morte cominciano a rimarginarsi e anche se in occasione di feste anniversari o ricorrenze possono acuirsi i sentimenti dolorosi, in generale la persona mostra una capacità di resilienza maggiore ed è pronta a riprendere le proprie attività quotidiane insieme ad una vita relazionale appagante mantenendo il ricordo della persona integrato nella sua memoria. Per poter passare da una fase all'altra è necessario che l’esperienza del dolore anche inizialmente si mescoli e si alterna a sentimenti positivi, senso di sollievo, gioia, pace e serenità anche se queste sensazioni possono evocare, a loro volta, emozioni negative quali senso di colpa o di slealtà nei confronti della persona cara deceduta.

Nel lutto persistente complicato sono invece presenti sintomi di natura ossessiva che costringono l'individuo a riesperire continuamente la situazione traumatica legata alla morte della persona cara. Sentimenti di vergogna, paura e disperazione possono essere percepiti come definitivi e ineluttabili. La ripetizione del trauma può anche portare alcune persone a prolungare il cordoglio all'infinito, nella speranza inconscia che quella persona torni in vita, perchè la sua morte non è stata ancora accettata e non è accettabile. “Rifarsi una vita” diventa un'idea inconcepibile ed è visto come un tradimento verso la persona amata; possono perdurare per molto tempo attività legate al defunto, o evitamento di persone solitamente vicine, che hanno la caratteristica di essere svolte e decise in maniera automatica senza pensiero e senza comprenderne realmente il senso. A questa sofferenza possono associarsi problemi organici come, disturbi cronici del sonno, ipertensione, patologie cardiache e rischio di un incremento di sviluppo di patologie oncologiche. Se questa situazione si protrae per per troppo tempo la sofferenza diventa un pattern stabile che in ultima analisi deteriora considerevolmente il funzionamento della persona e ne peggiora la qualità della vita.

 

 

Cosa porta una persona a sviluppare un lutto persistente complicato?

Uno dei pricipali dubbi sulla diagnosi di LPC riguarda le motivazioni che hanno portato la persona a sviluppare questa sofferenza significativa oltre una soglia accettabile di dolore e di tempo. Perchè alcune persone superano il lutto e altre ne rimangono intrappolate per un lungo periodo? Da cosa può dipendere?

Non è semplice rispondere a queste domande, poiché ogni morte e perdita ha una sua specificità e rilevanza per la persona ed avviene in maniera più o meno inaspettata o tragica.

Esistono però dei fattori di rischio che facilitano l'aggravamento del quadro clinico: la percezione di non avere una rete sociale che possa supportare questi momenti, storie di abuso di droghe e alcol, precedenti patologie psichiatriche o giovane età sono solo alcuni dei principali fattori predisponenti.

Sono ancora pochi gli studi in materia ma è evidente quanto le caratteristiche di personalità e la capacità di creare un legame più o meno saldo possano impattare con un life event come questo.

Dall'esperienza clinica, si può asserire come gli individui con difficoltà ad instaurare legami improntati sugli affetti siano più soggetti ad un lutto complicato.

Il legame di attaccamento con le figure di riferimento può essere la cartina tornasole rispetto a come la persona può gestire una perdita. Uno stile di attaccamento insicuro può amplificare il disagio dovuto alla perdita e predisporre la persona al rischio di sviluppare un lutto complicato. I rapporti significativi instaurati nel corso della vita se sono caratterizzati da ansia di separazione, insicurezza o se sono improntati all'evitamento ci dicono molto delle difficoltà che gli individui potrebbero trovare nel superare perdite così importanti.

La difficoltà ad indentificare ed esprimere le emozioni, unita ad un pensiero essenzialmente concreto e rivolto verso l'esterno (Alessitimia), possono protrarre la negazione della sofferenza ben oltre il tempo necessario, ritardando l'elaborazione del lutto, facendo così permanere la sofferenza.

Altri elementi della personalità come una bassa autostima, la tendenza a provare sensi di colpa, la difficoltà ad esprimere la rabbia in maniera sana e la carenza nella capacità di immaginarsi nel futuro possono pesare sul quadro clinico generale.

 

Come risolvere la situazione?

I più autorevoli studi sulle tematiche relative al lutto complicato concordano nel riconoscere nel LPC un'entità nosografica a sé, inclusa nella nuova edizione del DSM-5 e dell’ICD-11, e da distinguere clinicamente da altri quadri di interesse psichiatrico quali la depressione maggiore e il DPTS. A livello di screening e di prevenzioni esistono degli strumenti di valutazione come il PG-13 di Prigerson che permettono di indicare la necessità o meno di un trattamento psicoterapico e farmacologico. Questi strumenti sono indicati in particolar modo per i familiari che hanno perso i propri cari in situazioni di estrema sofferenza come quelle di terapia del dolore o di cure palliative a seguito di malattie incurabili.

In generale può essere utile richiedere ad un clinico una consulenza psicologica nel momento in cui si percepisce la difficoltà nell'elaborare una perdita importante.

Sarà poi lo psicoterapeuta tramite la valutazione della situazione ad indicare la possibilità e l'opportunità di iniziare un trattamento psicoterapico (e farmacologico laddove necessario) oppure se avvalersi esclusivamente di un supporto psicologico per la fase più complicata dell'elaborazione.

 

 

Per approfondimenti

American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta editione. DSM-5. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Bowlby J. A Secure Base. London: Routledge, 1988. Tr. it. Una base sicura. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1989

De Luca M. L., Tineri M., et al. (2015) Adattamento e validazione del questionario "PG-13" prolonged grief nel contesto italiano. Rivista Italiana Cure Palliative XVII.

De Martino E. Morte e pianto rituale. Torino: Bollati Boringhieri, 1975.

Freud S. Trauer und Melancholie. Tr. it. “Lutto e Melanconia”, 1915. In: Opere. Vol. 8. Torino: Bollati Boringhieri, 1989.

Gana K, K’delant P. The effects of temperament, character, and defense mechanisms on grief severity among the elderly. J Affect Disord 2010; 128: 128-34.

Horowitz MJ, Bonanno GA, Holen A. Pathological grief diagnosis and explanation. Psychosom Med 1993; 55: 260-73.

Horowitz MJ, Stinson CH, Fridhandler B, Milbrath C, Redington D, Ewert M. Pathological grief: an intensive case study. Psychiatry 1993; 56: 356-74.

Lombardo L, Lai C, Morelli E, Bellizzi F, Ciccolini M, Penco I. Rischio di lutto complicato in familiari di pazienti oncologici in fase terminale: uno studio di screening. Rivista Italiana di Cure Palliative 2007; 4: 28-34.

 

Prigerson HG, Horowitz MJ, Jacobs SC et al. Prolonged Grief Disorder: Psychometric Validation of Criteria proposed for DSM-V and ICD-11. PloS Medicine 2009;6:1-12.

Prigerson HG, Jacobs SC. Diagnostic criteria for traumatic grief: a rationale, consensus criteria and preliminary empirical test. In: Stroebe RO, Hansson W (eds). Handbook of bereavement research: consequences, coping and care. Washington, DC: American Psychological Association Press, 2001.

Taylor, G. J., Bagby, R. M., Parker, J. D. A. (1997), I disturbi della regolazione affettiva, Fioriti, Roma 2000.

 

 

Data pubblicazione: 28 settembre 2016

Autore

g.basile
Dr. Gianluigi Basile Psicologo, Psicoterapeuta

Laureato in Psicologia nel 2008 presso Università Degli Studi Di Roma La Sapienza.
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Lazio tesserino n° 17773.

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