Cancro colorettale: perché la diagnosi arriva troppo tardi?

andreafavara
Dr. Andrea Favara Gastroenterologo, Chirurgo apparato digerente, Colonproctologo, Chirurgo generale

Il cancro colorettale è una delle neoplasie maligne più comuni, al terzo posto in assoluto nel Regno Unito, sede di una importante e recente ricerca, e la sua incidenza aumenta con l'età e nel sesso maschile. 

In Italia i dati sono sovrapponibili.

Più di 41.000 nuovi casi vengono diagnosticati ogni anno sempre nel Regno Unito, l’età media alla diagnosi è 72 anni anche se il 6% di tumori si osserva in persone di età inferiore a 40 anni.

Attualmente, i programmi di screening riescono a diagnosticare solo una minoranza dei tumori,la maggior parte vengono individuati solo dopo la comparsa di sintomi e almeno un quarto si presentano tardivamente e vengono operati d’urgenza.

Questo dati sono purtroppo impressionanti, considerato che la prognosi dipende sostanzialmente dallo stadio, ovvero dal grado di diffusione della malattia al momento della diagnosi , prognosi ottima nelle forme iniziali e progressivamente peggiore quando la malattia si diffonde e compaiono metastasi.

Un gruppo di ricercatori britannici ha cercato di capire perché così tante diagnosi vengono poste in stadi avanzati in particolar nel Regno Unito.

Il sistema sanitario britannico ha stilato delle linee guida secondo le quali alcuni sintomi ed in particolare

  • diarrea o sanguinamento rettale che persiste per sei settimane in pazienti di età superiore a 60 ann (o 40 anni se sono presenti entrambi i sintomi)
  • tumefazione addominale o rettale alla visita  
  • anemia da carenza di ferro con emoglobina inferiore a 11 g\L nell'uomo e 10 g\L nella donna

richiedono un approfondimento diagnostico urgente perché fortemente suggestivi di cancro. 

Purtroppo, nonostante si tratti di sintomi importanti, fino al 50% dei pazienti ai quali viene posta diagnosi di cancro non presenta nessuno di questi sintomi al momento della diagnosi!

Il gruppo di ricercatori ha voluto quindi approfondire le caratteristiche di questo sottogruppo di pazienti, numeroso, nei quali i sintomi tipici non sono presenti.

L’anemia ad esempio è presente in 1\3 dei pazienti con cancro ma spesso non è così marcata da soddisfare i criteri sopra elencato per costituire segno di allarme secondo le linee guida.

Sembra quindi che i valori indicati siano troppo restrittivi ed escludano un numero elevato di pazienti con neoplasia. Un innalzamento di questi valori comporterebbe l'esecuzione di un maggior numero di colonscopie ma sicuramente permetterebbe di individuare più tumori in stadio iniziale.

Il dolore addominale è un sintomo caratteristico ma aspecifico, essendo comune a svariate patologie ed in particolare la sindrome dell'intestino irritabile è spesso ipotizzata con prima diagnosi in pazienti affetti invece da cancro pur non essendoci alcun rapporto causa effetto tra le due patologie.Per questa ragione le linee guida di altre nazioni prevedono che ogni nuova diagnosi di colon irritabile in pazienti ultracinquantenni sia supportata da una colonscopia.

La modifica delle abitudini dell'alvo ed il sanguinamento rettale infine sono gli ultimi sintomi caratteristici che meritano di essere approfonditi.

L'esame di scelta per la diagnosi di cancro colorettale è attualmente la colonscopia che deve presupporre una buona preparazione intestinale, un esame competo del viscere fino al ceco e un eventuale completamento diagnostico con colonscopia virtuale nei casi di esame incompleto.

 

Infine, gli Autori sottolineano come tutti i pazienti con anemia lieve possano essere affetti da cancro colorettale anche se i valori emoglobina non sono quelli indicati dalle linee guida per l'esecuzione di una colonsocopia urgente.

Negli ultrasessantenni con emoglobina inferiore a 11 g\L per gli uomini e 10 g\L per le donne la colonscopia deve essere eseguita sempre.

I pazienti ai quali viene posta diagnosi di sindrome dell'intestino irritabile vanno seguiti nel tempo per verificare la risposta alla terapia e va eseguita la colonscopia in caso di persistenza dei sintomi.

La modifica delle abitudini dell'alvo, da distinguere dalla semplice comparsa di diarrea o stipsi è un segno suggestivo di neoplasia che va indagato.

 

In conclusione quindi gli Autori hanno evidenziato come i criteri indicati dalle linee guida sono troppo restrittivi e una maggior attenzione andrebbe posta, soprattutto da parte di medici di base verso i sintomi sopradescritti.

E' auspicabile una maggior adesione ai programmi di screening da parte della popolazione considerato che la diagnosi precoce resta ancora il più importante elemento a fini prognostici.

 

Fonte: W.Hamilton et al.,BMJ,2013;346:f3172

Data pubblicazione: 07 giugno 2013 Ultimo aggiornamento: 29 gennaio 2015

Autore

andreafavara
Dr. Andrea Favara Gastroenterologo, Chirurgo apparato digerente, Colonproctologo, Chirurgo generale

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1991 presso Universita' Studi Milano.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Milano tesserino n° 31610.

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3 commenti

#1
Utente 117XXX
Utente 117XXX

Grazie delle informazioni utili!

Il vero problema sono i medici di famiglia che sono restii a far fare e SOPRATUTTO a consigliare programmi di screening ai propri pazienti, fatta eccezione per quelli che hanno ricevuto maggiore copertura mediatica (pap test e compagnia). Questo sia per le malattie oncologiche che per qualsiasi altra visita. Io il mio tumore l'ho dovuto scoprire da solo. Se fosse stato per il medico ero già a fare mesi e mesi di chemio. Per fortuna l'ho beccato in tempo e ora sono di nuovo sano.

#2
Dr. Andrea Favara
Dr. Andrea Favara

Prego, quanto dice in parte è vero, per la verità non tanto per i programmi di screening che, almento nella mia regione sono gestiti direttamente dall' ASL e al medico di base è lasciato solo un ruolo secondario e non ha senso generalizzare.
Tuttavia, almeno nel Regno Unito e per le gastroscopie ad esempio questo problema esiste come evidente da questa recentissima pubblicazione:

GP practices with low referral rates for gastroscopy put patients at risk of worse outcomes, research showsBMJ 2013; 346 doi: http://dx.doi.org/10.1136/bmj.f3855 (Published 13 June 2013)
Cite this as: BMJ 2013;346:f3855 General surgery Surgical diagnostic tests Gastric cancer Surgical oncology Endoscopy Gastrointestinal surgery More topics
General practice / family medicine Epidemiologic studies Stomach and duodenum Fewer topics
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1London
Rates of referral for endoscopy vary hugely between general practices in England, new research shows. Patients from practices with low referral rates are at increased risk of a poor outcome from oesophageal and gastric cancer, the researchers said.

The findings of the retrospective analysis of hospital episode statistics from 2006 to 2008 were presented at the annual conference of Public Health England’s National Cancer Intelligent Network this week. Researchers from the department of gastroenterology at the University of Liverpool looked at 22 488 new cases of oesophageal and gastric cancer from 6513 general practices and showed that average referral rates for endoscopy varied by 250%.1

They divided the practices into low, middle, and high mean rates of endoscopy referral (4.4, 8.1, and 12.9 referrals per 1000 patients, respectively). Patients with oesophageal or gastric cancer from practices with low rates of endoscopy referral had the highest mortality (death rates 61% in the low referral practices, 59% in the middle, and 58% in the high; P<0.001). Patients from the low referral practices also had the highest rate of emergency admission (34% versus 26% and 25%, respectively; P<0.001) and the lowest surgery rate (15% versus 16.3% and 17%; P<0.004). Inequality was most marked in practices serving deprived populations.

Keith Bodger, consultant gastroenterologist at Aintree University Hospital in Liverpool, said, “Our research shows that general practices in England vary substantially in their rates of gastroscopy and that low rates are associated with a risk of poorer outcomes for oesophageal and gastric cancer. This inequality is worst for those living in the most deprived areas of the country.”

Mick Peake, clinical lead at Public Health England’s National Cancer Intelligence Network, commented, “Rates of referral for endoscopy from primary care show wide variation, suggesting a spectrum of clinical practice and differing interpretation of guidelines.

“GP practices with low rates of endoscopy referral should review their current practice, particularly those serving deprived populations. Patients wherever they live should be given the best possible chance of a successful outcome. Increasing endoscopy rates and ensuring the right patients are referred early would be likely to significantly improve the outcomes for patients with oesophageal and stomach cancers.”

In realtà il problema dello screening è l' adesione da parte della popolazione che purtroppo è ancora ben sotto l' ottimale nonostante sia ampiamente dimostrato che, almeno nel tumore del colon retto, una diagnosi precoce certamente garantisce una migliore prognosi.





#3
Utente 117XXX
Utente 117XXX

Senza nulla togliere ai medici, che per quanto mi riguarda, tranne alcune eccezioni, si sono sempre rivelate persone cordiali, preparate e anche umane nel rapporto col paziente, trovo che non sia posta abbastanza enfasi nell'invitare il paziente ad eseguire routines di controllo. E' pur sempre vero che sarebbe premura di ognuno informarsi sulle dinamiche eziologiche e le cause scatenanti dei vari problemi di salute, per poi consultarsi col medico ed eseguire i relativi esami. Ma penso che lei sappia meglio di me che la divulgazione, la promozione e l'esortazione di certi controlli è più che necessaria. Penso che non serva uno psicologo a capire che la maggior parte della gente finchè non ha problemi di salute cerca di evitare il medico. Io sono un caso a parte, grazie a un po' di paranoia e soprattutto per colpa del mio tumore (scoperto grazie ad autopalpazione che eseguivo periodicamente per paranoia), ora cerco di informarmi e capire i disturbi a cui potrei essere più soggetto, controllandomi appena possibile. Ma non tutti agiscono così. La mentalità del "se non sto male non ho bisogno del medico" è una reazione tutto sommato normale. Penso che sarebbe giusto compito del medico intervenire e informare il paziente almeno dei disturbi e controlli più comuni nelle varie fasce di età in cui esso può ricadere.

Io ho avuto una neoplasia testicolare probabilmente dovuta a stress e soprattutto a criptorchidismo (mia diagnosi, ma il criptorchidismo aumenta sensibilmente il rischio di neoformazioni testicolari, ed infatti il testicolo criptorchide si è ammalato).

Nessuno, in 22 anni (l'età a cui l'ho avuto), si è mai degnati di dirmi che un testicolo criptorchide aumenta sensibilmente le probabilità di tumore testicolare e di tenere sottocontrollo la cosa. Eppure sono stato visitato da pediatri, urologi (per di un varicocele, per ironia della sorte sul testicolo attualmente residuo) e quanto altro. Non pensa che sarebbe stato giusto avvisarmi? E' vero che magari ci sono criptorchidi che non si ammalano di tumore, però avrei preferito non dovermelo trovare da solo, il tumore.

Concludendo, come ha ben detto lo screening e l'adesione della popolazione sono sotto alla media, sarebbe bene che i medici intervenissero per cambiare la situazione, magari in accordo con i media e il governo.

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