Cosa è l’atrofia ottica di LEBER?

luigimarino
Dr. Luigi Marino Oculista, Medico legale

La neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON) è una malattia degenerativa che colpisce un tipo particolare di cellule della retina, le cellule ganglionari.

Si manifesta di norma in età giovanile o adulta: il paziente percepisce una perdita piuttosto rapida della vista (con sensazione di annebbiamento e di colori attenuati), soprattutto nella parte centrale, mentre la cornice periferica rimane nitida.

La situazione tende a stabilizzarsi nel giro di un anno; in alcuni (rari) casi, la malattia può regredire spontaneamente e il paziente recupera da solo alcuni decimi di acuità visiva.

La LOHN colpisce molto più frequentemente i maschi.

La LHON dipende da mutazioni a carico di geni del Dna contenuto nei mitocondri, le “centrali energetiche” delle cellule”, codificanti per i componenti di un complesso proteico che partecipa alla produzione di energia da parte dei mitocondri stessi.

Come conseguenza, questo complesso funziona male, produce troppo radicali liberi e rende la cellula più sensibile alla morte per apoptosi (morte cellulare).

La trasmissione avviene sempre per via materna: i maschi malati non trasmetteranno mai la malattia ai loro figli, mentre le donne la trasmetteranno tale e quale alle generazioni successive.

Esistono comunque individui portatori che non si ammalano,

per ragioni ancora poco chiare.

Il sospetto diagnostico viene avanzato su base clinica, ma la conferma viene dall’analisi molecolare.

Non esiste attualmente un percorso terapeutico approvato sulla base di sperimentazioni cliniche specifiche.

Inoltre, agli individui portatori si consiglia di azzerare il consumo di sigarette e alcolici per ridurre il rischio di ammalarsi.

 

 

 COS'È L'ATROFIA OTTICA DI LEBER
La neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON), riconosciuta per la prima volta da Von Graefe e Leber circa 150 anni fa, è una malattia familiare a trasmissione materna caratterizzata da una riduzione bilaterale acuta o subacuta della visione centrale che si manifesta più di frequente in giovani adulti di sesso maschile altrimenti in buone condizioni di salute.

La trasmissione attraverso donne sane e la prevalenza nel sesso maschile è stata notata nella maggior parte delle famiglie ed ha fortemente suggerito un errore nel genoma del DNA mitocondriale (mtDNA). Attualmente tre mutazioni patogenetiche primarie nelle posizioni 11778/ND4, 3460/ND1 e 144484/ND6 sono riconosciute come causa della gran parte dei casi familiari e sporadici di LHON nel mondo. Una quarta mutazione nella posizione 14459/ND6 è patogenetica per la variante fenotipica LHON/distonia/malattia di Leigh.


La LHON e’ responsabile dallo 0.42 al 2% dei casi di invalidità visiva. Il rapporto M:F e’ di circa 4:1. L’età media di esordio e’ di 25-26 aa per gli uomini e di 27-29 aa per le donne, sebbene siano noti casi ad esordio infantile o al di sopra dei 60 aa. La malattia generalmente non ha sintomi prodromici, presentandosi con un annebbiamento monoculare che evolve poi in modo acuto o subacuto e senza dolore in severo deficit visivo centrale. In rari casi la malattia può avere un decorso lentamente progressivo. Nel 40-50% dei casi l’esordio nei due occhi e’ simultaneo mentre nei rimanenti casi l’intervallo di coinvolgimento tra i due occhi varia da settimane ad anni (fino ad 8) con una media di 2.0 mesi.

La neuropatia tipicamente progredisce per circa 3 mesi (media 3.46 mesi) e nel 79% dei soggetti l’acuita’ visiva si riduce fino alla sola conta delle dita variando dai 20/50 alla non percezione luminosa. Inizialmente l’esame del campo visivo puo’ evidenziare solo lievi alterazioni sotto forma di allargamento della macchia cieca con scotoma relativo che tende verso l’area di fissazione; nelle settimane successive pero’ lo scotoma centrale relativo diviene assoluto e di maggiori dimensioni estendendosi nel 67% dei casi oltre i 20 gradi centrali.

Altri segni di disfunzione del nervo ottico nella fase acuta della malattia sono la presenza di discromatopsia sull’asse rosso-verde e l’alterazione dei potenziali visivi evocati in forma di ridotta ampiezza e aumento della latenza. Tipicamente le pupille reagiscono in modo pronto alla luce senza difetto pupillare afferente relativo così come ben conservato è il photopic blink reflex.

Nella fase acuta/subacuta della malattia l’esame oftalmoscopico evidenzia una tipica microangiopatia peripapillare, con vasi tortuosi e di calibro irregolare attorno al disco ottico. La papilla è iperemica e lievemente rilevata con pseudoedema delle fibre nervose; raramente si associano emorragie.

La fluorangiografia retinica esclude la presenza di un vero edema della papilla in quanto non e’ presente leakage di colorante. Il fascio papillomaculare e’ precocemente coinvolto e se ne può già apprezzare la marcata riduzione quando la metà nasale del nervo e’ ancora ipermica.

Nelle settimane successive la riduzione delle fibre nervose si fa più diffusa e scompare la microangopatia peripapillare. Negli stadi finali della malattia compare un pallore papillare diffuso (82%) o limitato al settore temporale (17%) e lo strato delle fibre nervose diviene invisibile (72%).Dal punto di vista prognostico un recupero della funzionalità visiva si realizza complessivamente nel 21% dei pazienti. Il recupero visivo avviene progressivamente con contrazione dello scotoma e ricomparsa di isole di visione al suo interno (fenestrazione).

 

Una giovane età di esordio sembra essere un fattore prognostico favorevole e la percentuale di recupero è strettamente legata alla mutazione patogenetica presente.

La mutazione 11778, la più frequente nella popolazione, e’ quella associata ad alla più grave compromissione visiva e alla minore probabilità di recupero funzionale. La 14484 e’ la seconda mutazione per frequenza e comporta la migliore prognosi visiva; l’espressione fenotipica di questa mutazione appare influenzata in modo significativo da altri fattori epigenetici quali l’abuso di alcool e tabacco e svariate altre malattie (intolleranza al glucosio, morbo di Crohn, deficit di B12, trauma cranico).

La mutazione 3460 e’ in posizione intermedia rispetto alle precedenti sia per quanto riguarda la frequenza che la prognosi visiva; questi pazienti hanno la maggiore incidenza di abuso di alcool e tabacco. La malattia assume un decorso atipico e generalmente meno grave nell’età pediatrica; nel bambino, infatti, può mancare la fase acuta o una microangiopatia peripapillare rendendo difficile la diagnosi differenziale con l’atrofia dominante di Kjer.

In diversi studi, inoltre, e’ stato descritto un buon recupero visivo indipendentemente dalla mutazione del mtDNA presente.
Riguardo la diagnosi differenziale, sono numerose le descrizioni di casi di LHON associati a quadri clinici suggestivi di SM. Data l’eterogeneità di presentazione della Leber, sia in termini di età dei pazienti che di caratteristiche cliniche, riteniamo che in ogni forma di neuropatia ottica bilaterale in cui non sia possibile una diagnosi etiologica definita si dovrebbe procedere all’analisi del mtDNA. Ciò è particolarmente vero per le forme di neurite ottica atipica progressiva, in qualsiasi età essa si manifesti, in cui manchino chiari segni di una patologia sistemica associata; per le neuropatie ottiche ereditarie tipo malattia di Kjer; in casi selezionati di atrofia ottica del bambino, anche nei primi anni di vita, se non presenti altri segni di definite sindromi malformative. 

Nella maggior parte dei pazienti con LHON l’alterazione visiva è la sola manifestazione clinica significativa. In alcune famiglie sono state però riscontrate anomalie di conduzione cardiaca (sindromi da pre-eccitazione e prolungato intervallo QT), alterazioni muscoloscheletriche e neurologiche (alterati riflessi, lieve atassia cerebellare, disordini del movimento, neuropatie periferiche). Inoltre alcuni pazienti, soprattutto donne, con LHON confermata con analisi genetico-molecolare, manifestano sintomi e segni di sclerosi multipla (comprese le alterazioni del liquor e della sostanza bianca evidenziate dalla RM) e allo stesso tempo manifestano la grave e progressiva neuropatia ottica tipica della LHON. Il significato di tale associazione non è ancora completamente chiaro: studi di popolazione non hanno dimostrato una maggiore prevalenza delle mutazioni del mtDNA nei pazienti con SM.

E’ quindi possibile che l’apparente associazione di LHON e SM sia non superiore alla semplice prevalenza delle due malattie. Tuttavia una sottostante alterazione del mtDNA potrebbe peggiorare la prognosi della neurite ottica nei pazienti con SM. 
Si ritiene che la LHON sia causata dalla disfunzione del Complesso I. Una visione semplificata del problema suggerisce che la ridotta efficienza respiratoria comporti una ridotta sintesi di ATP e, di conseguenza, il coinvolgimento di tessuti, come il nervo ottico, che hanno elevate richieste ossidative.

Tuttavia, l’interessamento specifico delle cellule ganglionari retiniche e non dell’epitelio pigmentato e dei fotorecettori o di altri tessuti è fonte di perplessità. Inoltre i vari studi biochimici hanno evidenziato solo modeste variazioni nelle funzioni misurabili del Complesso I.

La semplice spiegazione bioenergetica della LHON non è quindi soddisfacente. Misurazioni dei livelli specifici di attività del complesso I in vari tessuti non hanno mostrato significative riduzioni per le mutazioni 11778 e 14484 mentre c’è una consistente diminuzione (circa 70%) nel caso della mutazione 3460. Studi su cibridi con mutazioni della LHON hanno dimostrato un rapporto inverso tra difetto respiratorio e attività del Complesso I.

La mutazione 3460 che causa la maggiore disfunzione del Complesso I determina la minore disfunzione respiratoria. Al contrario il più severo deficit respiratorio è stato registrato con la mutazione 11178 che provoca solo una lieve disfunzione del Complesso I.

La mutazione 14484 dimostra solamente una modesta riduzione di attività respiratoria e una normale funzione del Complesso I in accordo con il meno grave fenotipo clinico. Altri studi biochimici evidenziano che le mutazioni della LHON interferiscono con l’interazione fra Complesso I e i substrati Q determinando una cronica iperproduzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS).

Quindi sia la deplezione energetica che lo stress ossidativo potrebbero avere un ruolo importante nella patogenesi della LHON. Sebbene nella maggioranza dei casi le mutazioni patogenetiche della LHON siano omoplasmiche in tutti i soggetti correlati per via materna, solamente alcuni individui manifestano la malattia. Le mutazioni LHON sono dunque necessarie ma non sufficienti per lo sviluppo della neuropatia ottica. E’ stata ipotizzata l’influenza di fattori genetici nucleari che possano interferire con il mtDNA; inoltre vari fattori ambientali sono da tempo conosciuti come fattori di rischio per l’espressione della malattia. Tra questi hanno particolare importanza alcool e tabacco che determinano un aumento dei ROS, così come confermato da vari recenti studi.


La seconda domanda fondamentale nella comprensione della LHON è quale meccanismo biochimico leghi una disfunzione energetica generalizzata ad un modello neurodegenerativo relativamente specifico. Perchè, cioè, il nervo ottico e’ così selettivamente coinvolto e perchè nel suo stesso contesto il fascio papillo-maculare subisce la gran parte del danno? Una possibile spiegazione e’ che il nervo ottico sia particolarmente sensibile ad un deficit di produzione di ATP dato il suo continuo stato di attività e l’elevato costo energetico del trasporto assonico.

E’ noto che la carenza di ATP e’ in grado di rallentare detto trasporto; poichè i mitocondri stessi, come d’altronde le proteine e i vari organuli citoplasmatici, devono essere trasportati dal soma cellulare all’assone distale, un’interruzione del trasporto assonico può portare ad un collasso completo del sistema di trasporto e ad una conseguente disfunzione cellulare. Si realizzerebbe, dunque, un circolo vizioso di ridotta energia--ridotto trasporto di mitocondri--ridotta disponibilità locale di mitocondri--ridotta produzione locale di energia che, in ultima analisi, conduce alla degenerazione cellulare.

Le piccole fibre del fascio papillo-maculare sarebbero più sensibili a causa del minore contenuto di mitocondri e della scarsa mielinizzazione che ne riduce l’efficienza come sistema di trasporto. Inoltre tali fibre hanno un elevato rapporto di area di superficie/volume (il primo riflette il consumo di energia e il secondo la capacità di mantenere le riserve energetiche sotto forma di mitocondri) e questo le rende ulteriormente esposte alla carenza di ATP.

Un ruolo importante viene inoltre attribuito alla lamina cribrosa, regione del nervo in cui gli assoni sono sottoposti ad un particolare stress energetico in quanto ancora sprovvisti di guaina mielinica e obbligati a passare negli stretti spazi delimitati dalle septae delle lamina stessa.

Viene proposto che le mutazioni primarie del mtDNA determinino solo un rallentamento del flusso assoplasmatico, particolarmente nella critica regione della lamina cribrosa, senza che si giunga, però, ad un completo blocco funzionale delle cellule ganglionari retiniche. Ulteriori eventi fisiologici o stress ambientali darebbero luogo, soprattutto nei soggetti anatomicamente predisposti (con un “disc at risk”), ad un più profondo rallentamento del trasporto assonico fino al punto di precludere la normale funzione delle cellule ganglionari di piccolo calibro.

In tale ottica la microangiopatia peripapillare nella fase presintomatica della LHON potrebbe essere secondaria ad un rigonfiamento degli assoni nella congesta regione della lamina che si poi risolve nella fase acuta poichè la morte dei neuroni riduce l’affollamento assonico. Il segnale biochimico della neurodegenerazione è verosimilmente inviato nella fase della stasi assoplasmatica: la cellula inattiva e’ destinata a morire, probabilmente attraverso la via dell’apoptosi.

TERAPIA


Non esiste allo stato attuale una terapia che sia dimostrata efficace nel trattamento della LHON, inclusi l’integrazione vitaminica e di altri cofattori e l’uso di steroidi. In alcuni casi è stato descritto un recupero visivo e neurologico con l’uso di idebenone, un’ analogo del quinone ma è necessaria una più ampia esperienza per ottenere risultati significativi.

Molto promettenti sono anche le varie terapie di neuroprotezione ma anche in questo caso si è ancora in attesa Alcune misure di profilassi, e in particolare l’astensione dal fumo e dal consumo di alcolici, sono gli unici interventi considerati sicuramente utili per prevenire la malattia.

Un ruolo importante viene inoltre attribuito alla lamina cribrosa, regione del nervo in cui gli assoni sono sottoposti ad un particolare stress energetico in quanto ancora sprovvisti di guaina mielinica e obbligati a passare negli stretti spazi delimitati dalle septae delle lamina stessa.

Viene proposto che le mutazioni primarie del mtDNA determinino solo un rallentamento del flusso assoplasmatico, particolarmente nella critica regione della lamina cribrosa, senza che si giunga, però, ad un completo blocco funzionale delle cellule ganglionari retiniche.

Ulteriori eventi fisiologici o stress ambientali darebbero luogo, soprattutto nei soggetti anatomicamente predisposti (con un “disc at risk”), ad un più profondo rallentamento del trasporto assonico fino al punto di precludere la normale funzione delle cellule ganglionari di piccolo calibro.

In tale ottica la microangiopatia peripapillare nella fase presintomatica della LHON potrebbe essere secondaria ad un rigonfiamento degli assoni nella congesta regione della lamina che si poi risolve nella fase acuta poichè la morte dei neuroni riduce l’affollamento assonico.

Il segnale biochimico della neurodegenerazione è verosimilmente inviato nella fase della stasi assoplasmatica: la cellula inattiva e’ destinata a morire, probabilmente attraverso la via dell’apoptosi.

Data pubblicazione: 04 ottobre 2017

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