Che fine ha fatto la sessualità in psichiatria? Alla ricerca di un'identità perduta
In una società in cui i processi di sessualizzazione sono quasi a livelli epidemici ci si aspetterebbe coerentemente con l'idea che i disturbi della salute mentale rappresentino in qualche modo il contesto in cui si verificano, un'invasione massiccia della psichiatria da problemi sessualmente orientati.
I giornali parlano in continuazione di una trasgressione diffusa e sessualmente orientata e perversioni diffuse, che spaziano dagli abusi su minori anche di pochi mesi di vita, a donne violentate in strada in pieno giorno (finalmente sappiamo che anche di giorno le cose accadono), a forme di violenza comune in cui l'aspetto sessuale assume invariabilmente un ruolo primario.
In un mondo di violenza in cui si assiste ad una generalizzata sessualizzazione indifferenziata, al superamento del simbolico con il conseguente iperrealismo che trova nella pornografia e nella sessualità esibita nelle sue diverse forme (dalle video chat ai video telefoni), massima espressione, la psichiatria sembra assistere con un senso di impotenza e non sembra avere gli strumenti di interpretazione dei fenomeni sociali all'interno dei quali si trova ad operare.
In alcuni casi colleghi psichiatri e psicologi, nel tentativo di riprendersi uno spazio che presumono sia di loro competenza, partecipano inevitabilmente all'orgia di generalizzazioni banalizzanti e rassicuranti che i mass media danno in pasto ad un pubblico sempre più regredito ed incapace di una critica durante i cosiddetti talk show.
Negli ultimi anni ci siamo molto occupati della privacy e ne abbiamo avuto talmente tanto rispetto da affrontare con molta cautela qualsiasi argomento potesse costituirne una violazione, dimenticando addirittura un segreto professionale che, dopo quello della confessione, resta uno dei cardini della nostra professione.
Sostituendo il concetto di segreto (condiviso) con quello di rispetto della privacy ci siamo forse allontanati da quella intimità con i nostri pazienti, quella partecipazione alle cose private che ha costituito e costituisce la base di quel rapporto empatico che è fondamento della relazione terapeutica.
La questione quindi della sessualità non acquista solo valore in quanto oggetto di studio, ma definisce con ogni probabilità i livelli di profondità della relazione con i nostri pazienti. D'altra parte i nostri pazienti stanno progressivamente cambiando: i quadri definiti e rassicuranti di nevrosi e psicosi in cui eravamo in grado di navigare con perizia armati dei nostri psicofarmaci e delle nostre tecniche di psicoterapia, stanno cedendo il posto a quadri indefiniti, di confine, in cui gli elementi delle dimensioni classiche della psicosi e della nevrosi sembrano fondersi in una nuova terza dimensione che non possiamo, se non in parte allineare tra le due, e che occupa uno spazio altro non di confine, una dimensione terza che nelle diverse nosografie prende il nome di Borderline o di Stato al Limite.
Con queste organizzazioni della personalità, la possibilità di accedere o non accedere a livelli intimi, costituisce un nodo critico del processo terapeutico e la necessità di lavorare con quello che il paziente ci porta condiziona la possibilità soprattutto nei primi mesi di terapia, di indagare aree particolarmente sensibili come quelle relative alla sessualità e implica la necessità di gestire con grande attenzione la distanza.
Tale difficoltà è inoltre aumentata dalla ormai cronica tendenza a fare terapie minimaliste caratterizzate da poche sedute limitate nel tempo (i famosi 12 colloqui di psicoterapia a cadenza settimanale-quindicinale), che fa dell'efficacia clinica l'obbiettivo da raggiungere attraverso strategie concrete e consigli tecnici su come affrontare le difficoltà della vita. In tale contesto la relazione si defila a fatto quasi puramente estetico, come plus da poter pubblicizzare, una specie di prodotto di marketing: una buona relazione è alla base di una relazione di successo.
Tra le considerazioni che possono dare una spiegazione della parziale latitanza della psichiatria nei confronti delle problematiche sessuali, c'è probabilmente il fatto di scontare la critica storica di eccessiva sessualizzazione mossa alla teoria freudiana delle pulsioni attraverso un processo di de-sessualizzazione in favore della oggettivazione della relazione terapeutica a cui la psichiatria ha partecipato in nome di una scientificità dell'oggettivo e di una teoria tranquillizzante dell'oggetto, supportata per oltre cinquant'anni dagli apparenti successi della ricerca psicofarmacologica e nell'ambito delle neuroscienze e dalla tendenza di una parte delle scuole analitiche a sostituire oggetti a pulsioni.
Il ruolo delle pulsioni viene spesso rievocato in modo speculativo e relegato alla base delle deviazioni più riprovevoli della sessualità. La pulsione esiste quando l'oggetto sembra essere scomparso, dimenticando che la pulsione ha nell'oggetto stesso la sua ragione di esistere. Colpisce il fatto che nei resoconti di atti pedofili che hanno avuto ripercussione nei media sono invocati molti meccanismi causali.
In particolare il passato di alcuni pedofili che sono stati essi stessi oggetto di seduzioni e violenze nella loro infanzia, frequentemente da parte di parenti di primo grado e gli argomenti teorici proposti strumentalmente dai media non fanno allusione alcuna alla sessualità infantile riattivata nel pedofilo dall'attrazione che esercitano su di lui le sue vittime.
La generalizzazione della categoria del pedofilo con la sua forza stigmatizzante, ci preclude la possibilità di comprendere gli elementi di fondo delle varie strutturazioni di personalità (l'asse II) che inevitabilmente costituiscono il terreno su cui si sviluppa la pedofilia come disturbo di asse I, esaurendo l'interesse in una mera condanna esemplare che non ci sarà come conseguenza della necessità di controllare la violenza reattiva che tali disturbi suscitano nell'altro (compreso colui il quale è chiamato a giudicare).
Attualmente si esercitano ogni sorta di pressioni sociali, con effetto colpevolizzante, perchè siano riconosciuti i diritti sessuali di minoranze più o meno perseguitate. Se non si può affatto negare la persecuzione, il riconoscimento dei diritti resta problematico. Scelte sessuali che non più di qualche lustro fa venivano considerate come deviazioni (dall'omosessualità alla transessualità) e che relegavano le cosiddette devianze nella marginalità, persino sanzionate in alcune società, sono oggi ritenute oggetto di orgoglio.
Al di la della legittimità del diritto di ogni essere umano di essere riconosciuto nelle proprie scelte e caratteristiche individuali, resta il problema di un equilibrio precario sul piano sociale che tali trasformazioni hanno determinato in un tempo così breve.
Parlare di questi argomenti è quindi diventato estremamente problematico condizionato dal rischio di ferire l'orgoglio di alcuni con atteggiamenti che allora verranno considerati reazionari o provocare raccapricciato dissenso in altri venendo tacciati di relativismo e qualunquismo psicologico in cui tutto è possibile e giustificabile.
In un contesto così difficile e così poco chiaro, in cui qualsiasi discorso rischia di essere opinabile e banalizzante, la psichiatria deve assumersi le proprie responsabilità e continuare ad esercitare il proprio diritto-dovere di cura in qualsiasi situazione la sofferenza ecceda i limiti della tollerabilità individuale e si connoti come patologia.
La sua colpevole latitanza è una delle cause della confusione che caratterizza tutti i fenomeni in cui la sessualità cosiddetta deviata diventa sintomo e induce a condotte che hanno rilevanza sia sul piano clinico che su quello medico legale. La tendenza ormai incontrollabile all'abuso di farmaci per la disfunzione erettile la cui assunzione è ormai soltanto marginalmente prescritta dai medici, è un esempio di come una psichiatria latitante determini fenomeni di auto-prescrizione figli di un fai da te frutto di una pratica empirica che esclude l'interpretazione dei sintomi e relega la terapia ad una pratica meccanicistica che può determinare fenomeni di abuso e dipendenza.
La proposta quindi è quella di riconsiderare la sessualità in psichiatria come elemento fondamentale della psicologia e della psicopatologia recuperandone gli aspetti clinici, presupposto per una terapia sia sul piano psicologico che farmacologico.