Dismorfofobia - La psicoterapia di Massimo Troisi e Lello Arena
La dismorfofobia è una sindrome descrivibile come l’ossessione per il proprio aspetto fisico, con l’inevitabile paura della "bruttezza". Nella dismorfofobia il "brutto" è conseguenza della paura, e non il contrario come chi ne soffre finisce per pensare: "sono brutto e quindi soffro" è il pensiero di chi ne soffre, o comunque "se fossi più bello avrei risolto il problema". Nella realtà il disturbo nasce proprio con l’ossessione, dall’ossessione la paura, da questa il concetto di brutto, e quindi di bello come soluzione del problema o regalo che la sorte non ci ha voluto dare in dote.
Il dismorfofobico inizia con il controllarsi, controlla se è davvero brutto, e non potrà giungere ad altra conclusione. Si interroga sul fatto che ciò che gli capita sia risultato della sua "non-bellezza". In una fase avanzata il concetto di "bello/brutto" diviene un deliroide, è una verità da cui tutto discende, senza che sia chiaro in cosa si definisce, in cosa si stabilisce il bello e il brutto. L’unico vero difetto fisico della persona con dismorfofobia alla fine non riguarda il naso, le orecchie, la forma fisica, ma la struttura che una parte del suo cervello ha assunto, programmata per sostenere il pensiero del brutto. Un pezzettino di cervello, ironia della sorte "non visibile", e quindi esteticamente neutro.
Nel film di Troisi, "Scusate il ritardo", c’è un personaggio interpretato da Lello Arena che ben rappresenta la dismorfofobia. "Tonino"/Arena è l’amico del cuore di Troisi/Vincenzo, e lo ossessione con le sue "paranoie", in particolare con i motivi delle sue disavventure amorose. Lo convoca all’improvviso, non importa se fuori c’è freddo o infuria un temporale, perché "deve" avere una risposta si suoi dubbi. Quel che è buffo è che pare oscillare tra il bisogno di una risposta che lo tranquillizzi, e una risposta che invece gli confermi il suo dubbio, cioè "Lei mi ha lasciato perché sono brutto ?". Troisi, proprio come chi suppone che funzioni la rassicurazione, tenta di farlo ragionare in maniera logica, oppure gli dà risposte benevole. In sostanza tenta di spiegargli che "per quanto possa essere non idealmente bello, la ragazza certamente non lo giudicava tale, visto che si è messa con lui". "Guarda quello com’è brutto, ora mi ci metto insieme così dopo lo lascio", lo sfotte l’amico per farlo ragionare. L’amico però vuole un suo giudizio estetico e quindi gli si para davanti e vuole che gli dica se lo trova "normale" (cioè non-brutto) o "strano". Vuole saperlo perché la ex-ragazza un giorno guardandolo negli occhi da vicino gli disse "come sei strano", e naturalmente per lui questa è la chiave di tutto: Lei lo considerava brutto, e disse "strano" volendo dire però "brutto", e per quel motivo poi lo lasciò.
Alla fine Troisi, sfinito da quell’interrogatorio ossessivo in cui nessuna risposta va bene, con Arena che lo fissa da vicino pretendendo una risposta "guardami bene, secondo te sono strano ?", sbotta e gli dice "Tonì’, certo che visto da vicino, sì’ nu poco strano". Paradossalmente, questo farà finire l’ossessione infinita. Non la risposta gradita, quella sgradita. In una scena successiva è Troisi invece a soffrire per amore, e invece Tonino si è già riaccoppiato con una ragazza nuova, carina e innamorata di lui. Troisi allora in un moto di stizza per i commenti dell’amico che gli dice "anch’io ci sono passato, poi vedi che si aggiusta tutto" gli risponde "Va beh, ma nel mio caso mi ha lasciato senza motivo, nel suo caso ci stava la motivazione". "Ma no, anche nel mio caso non c’era motivo" "No, nel tuo caso ci stava" "E quale motivo c’era?" "Andiamo, Tonì, te t’ha lasciato perché eri brutto !". Tonino in realtà non se ne ha a male, anzi non la prende sul serio, non ci rimane neanche male. Quando la dismorfofobia non è "calda", anche uno che ti dice che sei brutto non ti ferisce, mentre quando c’è la dismorfofobia conta soltanto che la ragazza ti ha lasciato, non importa se prima stava con te, "ti ha lasciato perché eri brutto".
La cosa oltremodo corretta in questo personaggio di dismorfofobico è che Arena non è una figura di "bello", ed ha anche uno strabismo che si accentua nella scena in cui fissa l’amico per farsi dire se da vicino "è strano o normale". Questo è importante perché il punto della dismorfofobia non è il brutto, ma l’occhio con cui si guarda. Nel trattamento psicoterapico, l’idea di bello/brutto va sostanzialmente depotenziata, decostruita. Questo non significa negarla, opponendosi al paziente che dice di essere brutto, e cercando di spiegargli che non è poi così brutto, anche perché questo "non così brutto" per il paziente vorrebbe dire "comunque brutto, non bello". L’idea del brutto va depotenziata a partire dall’idea del bello, anche al fine di prevenire la complicazione degli interventi estetici che i dismorfofobici spesso eseguono a ripetizione con risultati che non li soddisfano. Il "bello" quindi va dissolto (almeno come metro di giudizio su di sé), e il "brutto" deve essere invece "normalizzato", cioè non allontanato con la paura folle che invece sia la verità definitiva.
Non si tratta quindi di "spiegare" razionalmente o di dibattere su cosa sia bello o brutto, ma di condizionare un pensiero lontano da questa idea imprigionante.