"Gli adolescenti amano il rischio": un mito da sfatare

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Dr.ssa Daniela Benedetto Psicoterapeuta, Psicologo

In realtà gli adolescenti non amano il rischio ma semplicemente lo ignorano.

Un recente studio condotto presso Yale's School of Medicine della New York University e pubblicato su  “Proceedings of the National Academy of Sciences”* ha dimostrato che in realtà gli adolescenti sono molto più cauti nel prendere le decisioni e meno propensi a mettersi in condizioni di rischio quando sono a conoscenza e pertanto consapevoli delle conseguenze a cui vanno incontro.

Il campione in esame era composto da due gruppi di persone uno di teenagers  tra i 12-17 anni e l'altro formato da persone tra i 30 e i 50 anni.

I gruppi erano invitati a prendere alcune decisioni finanziarie ognuna delle quale con un diverso grado di rischio. I soggetti dovevano scegliere tra una ricompensa garantita di 5 dollari ed una lotteria con un certo rischio loro indicato  oppure con un rischio sconosciuto.

L'osservazione del comportamento ha permesso di valutare quanto gli adolescenti siano stati, nel contesto sperimentale, meno propensi a correre rischi quando ne comprendevano il peso. Nel caso delle lotterie i ragazzi erano invece più propensi degli adulti a correre i rischi se non conoscevano le reali entità delle conseguenze.

Questi risultati aprono le porte a diverse valutazioni che ci permettono di ampliare i nostri interventi in merito alla prevenzione. Questa va mirata sulla  comunicazione e sulla informazione da "somministrare" in tutti i contesti frequentati dai giovani a cominciare dalla scuola laddove l'informazione non deve essere generica ma specifica, scientifica e professionale, sulle conseguenze psichiche, fisiche e sociali di alcuni atteggiamenti/azioni.

E' evidente che anche l'intervento specifico della comunicazione genitoriale diventa propedeutico all'ascolto di approfondimenti in ambito scolastico. I ragazzi andrebbero "bombardati" di informazioni al fine di stimolare in loro stessi un processo virtuoso di ricerca e di approfondimento.

*Fonte: Agnieszka Tymula, Ph.D., postdoctoral researcher, Center for Neural Science, New York University, New York City; Paul Atchley, Ph.D., associate professor, psychology, University of Kansas, Lawrence, Kan.; Oct. 1, 2012, Proceedings of the National Academy of Sciences
Data pubblicazione: 02 novembre 2012

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