Depressione: farmaci o psicoterapia? La PET aiuterà a decidere

 

Uno studio appena pubblicato su JAMA Psychiatry potrebbe rivoluzionare i criteri di scelta del tipo di terapia da prescrivere per la Depressione Maggiore: esaminando il cervello dei pazienti sarà infatti possibile stabilire a quale trattamento risponderanno meglio e, di conseguenza, prescrivere psicofarmaci o psicoterapia.

Secondo i ricercatori solo il 40% dei pazienti depressi migliora seguendo il trattamento che ha iniziato per primo e quindi il 60% dei pazienti cambia trattamento perché inefficace e perde tempo, ritardando l’inizio della terapia per lui più efficace.
Essere in grado di stabilire in anticipo qual è il trattamento migliore per il singolo paziente costituirebbe un indubbio vantaggio per consentirgli di essere curato al meglio.

Allo scopo di identificare dei biomarker che consentissero di stabilire la successiva risposta ai due diversi trattamenti (psicoterapia vs. antidepressivo) i ricercatori hanno sottoposto a PET (tomografia a emissione di positroni) il cervello di 63 pazienti affetti da Depressione Maggiore, identificandone le aree più attive a riposo prima e dopo il trattamento.
Confrontando l’attività cerebrale di quelli che avevano ottenuto una remissione dei sintomi e di coloro che non erano migliorati si è scoperto che chi presentava una bassa attività in una struttura cerebrale chiamata "insula" reagisce bene alla psicoterapia e scarsamente all’antidepressivo testato (escitalopram), mentre chi presentava un’alta attività nella porzione anteriore dell’insula si era rivelato in seguito più sensibile al farmaco.
Se i risultati saranno confermati da ulteriori studi e follow-up si potrà aprire una nuova era nella scelta delle terapie per i pazienti fortemente depressi.

Il limite di questo studio è forse la valutazione solamente sintomatologica dello stato del paziente come indicatore di successo o insuccesso di una terapia, mentre molti orientamenti psicoterapeutici non si limitano a considerare guarito il paziente solo se i sintomi si attenuano, ma ne valutano la globalità e l'evoluzione dei fattori causali (consci e inconsci) del disturbo.
In ogni caso una scoperta che consentisse di decidere se prescrivere o non prescrivere psicofarmaci eviterebbe di assumere inutilmente medicinali a chi non ne trarrà alcun beneficio e, dall’altra parte, eviterebbe di rifiutarli a chi invece ne ha bisogno.
Lo stesso vale per la psicoterapia, che sempre più ricerche confermano essere un trattamento che modifica il funzionamento del cervello esattamente come i farmaci e, a volte, in maniera più efficace.

Fonte:
"Toward a Neuroimaging Treatment Selection Biomarker for Major Depressive Disorder" JAMA Psychiatry, 2013

 

Data pubblicazione: 28 giugno 2013

5 commenti

#3
Ex utente
Ex utente

Molto interessante questo articolo. La stessa cosa potrebbe valere per i disturbi d'ansia? Anche se sono altre le regioni coinvolte... ma, intendo, il meccanismo di "screening"...?

#4
Dr.ssa Flavia Massaro
Dr.ssa Flavia Massaro

Al momento mi risulta che sia stata effettuata una ricerca solo sulla depressione, che rappresenta un tipo di disturbo più omogeneo rispetto all'ansia e quindi più semplice da studiare nei suoi correlati organici: l'ansia infatti si manifesta in molte forme diverse (psichiche e/o somatiche) e variabili da individuo a individuo, mentre la Depressione Maggiore è un disturbo dell'umore dalle manifestazioni ben precise e comuni a tutti i soggetti che ne soffrono.

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