Psicologia dinamica: teorie e clinica - parte II

giuseppestefanobiuso
Dr. Giuseppe Stefano Biuso Psicologo, Psicoterapeuta

SULLIVAN

Intanto, poco dopo l'avvento della psicoanalisi freudiana, una voce fuori dal coro procedeva all'impostazione di un trattamento psicodinamico che si differenziasse sostanzialmente dalle teorie e dalla metodologia terapeutica del padre della psicoanalisi: Hanry Styack Sullivan (1940).

Sullivan fu il padre della tradizione interpersonale in psicoanalisi, promulgando una concezione completamente nuova della psichiatria (1940, 1953). Vide la psicopatologia, come la salute, come risultante del complesso intreccio di relazioni reali in cui l'individuo è immerso fin dalla nascita. Gli schemi di comportamento riflettono le strategie relazionali (operazioni di sicurezza) che l'individuo mette in atto per difendersi dall'ansia trasmessa dal caregiver. L'insieme delle operazioni di sicurezza dell'individuo costituisce il suo “sistema-Sè”, la sua personalità.

La terapia interpersonale prevede che il clinico sia un osservatore partecipe che, immergendosi nella realtà del paziente, lo aiuti a portare alla luce gli schemi relazionali disfunzionali del suo passato e, attraverso il rapporto con il terapeuta, lo aiuti gradualmente a differenziarli dalla realtà.

 

LA TEORIA DELL'ATTACCAMENTO

L'incontro della psicoanalisi con l'etologia ha portato John Bowbly a sviluppare una teoria innovativa che ha costituito una definitiva svolta paradigmatica rispetto al modello pulsionale imperante, influenzando ampiamente l'evoluzione teorico-clinica della psicologia dinamica. La teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969, 1988a), infatti, ha sottolineato come sia la ricerca di un legame di attaccamento stabile, la motivazione centrale del neonato alla nascita. Tale legame consiste nella relazione stabile che si crea fra il bambino e l'adulto che fornisce le cure primarie a partire dalla nascita, sulla base di scambi sociali che avvengono fra i due (Bowlby, 1969, 1972, 1988a). Esso favorisce la sopravvivenza del piccolo, grazie alla vicinanza con l'adulto di riferimento che si prende cura di lui, e ha la funzione di garantire il benessere del bambino, di proteggerlo dai pericoli esterni e dalle difficoltà e tensioni interiori. La finalità di protezione è raggiunta tramite una serie di comportamenti innati che favoriscono la vicinanza fisica fra bambino e adulto: sono segnali che, da una parte, richiamano l'adulto ad avvicinarsi (sorriso, vocalizzazione, pianto, tensione verso l'adulto per essere preso in braccio, ecc.) e, dall'altra, determinano l'accostamento e il mantenimento del contatto del bambino alla figura adulta. L'obiettivo esterno dell'attaccamento è, dunque, la prossimità del caregiver, quello interno il mantenimento di un senso di sicurezza. La relazione di attaccamento è un aspetto specifico dell'interazione adulto-bambino e possiede le seguenti caratteristiche:

  1. è selettiva, ovvero riguarda persone specifiche;

  1. si realizza nella continua ricerca di vicinanza fisica alla figura adulta da parte del bambino, come condizione di agio e benessere;

  1. dà sicurezza, in virtù della presenza dell'adulto percepito come riferimento stabile e rifugio dai pericoli;

  1. produce ansia e protesta da parte del piccolo nel momento in cui avviene la separazione dal partner di riferimento.

 

Il legame privilegiato che si stabilisce è dunque di dipendenza nei confronti dell'adulto specifico che si prende cura del bambino e che possiede una particolare carica affettiva nei suoi confronti. I partner comportamentali che condividono lo scopo di ottenere la prossimità del caregiver, si organizzano solidamente verso la fine del primo anno di vita (Ainsworth et al., 1978).

La qualità del legame d'attaccamento dipende dalla sensibilità con la quale il caregiver si relaziona col bambino in maniera coordinata, nel rispetto dei suoi ritmi, delle sue capacità e dei suoi bisogni.

La teoria dell'attaccamento ha approfondito i modi con cui l'esperienza diviene mentale concettualizzando i Modelli Operativi Interni (MOI), che si riferiscono alle rappresentazioni costruite a partire dalle relazioni di attaccamento (Riva Crugnola, 2007).

Main (Main et al., 1985; Main, 1995a) e Bretherton (1985, 1987; Bretherton, Munholland, 1999), le autrici che hanno sviluppato le ipotesi di Bowlby nella direzione rappresentazionale, sottolineano come il bambino, fin dai primi mesi di vita, cominci a formarsi rappresentazioni mentali delle relazioni con le figure di attaccamento, in primo luogo la madre, che si stabilizzano intorno alla fine del primo anno di vita (Ainsworth et al., 1978), come evidenziato dalle reazioni di protesta del bambino in assenza della madre, la cui presenza costituisce la “base sicura” del piccolo (Ainsworth, 1967, 1978; Bowlby, 1989), o dalle manifestazioni di angoscia in presenza di un estraneo (Spitz, 1957) che, presentandosi come situazione di “novità”, e quindi di potenziale pericolo, attiva il sistema d'attaccamento e lo porta a ricercare la prossimità della madre (Speranza, Odorisio, 2001). Schematizzando le esperienze precoci di interazione con la madre, il bambino riassume le relazioni tipiche tra sé e quest'ultima formandosene un modello sintetico che oltre comprendere la rappresentazione della madre e della relazione d'attaccamento, comprenderà la rappresentazione di sé in rapporto alla madre (Sroufe, Fleeson, 1986; Bretherton, 1987). L'internalizzazione delle relazioni di attaccamento (Bretherton, 1985, 1987) non si configura, tuttavia, come una semplice copia dell'interazione vissuta, ma costituisce una “ricostruzione attiva” della stessa, assolvendo così sia ad una funzione adattiva che difensiva nei confronti della relazione d'attaccamento (Main et al., 1985). Sotto questa prospettiva, Bretherton (1985) rileva come nel bambino possano attivarsi processi di “controindentificazione”, per proteggersi dall'identificazione con modelli di relazione caratterizzati da una rappresentazione della figura di attaccamento come inadeguata e non responsiva. In questi casi, possono verificarsi, per finalità difensive, meccanismi di “esclusione selettiva dell'informazione” (Bowlby, 1988), mediante i quali aspetti frustranti (cognitivi o affettivi) dell'esperienza d'attaccamento possono essere esclusi dalla consapevolezza.

La costruzione dei MOI è resa possibile da un particolare tipo di memoria che agisce al di fuori della consapevolezza (Schacter, 1996; Siegel, 1999, 2001): la memoria implicita. Le neuroscienze hanno distinto due tipi di memoria: la memoria dichiarativa ed esplicita e la memoria non dichiarativa, implicita (ibidem). Quest'ultima, registrando proceduralmente (Lichtenberg, 1989) diverse forme comportamentali, affettive e percettive, permette al bambino, fin dalla nascita, di costruire un “sapere relazionale implicito” (Lions-Ruth, 1998) codificando a livello pre-verbale le sue esperienze interattive precoci.

I MOI, dunque, possono essere concepiti come strutture affettivo-cognitive (Main et al., 1985) funzionali ad organizzare le informazioni e gli stili peculiari di regolazione affettiva (Kobak, Sceery, 1988; Cassidy, 1994; Sroufe, 1995; Kochanska, 2001; Diener et al., 2002; Riva Crugnola et al., 2005) relativi alle diverse relazioni d'attaccamento.

Questi modelli dirigono, non soltanto i sentimenti ed il comportamento, ma anche l’attenzione, la memoria e i processi cognitivi direttamente o indirettamente rilevanti per l’attaccamento, influenzando, dunque, l'organizzazione psicologica complessiva dell'individuo (Main et al., 1985).

Allo stesso tempo, i MOI fungono da modello rispetto alle modalità relazionali del bambino nelle sue successive esperienze interpersonali (Main et al., 1985). Infatti, il bambino, già nel primo anno di vita, reagirà alla madre e alle sue modalità di accudimento non solo in consonanza con le modalità relazionali che lei sta mettendo in atto in uno specifico momento, ma soprattutto in base alla storia di interazioni con quest'ultima, schematizzata nei suoi MOI (Zimmerman, 1999).

I MOI vengono profondamente trasformati in concomitanza con lo sviluppo del linguaggio, poiché riorganizzati a livello verbale (Grossmann, 1999). In questo processo diviene essenziale la condivisione della narrazione delle proprie esperienze precoci con i genitori, che, permettendo l'integrazione fra memoria implicita e memoria dichiarativa, consente ai MOI di tipo pre-linguistico di trasformarsi in rappresentazioni delle relazioni di attaccamento più complesse e dotati di un maggior coerenza, grazie alla loro “ritraduzione” linguistica (Grossmann, 1999; Nelson, 1999). Una condivisione narrativa, da parte dei genitori, parziale o deformata delle esperienze pre-verbali d'attaccamento, può minare alla coerenza e all'integrità delle memorie inerenti le prime esperienze interattive (Bowlby, 1988). Il bambino avrà, allora, un limitato accesso a queste esperienze (Bowlby, 1988; Grossmann, 1999; Nelson, 1999) e le emozioni negative correlate ad esperienze particolarmente difficili o traumatiche, codificate a livello di memoria implicita, rischiano di riemergere, in condizioni di stress elevato, in maniera particolarmente intensa e disorganizzata (Grossmann, 1999).

L'aiuto di un adulto nella narrazione delle proprie esperienze infantili precoci può portare il bambino, dunque, a modificare la qualità dei MOI, sia in senso positivo che in senso negativo (ibidem).

La funzione di guida prototipica per le interazioni successive (Main et al., 1985), fa assumere ai MOI un'importanza peculiare per lo sviluppo psichico, poiché formano il nucleo di personalità dell'individuo (Riva Crugnola, 2007), che tenderà a rimanere relativamente stabile nel corso dello sviluppo (Hesse, 1999; Hamilton, 2000).

Nonostante la tendenza a rimanere stabili, diversi studi hanno evidenziato come la qualità dei MOI si può modificare nel corso dello sviluppo, grazie ad esperienze successive che portino l'individuo a riorganizzare le rappresentazioni delle interazioni precoci registrate a livello preverbale ed implicito (Holmes, 2001; Beebe, Lachmann, 2002; Roisman et al., 2002). I MOI, infatti, sono sottoposti ad un processo di continua riorganizzazione poiché influenzano e sono influenzati continuamente dalle transazioni dinamiche con l'ambiente e, dunque, possono modificarsi lungo il ciclo vitale sulla base di esperienze significative, specialmente in periodi di transizione, quali l'adolescenza, la mezza età e la vecchiaia, che richiedono, per l'assolvimento di determinati compiti evolutivi, una ristrutturazione della propria esperienza affettiva e cognitiva (Crittenden, 1999).

In adolescenza, ad esempio, le trasformazione corporee, lo sviluppo di una sessualità matura, i cambiamenti affettivi e cognitivi e l'acquisizione di una capacità riflessiva e introspettiva portano ad un revisione dei propri modelli di attaccamento infantili e ad una riorganizzazione delle memorie e delle identificazioni personali (Ammaniti, 1992; Fonagy, Target, 1997). Come visto, anche la gravidanza si manifesta come una rilevante crisi evolutiva (Pazzagli et al., 1981), poiché richiede dei profondi cambiamenti, esterni ed interni, per lasciare spazio al figlio e ad una nuova identità di madre (Stern et al., 2000; Patel et al., 2005). Si è visto come la riattivazione degli affetti legati alle esperienze infantili (Fraiberg, 1975; Cohen, Slade, 1996, 1999; Lieberman, 1997) e la ristrutturazione dei propri rapporti con la famiglia di origine (Malagoli Togliatti, Tafà, 2005), porti la gestante a rielaborare le proprie esperienze infantili (Riva Crugnola, 1987) e a revisionare i propri MOI di attaccamento (Zeneah et al., 1986; Bretherton et al., 1989; Ammaniti, 1991a, 1991b; Stern, 1995; Slade, Cohen, 1996; George, Solomon, 1996, 1999; Ammaniti et al., 2007).

  

L'INFANT RESEARCH

L’Infant Research ha costituito un altro ambito disciplinare che ha influenzato profondamente sia la psicoanalisi che la psicologia dinamica. Innanzitutto, ha portato ad un profondo cambiamento della concezione del bambino nella prima infanzia (Ammaniti, 2001). Se la psicoanalisi vedeva il neonato come un essere chiuso, ora nel suo mondo narcisistico (Freud,1914) ora nel suo guscio autistico (Mahler et al., 1975), le evidenze empiriche scaturite dagli ultimi quarant’anni di ricerca hanno riscontrato nell’essere umano, già dalle prime ore di vita, motivazioni innate e capacità di grande complessità (Ammaniti, 2001; Beebe, Lachmann, 2002; Riva Crugnola,2007).

Si è di fronte ad “un bambino dotato di capacità e competenze precoci, che gli consentono di interagire e comunicare con i genitori fin dai primi mesi di vita” (Ammaniti, 1997; pag.7). Il lavoro pionieristico di Sander (1954), considerato il padre dell'Infant Research (Beebe, Lachmann, 2002), focalizzandosi sulle interazioni precoci fra i neonati e le loro figure di accudimento, ha dato il via ad una serie di studi empirici che hanno evidenziato, confermato ed ampliato la concezione del bambino come “soggetto attivo” (Riva Crugnola, 1999,2007). Fin dai primi giorni di vita, infatti, il bambino è in grado di creare una coerenza ed una organizzazione percettivo-esperienziale, autoregolarsi e padroneggiare gli eventi (Emde, 1989), cosi come di sintonizzarsi con l'ambiente intorno a lui (Stern,1995).

Le scoperte della ricerca sull’infanzia concordano così col modello evoluzionistico (Mc Guire et al., 1992; Wakefield,1997), che concepisce la mente ed il cervello come principalmente atti a facilitare l’adattamento quanto più ottimale possibile dell’individuo al suo ambiente. La rottura epistemologica che ha portato ad un modo completamente nuovo di considerare il neonato muove da una proficua integrazione multidisciplinare, che Sander (2007) ha assunto come punto di partenza del suo lavoro di ricerca.

La teoria generale dei sistemi (Von Bertalanffy,1952,1968) e le concettualizzazioni biologiche di Von Bertalanffy (1952, 1968) e Weiss (1949) costituiscono la cornice teorica di base su cui Sander (2002) impostò il suo lavoro di ricerca. L'approccio di Von Bertalanffy (1952, 1958) concettualizza la “vita” come un insieme di elementi correlati fra loro in rapporto di reciproca interdipendenza, ossia in maniera sistemica. Tale sistema è composto da più livelli concentrici, ognuno dei quali è considerato un “Sistema Vivente” e, contemporaneamente, elemento di un “Sistema Vivente” più ampio. Ad ogni specifico livello del sistema si manifestano peculiari funzioni e proprietà e, nello stesso tempo, si presentano isomorfismi per i quali possono essere sviluppate leggi e principi generali, presenti ad ogni livello. Le molecole, le cellule, gli organi, l’organismo, la persona, la famiglia, la società, la biosfera sono tutti “Sistemi Viventi” caratterizzati da crescenti livelli di organizzazione.

Per Von Bertalanffy (1952, 1968) ogni “Sistema Vivente” è caratterizzato da due principi basilari: il principio di “organizzazione” e di “attività primaria”.

Il principio di “organizzazione” si riferisce alla tendenza innata di ogni “Sistema Vivente”, e quindi di ogni organismo, a perseguire la coerenza, ossia l'integrazione fra i singoli elementi del sistema.

Il principio di “attività primaria” si riferisce all'origine interna delle azioni funzionali a raggiungere e perpetuare la coesione del sistema. Dunque, ogni organismo, ed ogni “Sistema Vivente”, è fin da subito dotato di proprietà auto-organizzative, auto-regolative e auto-correttive endogene e presenti nel proprio ambiente. L'ambiente esterno, e, dunque, un sistema di livello superiore, con cui scambiare materia ed informazioni, è la condizione essenziale all'organismo per attualizzare tali principi primari. (Sander, 1980).

L’organizzazione per Sander (ibidem) implica infatti un versante interno, di integrazione fra le parti dell’organismo, ed uno esterno, di adattamento con l’ambiente. L’interazione continua fra due sistemi è garantita dal principio di “specificità” (Weiss, 1949,1970), e di “ritmicità” (Sander, 1991; 1997).

Il principio di “specificità” consiste in “una sorta di risonanza tra due sistemi sintonizzati reciprocamente su proprietà corrispondenti” (Weiss, 1970, pag. 62) ed opera su sistemi viventi di complessità crescente. Sander (2002), nei suoi studi sulla relazione madre-bambino, diede un rilievo primario al principio di “specificità”, considerandolo alla base del concetto di “intersoggettività”. Sander (ibidem) ritiene che l'integrità del sistema “vita” è resa possibile dalla coordinazione del funzionamento tra i suoi sottosistemi, legati mediante corrispondenze temporali, spaziali e di movimento. Sander sottolinea come il principio di “ritmicità” (Sander, 1975, 1991, 1997, 2002) sia la principale modalità d'integrazione fra le parti di un sistema biologico e che ne garantisca sia la plasticità che la stabilità. Il principio di “ritmicità” si esplica nella sincronia dei ritmi biologici, funzionali a creare e mantenere tale equilibrio integrativo (Sander, 2002).

La sincronia ritmica del sistema è data dalla ricorrenza di pattern similari. Una ricerca di Sander (1975) ha evidenziato come i ritmi sonno-veglia dei neonati si coordino con i ritmi circadiani dei caregivers. In particolare, nei gruppi di bambini allattati a richiesta emergeva un organizzazione temporale stabile sia nel ciclo sonno-veglia che nell'allattamento, in collegamento con i cicli di organizzazione circadiani dei caregivers, già tra il quarto ed il sesto giorno di vita. Ciò non si verificava, invece, nei bambini allattati secondo un orario prestabilito che non sviluppavano un organizzazione circadiana e tendevano a piangere e a rimanere svegli più spesso.

La sintonizzazione del caregiver ai ritmi ed ai bisogni del neonato porta, dunque, a creare un organizzazione stabile e prevedibile, sia dei cicli di sonno che alimentari, all'interno del sistema interattivo bambino-caregiver. Tale regolarità consente la creazione ed il mantenimento della coerenza del sistema e la formazione di aspettative inerenti l'andamento dell'interazione (Sander, 2002).

I processi auto-regolativi e di regolazione interattiva procedono parallelamente e interagendo di continuo, continuamente co-costruiti da entrambi i partner dell'interazione (Sander, 1977; Demos, 1983, 1984; Lichtenberg, 1983, 1989; Stern, 1985; Stolorow et al., 1987; Tronick, 1989; Beebe, Lachmann, 2002). Tali processi regolativi organizzano l'esperienza interattiva secondo tre principi fondamentali: il principio di “regolazione attesa”, il principio di “rottura e riparazione” e il principio dei “momenti affettivi intensi” (Beebe, Lachmann, 2002).

I suddetti “principi di salienza” (ibidem) costituiscono le modalità di base con cui si esplicano gli eventi interattivi e con cui questi vengono interiorizzati, ricostruiti attivamente ed organizzati in modelli rappresentazionali che indicano modi caratteristici di auto-regolazione e regolazione interattiva. Le rappresentazioni si fondano sulle aspettative che, fin dalla nascita, l'individuo si crea degli eventi interattivi e sulle sue crescenti abilità percettive, di categorizzazione, astrazione ed, in seguito, simbolizzazione. Le interazioni esperite vengono elaborate organizzando le informazioni percettive, cognitive, affettive e dei livelli di attivazione implicate negli eventi interattivi. Tali informazioni vengono organizzate in categorie, accorpando gli elementi comuni a un insieme di esperienze caratteristiche (Strauss, 1979; Sherman, 1985; Younger, Gottlieb, 1988), da cui prenderanno forma modelli di sequenze interattive attese (Beebe, Stern, 1977; Stern, 1985; Beebe, Lachmann, 1988a, b). Nel primo anno di vita, ciò avviene a livello pre-simbolico (Meltzoff, 1985; Stern, 1985; Beebe, Lachmann, 1988a, b). La percezione di una serie di regolarità permette, dunque, al bambino di astrarre modelli di interazione, organizzandoli in rappresentazioni mediante i tre principi di salienza (Beebe, Lachmann, 2002). La regolarità e, di conseguenza, la prevedibilità risiedono nelle transazioni tra il bambino e l'ambiente e nelle loro continue trasformazioni (Sameroff, Chandler, 1975; Zeanah et al., 1989).

I tre principi sono strettamente in relazione tra loro e organizzano temporalmente le interazioni su tre livelli sovraordinati: un modello generale, relativo alle aspettative sull'andamento dell'interazione; una sequenza, inerente la disattesa delle aspettative ed il loro successivo ripristino; un momento, caratterizzato da un intensità emotiva in grado di riorganizzare l'interazione (Beebe, Lachmann, 2002).

 

All'interno del filone dell'Infant research, un altro contributo importante è stato fornito da Daniel Stern, anch'egli, come Sander e Beebe e Lachmann, psicoanalista.

Anche Stern, ha sottolineato l'importanza della funzione di sintonizzazione affettiva materna, che permette al bambino di essere compreso e riconosciuto e di ampliare i propri stati di consapevolezza.

Inoltre, in linea con le conclusioni di Sander, Beebe e Lachmann e della teoria dell'attaccamento, ha evidenziato come il neonato, fin dalla nascita, schematizza e generalizza gli episodi interattivi caratterizzanti la sua precoce esperienza relazionale, formando modelli prototipici di interazione, progressivamente più complessi (Stern, 1985).

Stern (1995) ha evidenziato le forme mentali con le quali il bambino è in grado di rappresentarsi l'esperienza soggettiva di essere in relazione con ritenendo che la strutturazione primaria dell'esperienza soggettiva del neonato si fondi sulle prime transazioni intersoggettive con le proprie figure di accudimento. La vita mentale infantile si fonda su unità di base, eventi di breve durata che contengono un singolo, ma coerente segmento d'esperienza (esperienze intersoggettive discrete).

Stern (ibidem) formula i concetti di Rappresentazioni Interattive Generalizzate (RIG) e di Schemi di essere con per indicare i modelli interattivi prototipici che il bambino si forma a partire dalla sue prime esperienze relazionali. la differenza tra i due concetti è che lo schema di Essere con viene concettualizzato da un punto di vista assunto soggettivamente dal bambino nell'interazione, mentre la RIG viene identificata principalmente dal punto di vista dell'adulto, che osserva l'interazione dall'esterno (Stern, 1995, pag. 99).

La capacità innata di astrarre, tipizzare e rappresentare pre-verbalmente l'informazione (Stern, 2002), consente all'esperienza interattiva di divenire mentale.

Ciò avviene mediante sei schemi, o “categorie fondamentali di rappresentazione” (ibidem, pag. 88).

I primi quattro schemi si riferiscono ad assunti teorici classici della teoria psicologica:

  • schemi percettivi (ad es. immagini visive);
  • schemi concettuali (ad es. il concetto di animato/inanimato);
  • schemi sensomotori (atti motori coordinati con l'esperienza sensoriale (Piaget, 1937);
  • sequenze invarianti di eventi.

 

Questi, pur potendo rappresentare un ampia gamma di esperienza sensoriali, si rivelano insufficienti per rappresentare l'esperienza soggettiva interpersonale, che richiede altre due categorie di base, una per gli affetti ed un altra per rappresentare l'intera esperienza come un evento significativo, che Stern (1995) denomina rispettivamente “forme delle sensazione temporale” ed “involucro protonarrativo”.

La categoria della “forma della sensazione temporale” si riferisce alla connotazione qualitativa-analogica dell'esperienza soggettiva ed all'intensità relativa dell'affetto. Il termine “sensazione”, preferito al termine “affetto”, enfatizza l'aspetto estremamente soggettivo del vissuto che accompagna ogni transazione fra l'individuo e l'ambiente. Il vissuto fenomenico prende forma e viene organizzato dall'andamento temporale dei cambiamenti e delle regolazioni di stato, che, integrando e coordinando sottosistemi biopsicologici eterogenei, consente la costituzione di un'unica sensazione complessa: la “Forma della Sensazione Temporale”.

La categoria dell'“Involucro Protonarrativo” è il formato rappresentazionale sovra-ordinato che coordina gli schemi di base in una singola e soggettiva esperienza interna emergente. Gli schemi di base sono concetti che si riferiscono a eventi neuro-mentali simultanei, estranei alla consapevolezza, che vengono processati in parallelo (Rumelhart, McClelland, 1986) e da cui, mediante l'interazione reciproca, la loro coordinazione ed integrazione, prende forma un singolo evento mentale unificato: il “Momento Emergente”, unità soggettiva fondamentale dell'esperienza interpersonale che viene rappresentata dagli “schemi dell'esser con” (Stern, 1995).

Tale rappresentazione avviene medianti strumenti narrativi che il bambino possiede, in forma prelinguistica, fin dalla nascita (Bruner, 1990). In altre parole, il bambino sperimenta pre-verbalmente le proprie dinamiche interattive, mediante un “involucro protonarrativo”, ossia come una prototrama, una struttura caratterizzata degli elementi universali delle narrazioni, quali i concetti di agente, azione, meta, obiettivo, rapporto strumentale e contesto (Stern, 1995).

Le rappresentazioni mentali che si formeranno, saranno, dunque, non verbali, riguarderanno la processualità dell'interazione, ossia il “fare e l'essere”, e i diversi aspetti dell'esperienza fenomenica, coordinati ed integrati in rappresentazioni complesse (ibidem).

Le RIG non sono isomorfe a nessun evento interattivo reale, ma sono la rappresentazione astratta della media delle esperienze e delle aspettative basate su di esse. La ripetizione di eventi interattivi simili, infatti, porta il bambino a formasi un episodio generalizzato intermedio che viene rappresentato pre-simbolicamente. Stern ipotizza l’esistenza di tanti RIG quanti sono i tipi di relazioni sperimentate. Quando il bambino, durante un evento interattivo, sperimenta un certa gamma di sensazioni attiverà le RIG corrispondenti a quelle sensazioni (Stern, 1995, 2002).

Le RIG, caratterizzate da fluidità e dinamicità, si ampliano ed integrano con le esperienze successive in schemi interattivi di complessità sempre maggiore. Infatti, nel ripetersi delle esperienze esterne gli elementi nuovi sono integrati in schemi sempre più complessi e generalizzati. Ogni sistema è in rapporto dinamico con gli altri e con questi cresce e si organizza in modo sempre più complesso, partendo dall'acquisizione di semplici schemi appresi, per passare poi a schemi sempre più elaborati, complessi e integrati nella continua relazione con l'esperienza vissuta (Stern, 2002).

 

PSICODINAMICA E COGNITIVISMO

I diversi orientamenti teorici in psicologia convergono, oggi, nel ritenere centrale, per lo sviluppo della personalità, la formazione intrapsichica di schemi interattivi a partire dalle relazioni realmente vissute (Fonagy, Target, 2005). Westen (1997) rileva come i vari orientamenti psicodinamici contemporanei sottolineino il contributo fondamentale delle esperienze infantili per lo sviluppo degli stili di relazione. I lavori di Beck (Beck, 1964; Beck et al., 1979; Beck, Freeman, 1990) e Mahoney (1988, 1990), in ambito cognitivista, e le concettualizzazioni, nate dall'integrazione fra psicoanalisi e cognitivismo, di Horowitz (1987), Young (Young et al., 2001), Ryle (Ryle, 1982, 1990, 1995a,; Ryle, Kerr,2002) e Luborsky (1990, 1993, 1995), ad esempio, hanno sottolineato come il funzionamento psicologico individuale dipenda largamente dagli schemi d'interazione interiorizzati fin dalla prima infanzia.

 

PSICOPATOLOGIA EVOLUTIVA E NEUROSCIENZE

Anche il filone di studi della “Developmental psycopatology” (Cicchetti, Cohen, 1995) ha significativamente influenzato lo sviluppo della psicodinamica contemporanea. In una prospettiva che colga le interazioni reciproche fra l'individuo e gli aspetti prossimali e distali del suo ambiente di sviluppo (Sameroff, Chandler, 1975), l'ontogenesi individuale è stata concettualizzata come l'esito dell'interazione reciproca di vari fattori protettivi e di rischio. Così, diversi percorsi possono condurre allo stesso stato in termini evolutivi (principio di equifinalità) e uno stesso fattore di rischio può condurre a diversi esiti psicopatologici e non (principio di multifinalità) (Rolf, 1997).

Le neuroscienze (Mundo, 2009), d'altra parte, hanno cominciato a gettare luce sui correlati neurobiologici della rimozione e della dissociazione, dell'empatia e della sintonizzazione emotiva (neuroni specchio), su come l'esperienza relazionale modifichi l'espressione genica, sugli effetti del trauma e su come la plasticità neuronale consenta all'ambiente di avere un impatto trasformativo sul cervello per tutto il corso della vita.

 

LA SVOLTA RELAZIONALE

Dai suoi albori, la teoria e la clinica, o meglio le teorie e le cliniche psicodinamiche si sono considerevolmente trasformate. E' sempre più condivisa la concezione che il perseguimento di relazioni costituisca una motivazione primaria e sovraordinata; la salute, come la patologia psichica, è sempre più concepita come il risultato della storia di relazione unica di ogni individuo; è sempre più sottolineata l'importanza di considerare l'interazione tra gli aspetti biologici, psichici e sociali. Anche l'approccio alla cura è sostanzialmente cambiato. Il paziente non è più “ingenuo”, né un individuo bloccato nella sua infanzia; non proietta semplicemente il suo mondo interno sul terapeuta, ma ne percepisce selettivamente degli aspetti reali che reinterpreta sulla base delle rappresentazioni che si è creato a partire dalla propria storia passata. Il terapeuta, allo stesso modo, lungi dall'essere uno schermo opaco su cui il paziente proietta la propria storia, o semplicemente un contenitore-codificatore di affetti non simbolizzati, o un oggetto eutrofico, riacquista la sua soggettività, utilizzando l'ascolto, l'interpretazione, il contenimento, eccetera, come funzioni terapeutiche diversificate al servizio dei bisogni del singolo paziente nelle varie fasi della terapia. Partecipa, altresì, attivamente alla relazione terapeutica, inevitabilmente agisce e prende parte all'enact del paziente, co-costruisce egli stesso ciò che cerca di comprendere e cambiare. Partecipa alla relazione, ne osserva i moti e gli sviluppi, e, aiutando il paziente ad aumentare la sua consapevolezza e a sperimentare diverse forme di relazione, lavora per la ristrutturazione degli schemi di relazione disfunzionali, fornendo un'esperienza emozionalmente correttiva che apra al paziente nuovi, autentici, co-costruiti e, al contempo, autodeterminati, orizzonti di sviluppo (Panizza, 2008; Lingiardi et al., 2011).



LETTURE CONSIGLIATE

1) L' esperienza della psicoanalisi. Storia del pensiero psicoanalitico moderno. Mitchell Stephen A.; Black Margaret. Bollati Boringhieri

2) La prospettiva relazionale in psicoanalisi. Storia, teoria e clinica. Sandro Panizza. Franco Angeli, 2008.

3) Introduzione alla psicoterapia psicodinamica di Glen O. Gabbard - Raffaello Cortina Editore



BIBLIOGRAFIA

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Data pubblicazione: 05 giugno 2015

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