L’epidemia della solitudine

albertomigliore
Dr. Alberto Migliore Psicologo, Psicoterapeuta

L'isolamento sociale è “un’epidemia crescente” sempre più riconosciuta come fattore di rischio per la salute dell’individuo con conseguenze fisiche e psicologiche. Dal 1980, la percentuale di adulti che vivono questa condizione è raddoppiata dal 20 per cento al 40 per cento.

Negli Stati Uniti circa un terzo delle persone con un’età superiore a 65 vive da solo, e la metà di quelli oltre gli 85 anni. Spesso sono persone con difficoltà economiche e bassa istruzione a cui si aggiungono disturbi dell'umore come la depressione e i disturbi d’ansia.

Ormai sono numerose le ricerche che suggeriscono che l’isolamento sociale è un male per l’uomo. Gli individui con meno connessioni sociali hanno maggior probabilità di un’alterazione, nel ritmo sonno veglia, nel sistema immunitario, e più elevati livelli dell’ormone dello stress. La solitudine negli anziani può accelerare il declino cognitivo e i disturbi psicologici. Uno studio recente ha individuato che l'isolamento aumenta il rischio di malattie cardiache del 29 per cento e di ictus del 32 per cento.

Un altro studio che analizza dati provenienti da 70 ricerche ha rilevato che gli individui socialmente isolati hanno un rischio del 30 per cento più alto di una riduzione significativa della loro aspettativa di vita.

La solitudine, al pari dell’obesità e del fumo, è un’ importante fattore di rischio per la salute dell’uomo.

La solitudine è un problema particolarmente difficile perché accettare e dichiarare la nostra solitudine porta profondo stigma. Ammettere che siamo soli può far sentire la persona come se avesse fallito in ambiti fondamentali della propria vita: l'appartenenza, l'amore, l'attaccamento. Spesso si prova vergogna, diventa così molto difficile chiedere aiuto.

La ricerca suggerisce che la solitudine non è necessariamente il risultato della mancanza di abilità sociali o di sostegno sociale, ma può essere causata, in parte, dall’insolita sensibilità agli stimoli sociali. Persone sole sono più propense a percepire in modo negativo segnali sociali ambigui, favorendo così il ritiro.

Il dipartimento di psicologia presso l'Università di Chicago, ha testato diversi approcci per il trattamento della solitudine. Scoprendo che gli interventi più efficaci si sono concentrati su come affrontare le "disadattive interpretazioni dei segnali sociali" - cioè, aiutare le persone a ri-esaminare il modo in cui interagiscono con gli altri ed interpretano i segnali sociali. 

 Altri programmi stano nascendo con la finalità di aiutare una fascia di popolazione molto sensibile all’isolamento, gli anziani. La solitudine degli anziani ha diverse radici - spesso derivante dai membri della famiglia che si allontanano e dalla scomparsa dagli amici intimi. Come afferma chi sta vivendo questa fase della vita: "purtoppo il tuo mondo muore prima di te”. Il Dr. Paul Tang della Fondazione Palo Alto Medical ha iniziato un programma chiamato “collegamenti”, uno scambio di servizi cross-generazionale ispirato all'idea che ognuno ha qualcosa da offrire. Il programma funziona permettendo ai membri di inviare una loro offerta: lezioni di chitarra, un partner a scarabeo, un accompagnatore dal medico. Un programma che ha come finalità aiutare le persona ad incontrarsi attraverso un’iniziale offerta di collaborazione. "In America, c’è il bisogno di una scusa per bussare alla porta di un vicino", "Dobbiamo abbattere queste barriere."

Il programma ha oggi in California centinaia di membri in e ha in programma di espandersi in altre aree del paese.

Così come è stato ed è ancora per il fumo e per l’obesità, sono fondamentali le iniziative, i programmi di prevenzione, che hanno la finalità di ridurre in modo significativo la solitudine in quanto importante fattore di rischio per la salute fisica e psicologica dell’uomo. Le ricerche hanno ormai sottolineato quanto le connessioni sociali siano un fattore di protezione per il benessere umano. Oggi viviamo un grande paradosso dell’epoca digitale ossia “l’iper-connessione sterile”. Una forma di connsessione che contrasta con il forte senso di solitudine e isolamento che le persone vivono. Starà compito della società - medici, pazienti, i quartieri e le comunità – lavorare per mantenere i legami dove stanno dissolvendo, e crearne dove non ci sono ancora se si vuole investire sulla qualità di vita delle persone.

Fonte: http://www.nytimes.com/2016/12/22/upshot/how-social-isolation-is-killing-us.html?smid=fb-share&_r=0

 

Data pubblicazione: 02 gennaio 2017

5 commenti

#1
Dr.ssa Valeria Randone
Dr.ssa Valeria Randone

Complimenti, argomento molto sentito.
Ai tempi dei social, dei presunti amici e degli amori touch screen, e delle solitudini mascherate, lo è ancor di più.

#2

Complimenti, bravo! C'è in effetti molta reale solitudine in giro e ci sono molte persone che .. non osano scambiare un sorriso, una battuta, perchè reduci da sconfitte e pudori.. non .. osano.e si tagliano fuori... questa proposta americana di proporre .. un aiuto.. mi sembra un'ottima idea.. da sviluppare.. Buon anno.. !

#3
Specialista deceduto
Dr. Antonio Vita


Bravo il collega. Ha trovato (e ci riporta ad) un tema molto importante nella vita di ciascuno di noi. Specie quella dei vecchi. Come si rifugge spesso da quello che ci può marchiare come portatori di "stigma" è un’altra parola da evitare: "vecchio".
La solitudine del vecchio è pesante perché non c'è tempo per il futuro. Ma la solitudine del giovane o dell'uomo di media età è una situazione insopportabile per l'essere umano.
La socialità è allo stremo?
L'articolo è "scandaloso" perché ci riconduce all'esame di noi o di molti di noi che viviamo in una società piena di clamore, di schiamazzi, eppure sempre più solitari. Come dei lupi affamati e solitari. Affamati di contatti sociali! Grazie di avercelo ricordato.

#5
Utente 397XXX
Utente 397XXX

Purtroppo la nostra società occidentale non è strutturata per coltivare le amicizie e le conoscenze. E' fatta per lavorare, produrre e consumare compulsivamente. Sono tutte cose che non aiutano la socialità. Poi c'è tanta competizione e poca solidarietà. E' interessante lo studio dell' Università di Chicago: in effetti ho notato che le persone più inclini alla solitudine si sentono poco accettate e intravedono solo il peso della stare con gli altri. Poi ho notato anche che anche gli italiani ormai hanno perso la voglia di conoscersi e stare insieme che invece negli immigrati sembra resistere. Nella biblioteca vicino a casa mia, gli unici che si ritrovano a giocare a scacchi o dama sono gli immigrati. Sembra che agli italiani non piaccia nemmeno più giocare: una volta si giocava a carte nei bar, ma dove abito (grande città del Nord) non vedo più nessuno che lo fa.

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