Emilaminectomia: terapia sbagliata?
Gentili Dottori,
Vi sottopongo il caso di mia nonna, operata di emilaminectomia a fine Marzo scorso. In data 19/03 la nonna è stata trasportata d'urgenza in ospedale a causa di un grave deficit neurologico, deficit che le comportava seri problemi di motilità e dolore (in particolare, la forza del quadricipite era estremamente ridotta). Per due giorni è stata sottoposta ad accertamenti per stabilire eventuali problemi cerebrovascolari (è stata trasferita in Stroke Unit e le è stata somministrata la cardioaspirina, nonostante fosse già in cura con un betabloccante, anche perchè 12 anni prima aveva sofferto di IMA). Nei giorni successivi al ricovero, la nonna è stata sottoposta ad accertamenti di ogni tipo e, finalmente, dopo quasi una settimana di degenza, si è deciso di farle fare una RMN (esame ripetuto due giorni dopo con liquido di contrasto, su volontà del radiologo). Il referto, arrivato in Neurochirurgia il 28 pomeriggio, parlava chiaro: "Presenza di grossolana ernia discale espulsa e dislocata cranialmente a livello L3-L4, in sede paramediana sx, con compressione della radice nervosa di sx e impronta sulla circonferenza ventrale del sacco durale. Cono midollare e cauda equina nei limiti". Alla luce del quadro RMN, i neurochirurghi avevano stabilito che dovesse essere operata d'urgenza (fra la notte e la mattina); secondo i dottori, fra l'altro, era già stato perso troppo tempo e quindi le probabilità di successo sarebbero state del 30-40%. A detta loro, infatti, l'ernia doveva essere asportata nel giro di poche ore, altrimenti la nonna sarebbe finita in sedie a rotelle per sempre. Nel corso dell'intervento, fra l'altro, la nonna ha subito una trasfusione a causa di un "sanguinamento intraoperatorio" (dipendente dall'assunzione, senza motivo, della cardioaspirina?). Successivamente, la nonna è stata sottoposta ad un ciclo di fisioterapia (durato circa un mese e mezzo), senza ottenere miglioramenti troppo significativi. A metà Giugno, poi, la nonna è stata visitata da un altro neurochirurgo di un'altra città, il quale consigliava di ripetere la RMN (da notare che i neurochirurghi che l'avevano operata non le avevano suggerito di ripetere tale esame). A fine Giugno è arrivato il referto: "Rachide lombare in asse. Esito di intervento chirurgico di emilaminecromia sinistra L3-L4. Allo stato attuale è presente ernia discale paramediana e foraminale sinistra risalente verso l'alto che comprime la radice di questo lato. Aspetto degenerato del disco intersomatico L4-L5. Marcata stenosi del canale vertebrale al passaggio L3-L4". Il "nuovo" neurochirurgo che ha consultato la nonna sosteneva, fra l'altro, che l'intervento non richiedeva assolutamente il carattere dell'urgenza (come invece ci era stato spiegato dai medici che l'avevano operata) e che, almeno inizialmente, sarebbe stato preferibile procedere con una terapia farmacologica. Un secondo neurochirurgo, consultato da mia nonna proprio ieri, ribadiva gli stessi concetti del dottore precedente. Entrambi sono arrivati alla medesima conclusione: l'intervento non era urgente (si poteva tentare una terapia farmacologica e, solo al termine della cura, sarebbe stato preso in considerazione l'eventuale intervento); inoltre, non è possibile stabilire con certezza se l'ernia attuale sia una recidiva oppure no.
Fermo restando che, se non fosse sussistito il carattere dell'urgenza (come invece era stato dichiarato da chi l'ha operata), la nonna si sarebbe fatta operare altrove, è possibile intraprendere un'azione legale, in virtù del fatto che l'operazione poteva essere rinviata (dando l'opportunità a mia nonna di essere operata, semmai, in un altro ospedale), senza contare i rischi derivanti dall'assunzione della cardioaspirina nei giorni immediatamente precedenti all'intervento? Vi ringrazio e Vi saluto cordialmente.
Vi sottopongo il caso di mia nonna, operata di emilaminectomia a fine Marzo scorso. In data 19/03 la nonna è stata trasportata d'urgenza in ospedale a causa di un grave deficit neurologico, deficit che le comportava seri problemi di motilità e dolore (in particolare, la forza del quadricipite era estremamente ridotta). Per due giorni è stata sottoposta ad accertamenti per stabilire eventuali problemi cerebrovascolari (è stata trasferita in Stroke Unit e le è stata somministrata la cardioaspirina, nonostante fosse già in cura con un betabloccante, anche perchè 12 anni prima aveva sofferto di IMA). Nei giorni successivi al ricovero, la nonna è stata sottoposta ad accertamenti di ogni tipo e, finalmente, dopo quasi una settimana di degenza, si è deciso di farle fare una RMN (esame ripetuto due giorni dopo con liquido di contrasto, su volontà del radiologo). Il referto, arrivato in Neurochirurgia il 28 pomeriggio, parlava chiaro: "Presenza di grossolana ernia discale espulsa e dislocata cranialmente a livello L3-L4, in sede paramediana sx, con compressione della radice nervosa di sx e impronta sulla circonferenza ventrale del sacco durale. Cono midollare e cauda equina nei limiti". Alla luce del quadro RMN, i neurochirurghi avevano stabilito che dovesse essere operata d'urgenza (fra la notte e la mattina); secondo i dottori, fra l'altro, era già stato perso troppo tempo e quindi le probabilità di successo sarebbero state del 30-40%. A detta loro, infatti, l'ernia doveva essere asportata nel giro di poche ore, altrimenti la nonna sarebbe finita in sedie a rotelle per sempre. Nel corso dell'intervento, fra l'altro, la nonna ha subito una trasfusione a causa di un "sanguinamento intraoperatorio" (dipendente dall'assunzione, senza motivo, della cardioaspirina?). Successivamente, la nonna è stata sottoposta ad un ciclo di fisioterapia (durato circa un mese e mezzo), senza ottenere miglioramenti troppo significativi. A metà Giugno, poi, la nonna è stata visitata da un altro neurochirurgo di un'altra città, il quale consigliava di ripetere la RMN (da notare che i neurochirurghi che l'avevano operata non le avevano suggerito di ripetere tale esame). A fine Giugno è arrivato il referto: "Rachide lombare in asse. Esito di intervento chirurgico di emilaminecromia sinistra L3-L4. Allo stato attuale è presente ernia discale paramediana e foraminale sinistra risalente verso l'alto che comprime la radice di questo lato. Aspetto degenerato del disco intersomatico L4-L5. Marcata stenosi del canale vertebrale al passaggio L3-L4". Il "nuovo" neurochirurgo che ha consultato la nonna sosteneva, fra l'altro, che l'intervento non richiedeva assolutamente il carattere dell'urgenza (come invece ci era stato spiegato dai medici che l'avevano operata) e che, almeno inizialmente, sarebbe stato preferibile procedere con una terapia farmacologica. Un secondo neurochirurgo, consultato da mia nonna proprio ieri, ribadiva gli stessi concetti del dottore precedente. Entrambi sono arrivati alla medesima conclusione: l'intervento non era urgente (si poteva tentare una terapia farmacologica e, solo al termine della cura, sarebbe stato preso in considerazione l'eventuale intervento); inoltre, non è possibile stabilire con certezza se l'ernia attuale sia una recidiva oppure no.
Fermo restando che, se non fosse sussistito il carattere dell'urgenza (come invece era stato dichiarato da chi l'ha operata), la nonna si sarebbe fatta operare altrove, è possibile intraprendere un'azione legale, in virtù del fatto che l'operazione poteva essere rinviata (dando l'opportunità a mia nonna di essere operata, semmai, in un altro ospedale), senza contare i rischi derivanti dall'assunzione della cardioaspirina nei giorni immediatamente precedenti all'intervento? Vi ringrazio e Vi saluto cordialmente.
[#1]
Cara ragazza,(ti do del tu, vista la tua giovane età)
intanto come sta tua nonna? E' stata rioperata?
In effetti ci sono un po' di cose "confuse". E' stata somministrata l'aspirina perchè avevano interpretato il deficit neurologico all'arto inferiore come espressione di un ictus? e su quali dati?
Il problema poi dell'intervento non sta se c'era o meno indicazione a eseguirlo con tanta urgenza di notte, ma sul fatto che, a quanto sembra, l'ernia discale sembrerebbe ancora lì.
Se l'ernia era espulsa e comunque causava dolore e impotenza funzionale,la terapia farmacologica sarebbe stata solo un palliativo inutile.
Quindi per riassumere, ma poi bisogna chiarire tutti gli aspetti del caso:
1) la terapia antiaggregante perchè è stata fatta?
2) l'intervento si doveva fare, non certo con tanta urgenza, ma neanche dilazionarlo molto
3) l'ernia discale sembrerebbe non esser stata rimossa
4) per eventuali responsabilità professionali, bisogna valutare tutto il caso, non ultime le condizioni attuali di tua nonna.
Disponibile per ulteriori eventuali chiarimenti, ti invio cordiali saluti
intanto come sta tua nonna? E' stata rioperata?
In effetti ci sono un po' di cose "confuse". E' stata somministrata l'aspirina perchè avevano interpretato il deficit neurologico all'arto inferiore come espressione di un ictus? e su quali dati?
Il problema poi dell'intervento non sta se c'era o meno indicazione a eseguirlo con tanta urgenza di notte, ma sul fatto che, a quanto sembra, l'ernia discale sembrerebbe ancora lì.
Se l'ernia era espulsa e comunque causava dolore e impotenza funzionale,la terapia farmacologica sarebbe stata solo un palliativo inutile.
Quindi per riassumere, ma poi bisogna chiarire tutti gli aspetti del caso:
1) la terapia antiaggregante perchè è stata fatta?
2) l'intervento si doveva fare, non certo con tanta urgenza, ma neanche dilazionarlo molto
3) l'ernia discale sembrerebbe non esser stata rimossa
4) per eventuali responsabilità professionali, bisogna valutare tutto il caso, non ultime le condizioni attuali di tua nonna.
Disponibile per ulteriori eventuali chiarimenti, ti invio cordiali saluti
[#2]
Ex utente
Gentilissimo Dott. Migliaccio,
intanto La ringrazio per la risposta.
Le preciso i punti in questione:
1) Nel ’96 mia nonna aveva avuto un IMA e la cardioaspirina le era stata somministrata a puro scopo precauzionale, nonostante noi avessimo informato il medico dell’ospedale, che l’aveva presa in cura, che mia nonna assume regolarmente il “Seloken”, prescrittole dal suo cardiologo, proprio per l’infarto subito 12 anni fa. L’ictus, inizialmente ipotizzato, era stato poi escluso con la TAC, ma la cardioaspirina le era stata somministrata da subito, ancora prima che venisse sospettato l’ictus.
2) Per quanto riguarda l’ernia: abbiamo consultato due specialisti neurochirurghi di un’altra città, i quali ci hanno comunicato la non urgenza del trattamento chirurgico (che è imminente solo nel caso si verificasse un blocco degli sfinteri) e la possibilità che si sarebbe potuta intraprendere inizialmente una terapia cortisonica, nonostante l’intervento (a causa delle dimensioni dell’ernia) fosse quasi inevitabile. Mia nonna si è sottoposta ad una risonanza magnetica post-intervento (a distanza di 3 mesi circa dall’operazione, che le è stata prescritta comunque da uno dei neurochirurghi consultati successivamente e non da quelli che l’avevano operata), che ha appunto evidenziato la presenza di quest’ernia. Da quello che ci è stato spiegato, però, risulta difficilissimo (se non impossibile), nonostante una comparazione con la risonanza pre-intervento, stabilire con certezza se l’ernia in questione non sia stata effettivamente asportata, oppure se si tratti di una recidiva o di un nuovo frammento che avrebbe trovato un canale preferenziale a seguito dell’intervento e che quindi sarebbe “fuoriuscito” nuovamente.
3) Le condizioni di mia nonna sono di sicuro migliorate, ma non è più una persona autosufficiente: cammina con il girello, non riesce ad alzarsi senza un piano d’appoggio e sale le scale con estrema fatica, attaccandosi alla ringhiera. Inoltre è spesso soggetta a cadute improvvise (l’ultima risale ad un mese e mezzo fa e le ha causato una leggera frattura della testa del perone, che è stata trattata e risolta con l’applicazione di una fasciatura per circa 2 settimane).
In attesa di una Sua risposta, La ringrazio e La saluto cordialmente.
intanto La ringrazio per la risposta.
Le preciso i punti in questione:
1) Nel ’96 mia nonna aveva avuto un IMA e la cardioaspirina le era stata somministrata a puro scopo precauzionale, nonostante noi avessimo informato il medico dell’ospedale, che l’aveva presa in cura, che mia nonna assume regolarmente il “Seloken”, prescrittole dal suo cardiologo, proprio per l’infarto subito 12 anni fa. L’ictus, inizialmente ipotizzato, era stato poi escluso con la TAC, ma la cardioaspirina le era stata somministrata da subito, ancora prima che venisse sospettato l’ictus.
2) Per quanto riguarda l’ernia: abbiamo consultato due specialisti neurochirurghi di un’altra città, i quali ci hanno comunicato la non urgenza del trattamento chirurgico (che è imminente solo nel caso si verificasse un blocco degli sfinteri) e la possibilità che si sarebbe potuta intraprendere inizialmente una terapia cortisonica, nonostante l’intervento (a causa delle dimensioni dell’ernia) fosse quasi inevitabile. Mia nonna si è sottoposta ad una risonanza magnetica post-intervento (a distanza di 3 mesi circa dall’operazione, che le è stata prescritta comunque da uno dei neurochirurghi consultati successivamente e non da quelli che l’avevano operata), che ha appunto evidenziato la presenza di quest’ernia. Da quello che ci è stato spiegato, però, risulta difficilissimo (se non impossibile), nonostante una comparazione con la risonanza pre-intervento, stabilire con certezza se l’ernia in questione non sia stata effettivamente asportata, oppure se si tratti di una recidiva o di un nuovo frammento che avrebbe trovato un canale preferenziale a seguito dell’intervento e che quindi sarebbe “fuoriuscito” nuovamente.
3) Le condizioni di mia nonna sono di sicuro migliorate, ma non è più una persona autosufficiente: cammina con il girello, non riesce ad alzarsi senza un piano d’appoggio e sale le scale con estrema fatica, attaccandosi alla ringhiera. Inoltre è spesso soggetta a cadute improvvise (l’ultima risale ad un mese e mezzo fa e le ha causato una leggera frattura della testa del perone, che è stata trattata e risolta con l’applicazione di una fasciatura per circa 2 settimane).
In attesa di una Sua risposta, La ringrazio e La saluto cordialmente.
[#3]
Beh, non mi pare che sia poi tanto migliorata!
Credo che, se le cose stanno così, sia necessario un reintervento al più presto.
Se era urgente prima, a maggior ragione lo è adesso che, recidivata o non asportata, l'ernia è ancora lì a comprimere le strutture nervose.
Salvo decisioni diverse della diretta interessata,l'eventuale responsabilità la si potrebbe prospettare non nei Sanitari che l'hanno operata, ma in quelli, medesimi o no, che non avessero proposto il reintervento.
Fammi sapere
Credo che, se le cose stanno così, sia necessario un reintervento al più presto.
Se era urgente prima, a maggior ragione lo è adesso che, recidivata o non asportata, l'ernia è ancora lì a comprimere le strutture nervose.
Salvo decisioni diverse della diretta interessata,l'eventuale responsabilità la si potrebbe prospettare non nei Sanitari che l'hanno operata, ma in quelli, medesimi o no, che non avessero proposto il reintervento.
Fammi sapere
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 3.4k visite dal 22/07/2008.
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