Il dubbio patologico: il dilemma che paralizza

carmendigrazia
Dr.ssa Carmen Di Grazia Psicologo, Psicoterapeuta

La scelta a volte può essere fonte di sofferenza perché in qualche modo, sia direttamente o meno, può condizionare non solo la nostra vita ma anche la vita degli altri. Ma supponiamo che di fronte a un ipotetica scelta si rimanga avvolti dai dubbi, imprigionati in un dilemma senza uscita, cosa può succedere? Quali sono le conseguenze? Quando preoccuparsi? Quando si può parlare di "dubbio patologico"? Come è possibile uscirne? Queste sono solo alcune delle domande a cui cercherò di dare delle risposte nel seguente articolo.

Non si dovrebbe mai esser certi di niente, perché nulla merita certezza, e così si dovrebbe sempre mantenere nelle proprie convinzioni un elemento di dubbio, e si dovrebbe essere in grado di agire con vigore malgrado il dubbio.
(Bertrand Russell)

 

Introduzione

Ognuno di noi nella vita di tutti i giorni si trova inevitabilmente a fare delle continue scelte. Ponderiamo le nostre scelte in base ai rischi o i benefici che essi possono comportare. Spesso, la scelta, può generare paura perché non sappiamo se sia quella giusta o sbagliata, spesso lasciamo il certo per l’ignoto correndo dei rischi. I dubbi sono una costante nella nostra vita, avere dei dubbi è legittimo. Spesso chi sceglie cerca di trovare la soluzione migliore, più adatta alla situazione in cui si trova, quella che reputa meno gravosa. La scelta a volte può essere fonte di sofferenza perché in qualche modo, sia direttamente o meno, può condizionare non solo la nostra vita ma anche la vita degli altri. Ma supponiamo che di fronte a un ipotetica scelta si rimanga avvolti dai dubbi, imprigionati in un dilemma senza uscita, cosa può succedere? Quali sono le conseguenze? Quando preoccuparsi? Quando si può parlare di "dubbio patologico"? Come è possibile uscirne? Queste sono solo alcune delle domande a cui cercherò di dare delle risposte nel seguente articolo.

 

 

«Il mondo non è per se stesso in nessuna realtà se non gliela diamo noi; e dunque, poiché gliel'abbiamo data noi, è naturale che ci spieghiamo che non possa essere diverso. Bisognerebbe diffidare di noi stessi, della realtà del mondo»

Luigi Pirandello

 

 

Ragione ed emozioni: paradigma della complessità

Il sociologo Zygmunt Bauman osservava acutamente che tutta la cultura moderna era nata con la promessa di sfidare, in una «guerra totale di logoramento» quel «mostro policefalo» che è l’incertezza, una sfida destinata a fallire. Ogni giorno ci troviamo a fare i conti con l’ambivalenza, l’imprevedibilità, la casualità. Vediamo l’incertezza come una minaccia, ci sentiamo vulnerabili all’ignoto. Questa è una condizione comune e condivisa dagli uomini. Di fronte al nuovo prendiamo atto della percezione della nostra impotenza. Ci sentiamo impotenti in tutte quelle situazioni che generano in noi la sensazione di perdere il controllo. È ragionevole pensare che trovarci in una condizione di certezza ci rassicura e ci fa sentire forti di fronte agli eventi.

Ma cos’è l’incertezza? Non è forse la condizione inevitabile del nostro essere individui coscienti, consapevoli di sé e del mondo? Ciò porta a una riflessione per comprendere la natura del dubbio e quando quest’ultimo diventa "patologia", bisognerebbe partire da premesse nuove, un nuovo paradigma che prende in considerazione la realtà complessa in cui viviamo. Per comprendere la realtà bisognerebbe abbandonare la logica aristotelica di causa-effetto, considerato che c’è il rischio di imbattersi in una serie di paradossi. Non si può comprendere il mondo con la sola ragione. Viviamo in una realtà complessa soggetta a continui cambiamenti e questo ci rende continuamente esposti all’incerto. La vera sfida a questo punto non è trovare delle "certezze assolute" anche perché sarebbe un tentativo destinato a fallire, ma piuttosto sarebbe utile utilizzare un metodo d’ indagine diverso da quello puramente razionale. Secondo Morin la vera sfida per la scienza e la filosofia è quella di superare la "patologia della ragione moderna". L’autore afferma infatti che la "razionalità patologica" deriva dal tentativo di semplificare, ciò che semplice non è. Vi è il bisogno di razionalizzare il tutto, ottenere delle risposte concrete, il voler rinchiudere la realtà in un sistema coerente che si appella a un pensiero lineare di causa e effetto, che anziché fornire delle certezze genera insicurezza e caos. Le emozioni vengono ritenute erroneamente irrazionali. In realtà la coscienza opera su premesse che sono inconsce, e le emozioni non sono irrazionali, al contrario operano secondo propri algoritmi, seguono una propria logica, anche se diversa da quella della coscienza e del linguaggio. È normale provare apprensione nei confronti di eventi nuovi che viviamo nel quotidiano. Abbiamo bisogno di porci delle domande per avere risposte che possono darci la sensazione di poter tenere in pugno o controllare la situazione, prevenire o prevedere per quanto possibile alcuni eventi, perché l’incertezza genera ansia e ci rende insicuri a livello personale e vulnerabili di fronte all’ignoto. Ogni dilemma che ci troviamo a risolvere, possiede delle incognite, tanto più sono le incognite presenti tanto più si accrescono i dubbi. Le domande che ognuno di noi si pone nella vita possono essere le più varie, possono essere riferite a se stessi (è lui la persona che fa per me o meglio l’altro? Mi conviene scegliere questa o quell’altra università? Quale gestore telefonico scegliere? Continuo gli studi o lavoro? Ho detto bene o male? ) possono riguardare la relazione (Mi ha detto la verità? Mi ama? Ha un’altra relazione?) o riferirsi ad azioni specifiche (Ho spento la luce prima di uscire? Ho chiuso la porta? Il gas?)

Come è possibile notare per ogni domanda è possibile trovare molte ragioni che possono portare a mettere in discussione una scelta rispetto a un’altra. Ma la “complessità” non comporta soltanto una trasformazione del modo attraverso cui guardiamo il mondo e lo costruiamo in una dinamica di senso, essa richiede un modo diverso di approcciarsi alla realtà che prenda in considerazione non solo l’aspetto della ragione ma anche l’aspetto emotivo e relazionale. Riporto qualche esempio per capirci meglio. In ambito affettivo, vogliamo certezze, vogliamo essere sicuri che l’altro non ci lascerà mai. Ma chi può garantirlo? Questo è sicuramente un contesto dove il dubbio e le incognite regnano sovrane, ma pochi riescono ad accettare l’imprevedibilità e la mutabilità di alcune variabili nel tempo. Vogliamo qualcosa di misurabile oggettivamente prevedibile, dimenticando forse che la sfera delle emozioni e dei sentimenti non sono quantificabili. Difficilmente accettiamo questo principio perché significherebbe forse accettare la possibilità di fare i conti con una sofferenza o la difficoltà di accettare la fine di un amore?

 

 Dal dubbio "sano" al dubbio "patologico"

Avere dei dubbi, non è necessariamente qualcosa di negativo in quanto è inevitabile se ci relazioniamo a una realtà complessa. Tramite il dubbio riconosciamo anche i nostri limiti e la nostra fallibilità. Un dubbio "sano" ci permette di porci una serie di domande che prendono in considerazioni più aspetti del quesito in questione e del contesto di riferimento e della nostra soggettività. In questo caso qualunque sia la scelta abbiamo preso una decisione e siamo passati all’azione.

Diversamente il dubbio "patologico" è una forma di disturbo ossessivo. Ciò che determina questo tipo di disagio è caratterizzato da pensieri che si traducono in domande alle quali la persona cerca di fornire una risposta seguendo la logica del "pensiero lineare" o causa-effetto. Seguendo questa logica accade che la risposta fornita alla domanda si traduce in un’ulteriore domanda, la cui risposta non è certa, creando un vero e proprio dilemma di domande-risposte dalla quale la persona non riesce più a districarsi. Questo dà vita a un circolo vizioso fatto di domande e risposte che generano una serie di dubbi che sono invalidanti, che generano sofferenza e confusione nella persona e non le permettono di agire. La persona rimane intrappolata in un dilemma senza uscita.

 

Quali sono i sintomi?

La persona si blocca è come se si trovasse in un incrocio e non riuscisse a scegliere la strada da percorrere. Teme che la scelta non produca gli esiti desiderati, cerca di controllare tutte le possibili conseguenze della propria scelta. Paradossalmente cerca di trovare delle risposte razionali alle moltitudini di domande che affiorano nel tentativo di controllare tutte le possibili conseguenze, ma il risultato finale sarà la "non scelta". Ciò genera in lei una forte sofferenza che la porta a richiede continuamente una serie di rassicurazioni ad amici e familiari, producendo in lei sempre più insicurezza nel prendere delle decisioni. Tra i sintomi più frequenti oltre alla forte ansia e bisogno di rassicurazione il più delle volte ciò porta a una rimuginazione continua senza via d’uscita, dove la componente razionale- ossessiva fa da capostipite alla base del disagio riportato. L’impossibilità di fare delle scelte a causa dei continui dubbi, porta la persona a sentirsi inadeguata insicura, teme di sbagliare e viene spesso assalita dall’ansia. La persona perde la fiducia in sé stessa, si sente incapace di prendere delle decisioni. Le sensazioni che avverte sono legate alla paura e all’ansia di non essere all’altezza in tutte quelle situazioni che richiedono una scelta. Vi è anche un tentativo di controllare le sensazioni provate, la persona cerca di controllare le proprie emozioni, viene assalita dall’ansia e teme di perdere il controllo, teme di impazzire. Tutto ciò si ripercuote sul tono dell’umore, la persona si sente giù, stanca, manifestando una serie di sintomi che spesso vengono confusi con quelli depressivi. La persona ha la sensazione di trovarsi dentro un labirinto di domande e risposte, pensa più volte al giorno la stessa cosa, e non riesce a porvi rimedio.

 

Come uscirne:l'approccio sistemico relazionale

Come è possibile ipotizzare, occuparsi di questo disturbo significa utilizzare un approccio terapeutico che prenda in considerazione la complessità del disagio presentato dalla persona; spesso infatti il dubbio patologico rappresenta solo una parte del malessere presentato. L’obiettivo di una terapia non è il semplice inquadramento nosologico di un soggetto, ma deve tener conto del vissuto soggettivo ed esperienziale della persona al fine di dare un senso alla vicenda umana. Questo tipo di procedimento lo si può riscontrare in diversi approcci terapeutici, come ad esempio l’approccio psicodinamico o sistemico relazionale. Fra le varie forme di intervento, l’approccio sistemico relazionale considera la persona all’interno del suo sistema di riferimento, ponendo particolare attenzione alla connessione dei molteplici livelli che entrano in gioco. La diagnosi sistemica equivale alla ricostruzione di una trama dai molteplici livelli, dove il "tempo" rappresenta uno strumento epistemologico per eccellenza. Infatti, il tempo come chiave di lettura della storia familiare della persona (passato presente e futuro), permette di entrare negli eventi delle storie trigenerazionali, a cogliere convenzioni transgenerazionali e i significati simbolici della storia familiare che la persona porta in terapia. L’approccio sistemico relazionale, infatti, permette, facendo appello al modello epistemologico della complessità, di risalire alle cause che hanno dato origine al disagio. Tale approccio come altri tipi di approcci psicoterapici permettono di lavorare su più aspetti, sulle emozioni, sui pensieri e sulle relazioni. Inoltre un atro obiettivo della psicoterapia consiste nell’aiutare la persona a renderla consapevole dell’inesattezza e indicibilità delle domande che si pone e alle quali vuole fornire delle risposte, lavorando sulla ristrutturazione della percezione del dubbio.

L’incapacità di prendere decisioni, è spesso determinata dalla difficoltà di mettere in atto delle strategie funzionali. L'approccio strategico è un altro tipo di approccio terapeutico che si è rivelato utile, in grado di produrre cambiamenti rapidi e risolutivi. Questo tipo di intervento va alla radice del problema intervenendo sui meccanismi e le logiche che mantengono attivo il problema. Vengono inoltre, utilizzate una serie di strategie e di esercizi che mirano a spezzare questa catena di domande-risposte-dubbi-domande. Uno dei tanti è la logica paradossale nel prescrivere ciò di cui vogliamo liberarci, ad esempio si chiede alla persona di non cercare risposte razionali a domande che di razionale non possiedono nulla, in questo caso l’obiettivo è quello di bloccare le risposte per inibire le domande patogene. Oppure si può procedere con una prescrizione paradossale chiedendo alla persona di prendere nota di tutte le domande e risposte che le vengono in mente fino al loro esaurimento.

 

Bibliografia

Bateson, G. (1977) Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi

Bauman Z.,(2014) La società dell'incertezza, Il Mulino

Boscolo L., Cecchin G., Hoffmann L., Penn P, (2004).Clinica Sistemica, a cura di Paolo Bertrando, Bollati Boringhieri

Morin Edgar (1993),  Introduzione al pensiero complesso Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità tr. it. a cura di M. Corbani, Sperling & Kupfer, Milano

Nardone G.,(1998) Psicosoluzioni risolvere rapidamente compliicati problemi umani, Bur Milano,

Vallario L., (2010) Il cronogramma. Uno strumento per la psicoterapia Franco Angeli,

https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html

 

 

 

 

Data pubblicazione: 31 maggio 2018

Autore

carmendigrazia
Dr.ssa Carmen Di Grazia Psicologo, Psicoterapeuta

Laureata in Psicologia nel 2006 presso Università degli studi di Palermo.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Emilia Romagna tesserino n° 7828.

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