Hellraiser - L'euforia e la mania tra piacere e dolore

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Il massimo piacere che coincide con il massimo dolore. Questo è il tema portante della serie horror “Hellraiser”. I protagonisti dei vari capitoli sono alla ricerca di una chiave per ottenere un piacere estremo, e vengono a conoscenza dell’esistenza di un misterioso congegno, a forma di scatola, che può aprire una porta verso un’altra dimensione spirituale. In questa dimensione una congrega di spiriti, denominati Supplizianti o Cenobiti, controllano l’anima del malcapitato offrendogli il massimo piacere ed insieme il massimo dolore. Chi supera la soglia del piacere non riesce a tirarsi indietro in tempo per evitare il carico di dolore che viene dopo, e così si ritrova sbranato e ridotto a brandelli, sequestrato in una specie di camera della tortura eterna. Soltanto con la sofferenza di altre vittime il sequestrato potrà ritrovare un corpo di carne, sangue e ossa e tornare in vita, per continuare a pagare il suo debito di piacere ai Supplizianti. Il debito non si estinguerà mai, naturalmente, perché appena chiunque abbia superato la soglia è ormai schiavo del desiderio.

 

L’idea di Hellraiser coincide con il binomio piacere-dolore che si ritrova in psichiatria in due sindromi correlate, e cioè il disturbo bipolare e le dipendenze. L’euforia, spontanea o indotta da sostanze o situazioni, è solitamente per il cervello un credito, che è speso in maniera gradule e periodicamente si rinnova. Si può dire che a cose normali si riesce a procedere con un credito di carburante dato dalla gratificazione già avuta, o dalla promessa di quella che si avrà. Il problema nasce quando l’euforia è molto intensa o rapida, perché in questo caso il cervello spende l’eccesso di euforia comprandolo “a debito”, come quando si stipula un mutuo per un oggetto che non si può pagare in contanti. Quel debito corrisponderà, dopo ad una sensazione di noia, carenza di stimoli o perdita di un livello di euforia senza cui niente sembra più proponibile. In gergo si chiama questo stato affettivo “ipo-foria”, che significa “passarsela male” rispetto ad una condizione di felicità sperimentata prima, che ha lasciato un buco, un cratere. La persona cercherà quindi piaceri sempre più intensi, forti per colmare il vuoto e ritornare sulla cresta dell’onda. Purtroppo, per lo stesso meccanismo di partenza, colmerà il primo debito a prezzo di un secondo, ancora più gravoso.

 

Il destino del disturbo bipolare non trattato è infatti quello di iniziare con fasi euforiche per finire con un umore cronicamente insoddisfatto, smanioso ma sfiduciato, lontano da una realtà di gratificazione ma invece ossessionato dall’idea di ritrovare l’energia e gli stimoli perduti.

 

Lo stesso capita a chi utilizza sostanze e ne diviene dipendente, e cioè rimanere schiavo dell’idea di avere la carica o la felicità da una sostanza, ma vedere questo piacere svanire nel nulla troppo presto o addirittura subito dopo aver consumato la sostanza. Il desiderio cresce, il piacere si oscura sempre di più. Alla fine, l’unico modo per evocare il piacere diventa qualcosa di estremamente intenso, ma proprio per questo estremamente rischioso, instabile ed “esplosivo”. Molte persone che apparentemente amano il rischio o sembrano votate all’autodistruzione, in realtà cercano in maniera estrema di essere gratificati in maniera diretta e potente. In altre parole, è come tenere acceso il fuoco di un caminetto utilizzando polvere da sparo o benzina. O come cercare di illuminare una stanza sparando fuochi d’artificio. Per questo chi accede al piacere “proibito”, quello più in alto di tutti, rischia di essere fatto a brandelli nel momento stesso in cui prova l’orgasmo che cercava.

E’ curioso come il dolore stesso sia l’altra faccia del piacere, biologicamente. Il sistema su cui agiscono ad esempio gli oppiacei come l’eroina è lo stesso che svolge normalmente anche una funzione analgesica. Gli stimoli dolorosi, o lo sforzo fisico, o le sollecitazioni meccaniche in generale producono un rilascio di morfine “interne” che tamponano il dolore ma possono produrre allo stesso tempo una sensazione piacevole. Produrre dolore diviene quindi un modo per sollecitare anche i sistemi che inducono piacere, e questo naturalmente fa coincidere, pericolosamente, il danno con il piacere.

 

I Supplizianti, che hanno l’aspetto di uomini in abbigliamento sado-masochistico, portano addosso ferite o mutilazioni. Il capo, “Pinhead”, ha una testa che è una sorta di puntaspilli, con aghi posizionati geometricamente. Sono i sacerdoti del piacere, che cercano di cavarlo fuori prima dal dolore proprio, poi da quello degli altri. Sono figure cupe, dall’espressione piatta. Così fa il soggetto dipendente dall’euforia, che per ottenere su di sé un’euforia sempre più difficile usa il proprio corpo scuotendolo, agitandolo, sollecitandolo e danneggiandolo, finché danno e orgasmo sembrano parte di una stessa confusa esperienza. E in questo turbine la felicità si spenge sempre di più. Così fanno i soggetti bipolari, che nel tentativo di scacciare la depressione cercano di riprodurre la “mania” euforica, ma in questo finiscono per sottoporre il cervello ad uno stress che non può tollerare, se non indebitandosi ulteriormente per la depressione successiva.

 

Le terapie in questi disturbi cercano di ridurre la smania, per evitare nuovi fasi euforiche in cui il debito di gratificazione cresca, ma questo significa nell’immediato una depressione, magari attenuata ma persistente per qualche tempo, come fase intermedia tra la malattia e il ritorno ad un piacere vissuto, vero e quotidiano, con una soglia più bassa e la capacità di godere “a credito”. I Supplizianti sono la metafora dell’attaccamento che le persone con una storia di fasi euforiche hanno per l’euforia che hanno provato, disposti anche a distanza di anni a rischiare ancora il tutto per tutto pur di provare di nuovo a oltrepassare la soglia del piacere assoluto.

 

 

Data pubblicazione: 15 ottobre 2011

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