Depressione: dove nessuno posa lo sguardo

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Dove nessuno posava lo sguardo

stavamo lì

lontani dal giorno e persi nella notte

dove gli echi arrivavano distanti e si smarrivano in un vecchio silenzio

stavamo lì

su un filo in bilico

a guardare gli altri cadere

ed il fiero traballare

equilibristi dell'assurdo

e tutti sapevano che stavamo lì

ma nessuno conosceva il luogo

tutti guardavano guardavano il cemento

ma nessuno respirava il potere

e restavamo sempre lì

nel candore dell'inverno e nell'ardore dell'estate

ai flauti di primavera e ai violini d'autunno

fin quando anche uscirne non avrebbe avuto senso

anche quando ne uscivamo, stavamo lì

di Aral Gabriele.  Vedi http://www.youtube.com/watch?v=9lrAAuVW-vc

Questa poesia è scritta da Aral Gabriele, condannato per l'omicidio dei genitori. Secondo i giudici l'omicidio sarebbe maturato come reazione alla scoperta che il ragazzo aveva falsificato il libretto universitario facendo credere di aver terminato il corso di studi e di essere prossimo alla laurea.

Al di là del fatto di cronaca, la poesia contiene alcuni elementi molto suggestivi di un sentimento depressivo. Innanzitutto l'estraneità, il sentirsi fuori, su un altro piano, più lento, più opaco, più sotterraneo, come quei sottoscala che hanno le finestre con visuale all'altezza della strada, e da cui si possono vedere i passi degli altri senza vederne le teste, e senza essere visti. Una posizione tra il nascosto e il sepolto, in cui non si sa se appunto si è stati sepolti dall'indifferenza di tutti o ci si è nascosti per un senso di smarrimento e paura.

C'è dell'altro, una specie di ironia sul fatto di essere sepolti e nascosti, quando si dice che gli altri lo sanno, il mondo lo sa che il depreso è laggiù sepolto o nascosto, eppure fa finta di niente. Magari non vuole vederlo, o lo ritiene vile e aspetta che reagisca da solo, o ancora è cinicamente indifferente. E' un sentimento comune, soprattutto nella cosiddetta depressione atipica, quello della rabbia o comunque della delusione nei confronti di tutto il mondo che trascura, non aiuta, non si interessa di chi è depresso, non porge una corda per uscire dalla palude.

Ovviamente si tratta di un punto di vista depressivo, che si avvolge su se stesso poiché il mondo di solito ignora passivamente (cioè non si accorge e non immagina) più che ignorare attivamente (cioè sapere ma trascurare la sofferenza della persona). La visione della depressione come un girone infernale, in cui tutti non possono guardare altrove che in terra, "il cemento", e nessuno "respirava il potere"...in questo c'è quasi un sapore biologico, la vita della depressione diventa quasi un odore, un sapore, una sensazione molto primitiva che manca, che è troppo lontana, un profumo inarrivabile. In effetti la sede emotiva è proprio vicina ai centri che regolano queste sensazioni del gusto/odore, per cui collegare l'umore ad uno stato di mancanza di gusto e di odore è un'immagine quasi "anatomica".

Il depresso non sente più la differenza tra il gradevole e lo sgradevole, la differenza di temperatura, tra il silenzio e il rumore, l'inaridimento fa concentrare soltanto sulla propria sofferenza. La propria sofferenza è muta, cieca, fredda, ma soprattutto non si muove più in nessuna direzione, non permette più di fare confronti o misure. E' qualcosa di assoluto e senza misura, senza tempo addirittura. Chi è depresso potrebbe essere lì da un minuto o da anni, ha la sensazione di una privazione anche di tempo, di scorrimento del tempo. Non si muove più la vita in alcuna direzione, ristagna.

L'ansia è una come la goccia del lavandino che ricorda in continuazione questa angoscia, ma non abbastanza per scuotere. L'evoluzione della depressione dal semplice sentimento che ammorba le giornate al vero e proprio cambiamento del modo di pensare a sé e al proprio futuro si legge nella chiusura della poesia. Entra il sintomo depressivo più grave, che è la mancanza di speranza: la persona comincia a pensare, in un assurdo inspiegabile, che uscirne ormai è impossibile, perché anche se potesse risalire, ormai sarebbe imprigionato in un destino sotterraneo, invisibile e scuro. Star bene per un depresso grave non è più niente, non è come si sente ma neanche una condizione possibile per il futuro.

Da qui la tendenza a non curarsi, a non chiedere neanche aiuto, a vivere il proprio destino come una condanna, giusta o ingiusta che sia (alla fine neanche questo conta più). E' in queste circostanze che la persona smette di lamentarsi, o si fa vedere apparentemente attiva, così da allontanare l'attenzione degli altri da sé, mentre cova il sentimento di "non ritorno".

Chiaramente questa poesia rappresenta almeno in apparenza la realtà del carcere, del confinamento, della mancanza di libertà che protratta per anni costringe a chiudersi in un mondo interiore desolante. Forse il carcere stesso è un modo per rappresentare il sentimento depressivo, e un dolore incomunicabile.

Per fortuna in psichiatria non è sempre necessario comunicare a parole, dare un nome a ciò che si sente. Gli occhi, il modo di parlare, i vocaboli scelti, l'espressione del viso e addirittura le frasi che ricorrono come fossero degli "slogan" depressivi permettono a chi osserva di riconoscere una depressione senza confonderla con la tristezza o la demoralizzazione, e senza andare a cercare ipotetiche cause che spesso non ci sono (questo è uno degli elementi incomunicabili, essere depressi senza un perché).

Data pubblicazione: 02 novembre 2011

3 commenti

#1
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Utente 228XXX

Questo articolo mi ha colpito per la sua profondità, per la sua capacità di guardare con occhio umano e dotato di grande sensibilità. Una grande profondità nel cercare di penetrare la sofferenza della depressione, di capirne i meccanismi più reconditi, di cercarne una risposta.
E questo andare a fondo è la premessa per cercare una risposta, una soluzione al problema, un qualcosa che dia finalmente alla persona quel sollievo esistenziale che sicuramente cerca dentro di sé.
Bello leggere queste cose, e vedere persone, come il Dott. Pacini, capaci di andare in profondità nelle cose, di comprendere e capire le problematiche che stanno dietro qualcosa. Con grande occhio umano e grande slancio proteso verso la conoscenza e la consapevolezza.
Grazie, Dott. Pacini, per quello che ci ha offerto in questo testo, per quello sguardo umano che, davvero, può cambiare la vita delle persone.

#2
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Ex utente

Sono colpita dalla poesia e dal suo commento, sono un familiare di persona depressa da più di 20 anni che fra alti e bassi ha sempre cercato di lottare. Purtroppo, ultimamente, forse per stanchezza, sembra essersi chiusa in se stessa "sepolta e nascosta" nella convinzione che uscirne sia oramai impossibile. Le persone colpite dalla depressione, così come le loro famiglie, si sentono sole a tratti anche emarginate, si prova talvolta vergogna e talvolta rabbia e si sperimenta l'indifferenza ed il cinismo legato a "non produci? Sei inutile... anzi sei dannoso!".
Ma io non mi voglio arrendere. Preferisco una persona depressa per eccesso di sensibilità ad un arrivista senza cuore.
Grazie Dott. Pacini mi piacerebbe incontrarla di persona.

#3
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Dr. Matteo Pacini

Mi viene in mente una sintesi che un mio collega fece del tipo di reazione che un depresso provoca negli altri, diceva "il depresso grave ti fa pena, il distimico (cioè il depresso meno grave) ti dà ai nervi". Infatti questa è spesso la reazione nei confronti di quelle depressioni che sembrano e sono migliorate come intensità dei sintomi ma continuano nella loro componente di pensiero, di autostima e di speranza. Non è vero comunque che nelle forme che durano da tempo non vi sia speranza. La mancanza di speranza è una caratteristica della depressione, è un sintomo e non una considerazione. Vale spesso il contrario, anche in situazioni che razionalmente non hanno grandi vie d'uscita la speranza c'è e si fonda anche sul nulla, perché è un sentimento possibile. Nella depressione invece la speranza e la fiducia in un modo diverso di esistere viene meno. Come dicevo non è un ragionamento ma un sintomo della depressione stessa, e non è neanche una caratteristica che rende refrattari alle cure.

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