L’autostima e i bambini: riflessioni per i genitori

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Dr.ssa Giselle Ferretti Psicoterapeuta, Psicologo

“Mio figlio soffre di bassa autostima!!” Sempre più spesso mi succede di ascoltare la preoccupazione di mamme riguardo all’autostima dei propri figli, bambini o adolescenti. Ma cosa significa? Di cosa parliamo? Cosa si può fare?

Di cosa si tratta esattamente?

L’autostima è la considerazione che un individuo ha di se stesso, il valore e il giudizio che si attribuisce, ciò che pensa di contare come persona.

E’ uno dei nuclei che sostiene la personalità e il carattere dell’individuo, ed è un bagaglio dal quale tirare fuori il necessario nelle situazioni difficili.

L’autostima è composta da molti elementi:

1) Il grado di accettazione di se stessi che a sua volta dipende:

- dalla buona valutazione delle proprie capacità;

- dalla fiducia nelle proprie emozioni e sensazioni;

- da un buon rapporto con il proprio corpo;

- dalla sensazione di potersi fidare di sé.

2) La sensazione di poter agire e di avere alternative

3) Il sentirsi capaci, che scaturisce

- da successi e insuccessi vissuti;

- dalla modalità di affrontare le esperienze nuove;

- dal tipo di lettura data ai fallimenti.

Come si forma?

Non esiste il “gene” dell’autostima, né un suo uno sviluppo “naturale”. L’autostima va coltivata. La nascita psicologica dell’essere umano passa attraverso il rapporto con l’Altro (familiare in primo luogo, ma anche sociale e culturale) e l’autostima ne è una componente fondamentale.

Per i bambini il rapporto con l’Altro è indispensabile, è fondante. La cura dei bisogni fisiologici primari è necessaria, ma assolutamente non sufficiente.

Qual è l’ingrediente fondamentale per nutrire l’autostima nel bambino?

Sapere di avere un posto nell’Altro, sapere di essere amato e desiderato per il solo fatto di esistere, indipendentemente da quello che fa e che sa. Se passa questo messaggio, il nucleo dell’autostima del bambino è forte, stabile e tutto il resto viene da sé.

A parole è un concetto semplice e sembra scontato, quale genitore non lo sa? Invece è molto difficile trasmettere questo messaggio perché entrano in gioco molti meccanismi psicologici, comunicativi, educativi che lo rendono complicato.

Le aspettative

Presupposto indispensabile affinché il bambino possa credere in sé, è che i genitori credano in lui. E’ facile trasmettere al bambino che si crede in lui se è “bravo”, ma cosa succede quando sbaglia? Spesso di fronte ad un errore scolastico o di comportamento viene rimproverato e si confonde l’azione compiuta dal bambino con la sua persona. Dire “Sei cattivo!” è diverso da “Hai fatto una cosa cattiva”. Oppure pronunciare “Sei sempre distratto” è diverso da “Questa volta hai sbagliato perché ti sei distratto”.

Le aspettative dei genitori sui figli sono spesso condizionate dalle proprie paure: si “rivedono” sui bambini le proprie difficoltà pronunciando giudizi che invece non gli appartengono: “Non gli piace la scuola, proprio come ero io alla sua età”. Oppure si “proiettano” su di loro i propri desideri: “Diventerà un campione di basket”.

Gli adulti rappresentano uno “specchio” per i bambini: essi avranno un’idea di quello che sono sulla base di ciò che i grandi rimandano loro. Per lo meno fino all’adolescenza: in questa epoca della vita viene messo tutto in discussione. Per questo può accadere che un bambino in cui si è creduto poco, può diventare un adolescente timido insicuro e continuamente bisognoso di rassicurazioni. Oppure può trasformarsi in un piccolo genio poiché ha scoperto quali sono i suoi talenti e li ha messi a frutto, dimostrando ai genitori che si erano sbagliati su di lui.

Una buona norma generale da seguire è quella di riconoscere e valorizzare le doti e i talenti dei propri figli, cercando di distinguerli dai propri!

“Io non valgo niente”

Capita di sentire il bambino pronunciare queste parole: i significati sottesi possono essere diversi.

- E’ possibile che il bambino sia stato continuamente svalutato e non crede alle sue capacità.

- Il bambino ha varie difficoltà effettive, a scuola per esempio, e sente che il suo valore o meno, dipende solo da questo.

- Possono essere pronunciate da bambini o ragazzi molto capaci e bravi, a scuola o nello sport: è probabile che siano troppo perfezionisti, sentono di dover mantenere alti standard nelle prestazioni e temono che se non lo fanno possono perdere la stima conquistata fino in quel momento.

“ Sono un incapace”

Anche in questo caso bisogna analizzare cosa c’è dietro. Ci sono varie possibilità:

- Il bambino non accetta di sbagliare.

- Non prova neanche.

- Si arrende dopo una serie di insuccessi.

Cosa fare?

I genitori dovrebbero chiedersi a cosa è dovuta la reazione negativa di fronte all’insuccesso: se è causata da limiti oggettivi, oppure se il bambino sottovaluta le sue possibilità, o ancora, se chiede troppo a se stesso.

In ogni caso, la prima azione da svolgere è rassicurare il bambino sul piano emotivo. Non conta tanto “cosa” si dice, ma “come”: il messaggio che deve passare è “ti voglio bene lo stesso, tu vali comunque” . Ma bisogna esserne convinti!! Ai bambini non si può mentire!

Solo dopo averli fatti sfogare, dopo averli rassicurati affettivamente, e dopo aver dato all’insuccesso la giusta dimensione, si può affrontare il problema da un punto di vista pratico.

Il bambino ha dei limiti oggettivi dovuti all’età? Lo si aiuta e gli si spiega che crescendo migliorerà.

Se il problema è che sottovaluta le sue possibilità e non tenta neanche, allora bisogna trovare il modo di trasmettergli il gusto, il piacere e il divertimento alla scoperta di cose nuove.

Invece, se il problema è il perfezionismo, bisogna insegnare al bambino la tolleranza alla frustrazione che deriva dagli insuccessi.

Ma ancora una volta bisogna essere sinceri con se stessi come genitori: si è disposti ad accettare i fallimenti dei figli quando non si accettano i propri? Anche il concetto di fallimento va spiegato meglio: sbagliare è lecito, quando si impara qualcosa di nuovo, o quando si vuole perfezionare qualche abilità acquisita: gli errori sono le prove per arrivare ad un risultato soddisfacente. Il problema non sono gli errori, ma il significato che gli attribuiamo. Se li consideriamo parte del percorso, e se trasmettiamo questo messaggio ai bambini, è come piantare il seme della sicurezza in sé che porterà dei frutti importanti: il coraggio di tentare e di sbagliare, accettare se stessi nel trionfo, ma anche nella sconfitta.

Un errore pedagogico classico è questo: sottolineare ai bambini ciò che sbagliano e non valorizzare i successi perché si teme che possano ‘montarsi la testa’. E’ esattamente il contrario. Evidenziare continuamente ciò che il bambino non sa fare, favorisce la costruzione di una immagine personale al negativo “Io non so fare questo…io non riesco in quello…”

Il desiderio più grande dei bambini è quello di essere riconosciuti, vogliono attenzioni: premiare quello che fanno di buono ed ignorare un comportamento non gradito, rappresenta un ottimo modo per consolidare ciò che si desidera insegnare, ed alimenta l’autostima!

Il rapporto con il corpo

E’ un altro bersaglio classico della scarsa autostima: è molto frequente che il bambino o l’adolescente sostengano di non piacersi. Il rapporto con il proprio corpo è problematico ad ogni età, seppur in modo differente. C’è sempre uno scarto tra l’immagine ideale del proprio fisico e il corpo reale, con le sue caratteristiche e le sue pulsioni, che non sono facilmente controllabili. C’è molta differenza a seconda dell’età. Molti genitori si saranno confrontati con la rabbia dei figli di fronte all’evidenza di non riuscire a svolgere qualcosa, un gioco ad esempio, perché non c’è stato il completo sviluppo della motricità fine; oppure con il dispiacere di essere “meno belli” di un compagno o di una compagna. In adolescenza il conflitto con il corpo è più forte: questo è normale perché i ragazzi devono fare i conti con dei repentini cambiamenti fisici e psicologici, e integrare la nuova immagine nel concetto di sé è un percorso difficile.

Anche in questo caso, che fare?

Rassicurare è la parola d’ordine. E in seguito valorizzare in modo positivo ciò che li distingue dagli altri. Capita che siano proprio i genitori, a volte, ad evidenziare qualche difetto nei loro figli. Bisogna fare molta attenzione a questo, perché le parole della madre e del padre hanno un peso enorme, vengono interiorizzate e risuonano sotto forma di giudizio interiore. Questo non vuol dire che bisogna pesare ogni parola che si dice ai propri figli, però è bene rendersi conto in tempo, se si insiste troppo su una caratteristica non proprio positiva. Basta ascoltarli e osservarli bene per capire se si sta sbagliando.

Per concludere

Queste sono alcune riflessioni che propongo sulla base della mia esperienza. Il ruolo di genitori e adulti significativi che hanno a che fare con i bambini è fondamentale e determinante, ma non bisogna mai dimenticare che non si può controllare tutto dell’educazione: esiste la soggettività, ovvero la libera interpretazione degli avvenimenti. Per questo i genitori non devono stupirsi se il figlio diventa diverso da come se lo aspettavano o da come lo hanno cresciuto.

Vorrei evidenziare un ultimo aspetto: molti genitori, leggendo, avranno pensato: “E’ sempre colpa nostra!”

Freud scriveva che ci sono due mestieri impossibili, governare ed educare.

Allora mi piace sottolineare la differenza che c’è tra responsabilità e colpa.

Si tratta di ‘colpa’ se si compie un errore deliberatamente, per colpire, per fare male. La ‘responsabilità’ è un’altra cosa: si tratta di rispondere per le azioni e le scelte che vengono fatte. I genitori sono responsabili per le scelte che compiono, devono chiedersi quali sono le conseguenze. Non è possibile non fare errori, ma è possibile riconoscerli, correggerli, cercare di non compierli più tanto spesso.

Si tratta di mettersi in discussione. E se vi siete interessati a questo articolo e l’avete letto, sicuramente siete molto propensi a farlo.

 

 

Alcuni riferimenti bibliografici:

S. Freud, Introduzione al narcisismo (1914), in Opere, vol. VIII , Bollati Boringhieri Torino, 1976-1980

J. Lacan “Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’”Io”, in Scritti, Einaudi Torino, 1974

P. Santagostino, Crescere un bambino sicuro di sé, Red Edizioni, Milano 2000

Frascarolo-Moutinot France, L' autostima nei bambini, Vallardi editore, 2012

Michele Giannantonio, Mi vado bene? Autostima e assertività, Edizioni Erickson, 2010

 

Data pubblicazione: 08 settembre 2012

20 commenti

#1
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Ex utente

molto interessante.

#2
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Utente 219XXX

A quando l'articolo per gli insegnanti? :) E' un campo molto interessante e fecondo quello del rapporto tra autostima e scuola. Nella pratica didattica è un processo molto delicato riuscire a valorizzare un alunno senza nello stesso tempo infondere in lui aspettative irrealistiche. Soprattutto è difficile far capire agli alunni con difficoltà nell'apprendimento che la scuola non è tutto e sono molti i tragitti che portano alla realizzazione. La tragedia è poi quando questo tipo di alunno sovrainveste la scuola e lega la sua autostima esclusivamente al risultato scolastico.
Lei come mi consiglia di intervenire?

#3
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Dr.ssa Giselle Ferretti

Io direi che non c'è molta differenza rispetto all'atteggiamento che dovrebbero tenere i genitori: soprattutto nella scuola primaria, l'insegnante rappresenta una sorta di seconda mamma. Il punto è che i bambini cercano di aderire alle aspettative degli adulti significativi perché in questo modo la loro giovane vita acquista un senso. "Il desiderio del soggetto è il desiderio dell'altro", scrive Lacan. Quindi, lei chiede come non far montare la testa al bambino che colleziona successi a scuola. Io direi valorizzando i fatti, slegandoli dalla persona: "hai fatto bene questo compito" anziché "sei stato bravo". Questo è un esempio. Però l'insegnante come il genitore dovrebbe farsi una sorta di esame 'delle aspettative' e domandarsi quanto lega il suo essere bravo come insegnante, al rendimento dei suoi alunni.
Per quanto riguarda gli alunni con disturbi dell'apprendimento è necessario trovare il modo di trasmettere il messaggio che la differenza è un valore aggiunto. Ed è fondamentale che sia i genitori che gli insegnanti siano realmente convinti di questo, devono operare in collaborazione e sinergia. È importante il modo di comunicare con questi bambini, e comunque di possono organizzare molte attività in classe in tal senso.

#4
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Dr.ssa Giselle Ferretti

Vorrei fare una ulteriore considerazione in merito al mondo della scuola: io trovo che, principalmente, bisogna trasmettere agli alunni il piacere della scoperta, la curiosità e la passione per la conoscenza. Purtroppo, per tantissime ragioni diverse, quello che emerge come prioritario è la trasmissione delle nozioni.

A mio avviso, gli insegnanti dovrebbero valutare di più il primo aspetto che non il secondo. Ovviamente non si può non valutare il livello di apprendimento, e i bambini acquisiscono una misura di quello che sanno fare anche su questa base. Ma non deve risultare l'aspetto più importante. Bisogna trovare il modo di valorizzare la personalità e la creatività dei bambini!

#5
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Utente 219XXX

La ringrazio per i Suoi preziosi consigli.

#6
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Dr.ssa Giselle Ferretti

Grazie a lei per avermi dato la possibilità di puntualizzare alcuni aspetti!

#7
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Utente 270XXX

Come rieducatrice della scrittura non posso che sottolineare quanto scritto. Ho sempre a che fare con bimbi che, causa anche la "brutta scrittura" hanno bisogno innanzitutto di credere di potercela fare. Se la disgrafia è un DSA e riguarda generalmente o il cattivo apprendimento o un problema lagato alla motricità fine, esso si risolve e non incide sulle qualità intellettive. Allora occorre motivare e far sempre presente che si riuscirà nell'impresa. Personalmente lavoro molto sul positivo e quindi su ciò che di bello viene fuori ad ogni seduta. Gli errori o ciò che si poteva fare meglio è generalmente sottolineato dal bambino stesso una volta che acquisisce gli strumenti per fare una valutazione critica. L'auto valutazione è il miglior strumento per fare meglio la prossima volta.

#9
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Dr. Daniel Bulla

Cara Collega,
complimenti, un articolo ben fatto, molto concreto e utile per tutti i genitori. Grazie!

#12
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Ex utente

Grazie dottoressa per il suo articolo,
Sono un uomo di 35 anni ed ho letto attentamente il SUo articolo ce trovo molto interessante, non riesco pero a capire alcuni conetti fondamentali che riguardano l'autostimadei bambini, mi spiego meglio:
Ho subito un infanzia che purtroppo (o per fortuna..poi capiu dal mio teso il perchè) vorrei dimenticare, non ho per fortuna subito abusi sessuali ma fisiici e psicologici al punto che più volte si è dovuto ricorrere all'intervento delle forze dell'ordine e servizi sociali epr potermi assicurare un'esistenza serena.Ho notato in me una forte mancanza di fiducia nei confronti degli altri, delle istituzioni compensata da un'estrema forza di carattereche mi porta, sin dall'età di 10anni a non piangere innanzi al dolore fisico,( a dieci anni ebbi 4 punti al piede per una ferita procuratami al piede sinitro, aprii la ferita con le dita ed ebbi 4 punti di sutura..il tutto semza gridare e/o versare una lascrima con lo sgomento di medici ed amici!),e dolore mentale al punto che accetto facilemnte la fine di una relazione(lo stalking non sembra proprio appartenermi!) non solo, ma a differenza di tanti miei coetanei,ho una forza di carattere di gran lunga superiore, ho molta fiducia nelle mie abilità e sono consapevole dei miei limiti mentali e fisici, pur avendo un carattere estremamente dolce con mia moglie e mio figlio, e sopratuttto riflessivo e brillante nel proprio lavoro (premetto che ho perso il mio lavoro quando mia moglie incinta e senza deprimermi ho cercato una soluzione...ora dopo un anno la mia carriera da ingegnere va a gonfie vele!) ma
Ho potuto notare cioè che tutti coloro i quali sono stati appoggiati dai genitori durante la propria infanzia ed adolescenza e che abrebbero dovuto avere una magiore autostima, mostravano più un bisogno di allearsi al "più forte" per non essere pestati (mentre io ero ben lieto di prenderle pur di non farmi assoggettare dal bulletto di turno!!!) Può spigarmi cosa è successo?
Aspetto una Sua cordiale risposta e le porgo i miei piu distinti saluti e dubbi riguardo le teorie da lei esposte.
Grazie

#13
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Dr.ssa Giselle Ferretti

"Esiste la soggettività, ovvero la libera interpretazione degli avvenimenti."

Gentile utente,
la risposta alle sue domande è racchiusa in questa frase: ognuno di noi si trova a vivere delle situazioni familiari e di vita che non sceglie, ma questo non limita la nostra possibilità di scegliere cosa fare di quelle esperienze. Ci si può cullare nella bambagia di una infanzia serena e senza problemi aspettandosi di essere sempre protetti e accuditi; si può diventare dei piccoli Calimero, ovvero adagiarsi nel vittimismo di chi dice "capitano tutte a me, quanto sono sfortunato" perché si è avuta una infanzia triste e piena di problemi; si può trasformare le proprie sventure di vita in occasioni di crescita e di cambiamento positivo, per sé e per gli altri, come Lei ci ha ben descritto.

In sostanza, ogni persona che vive ha la propria quota di responsabilità nel tipo di vive che conduce: i genitori hanno la responsabilità del modo in cui educano i figli, e i figli hanno la loro responsabilità in quello che faranno di ciò che hanno vissuto.

Ovviamente i genitori hanno una responsabilità maggiore quando i figli sono piccoli! I bambini non possono avere consapevolezza di come trasformano quello che vivono. Lo diventeranno, consapevoli, da grandi, in un percorso di maturazione che dura....tutta la vita!

Il mio articolo era rivolto a loro, quindi mi sono concentrata su cosa possono fare per seminare il germe dell'autostima, che poi verrà coltivato da tanti e tanti altri fattori.

Spero di aver chiarito i suoi dubbi e mi scuso per aver risposto in ritardo, ma mi sono accorta solo ora del suo messaggio.

Grazie per il suo contributo.

#16
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Utente 392XXX

Gentile dottoressa,
nell'affannata ricerca di risposte nel web sono arrivata al suo articolo, la ringrazio per la chiarezza. Sono una mamma di una bimba di tre anni e mezzo, socievole, estroversa e per niente timida ma in difficoltà a gestire le situazioni nuove. Frequenta la scuola materna gia al secondo anno e prima ancora il nido, ma se provo a portarla in piscina, a danza o se deve partecipare ad una gita, entra in crisi, non ci vuole andare, non vuole nemmeno provare. Nei suoi sfoghi la frase più comune è "ora no, quando cresco grande" se tento di approndire allora emergono frasi come " non ci riesco" " è troppo difficile". Sto cercando di leggere, di raccogliere consigli su come poterla aiutare. Io tento spesso di spiegarle che non importa se non riesce, che deve avere pazienza, che ci vuole tempo per poter imparare, ma al momento non funziona. Le sarei immensamente grata se volesse dispensarmi qualche piccolo consiglio.

#17
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Dr.ssa Giselle Ferretti

Gentile signora, grazie per la fiducia.

Com'è il suo rapporto con le novità? (Suo intendo di lei che mi scrive.)
E quello del padre?
Cosa ne pensa il padre delle preoccupazioni che mi espone?
E' così importante che provi o intraprenda "ora" queste attività? (piscina, danza o un altro corso). Se sì, perchè?
Riflettendo su queste domande dovrebbe avere qualche spunto in più per capire ciò che accade e su ciò che non accade come vorrebbe.

Lei descrive sua figlia come socievole, estroversa e per niente timida, ha tre anni e mezzo, forse davvero adesso non ha interesse per altre attività che non siano il gioco libero. Oppure tali attività le vengono proposte un pò troppo come un "dovere".
In via del tutto generale, ciò che appare come divertente e desiderabile, viene intrapreso volentieri. Quindi è sempre bene non forzare troppo la mano, ma proporre e vedere che succede, anche se non subito.
E' bene imparare a conoscere la propria figlia, osservandola, senza aspettative (molto difficile, ma molto importante) per vedere quali interessi emergono spontaneamente, poi provare ad assecondarli ed invitarli a tentare.

Cosa ne pensa?

#18
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Utente 392XXX

Gentile Dottoressa,
rifletterò sicuramente sulle domande da lei suggerite, ho deciso di proporre attività alternative alla mia bimba perchè è molto vivace e tutta la settimana attende con ansia ed entusiasmo quell'unica ora di ginnastica che fa all'asilo, tutte le mattine mi chiede "mamma oggi c'è ginnastica?", allora ho pensato di farle provare qualche attività nel pomeriggio, ripetendole continuamente "amore ci devi andare solo se ti diverti altrimenti non importa". Nel momento in cui mi dice che non vuole andare non forzo minimamente e non ci riprovo nemmeno. Stamani l'asilo ha organizzato una gita in un paese vicino al nostro per far fare la vendemmia ai bambini, ho parlato ad Adelaide di questa esperienza diverse volte durante la settimana evidenziandone l'aspetto divertente del pullman, della raccolta dell'uva etc. le ho anche fatto degli esempi attraverso i cartoni animati, ma solo perche ci tenevo che facesse un'esperienza divertente e fino a ieri era leggermente dubbiosa, stamani appena si è svegliata ha iniziato a piangere disperatamente perchè non voleva assolutamente andare.
Mi scusi se sono stata poco chiara nella mia esposizione ma ho scritto nel tentativo di farle capire la situazione reale per poter ricevere le giuste osservazioni.
La ringrazio ancora.

#19
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Dr.ssa Giselle Ferretti

Gentile signora,
è difficile dare indicazioni precise in un consulto online, non è lei a non essere chiara, si tratta di un limite intrinseco al sistema.
Se lei e il padre della bambina ritenete che ci sia una qualche forma di blocco in vostra figlia, rivolgetevi ad uno psicologo che si occupa di famiglie e di infanzia e chiedete una consulenza, esattamente come ha fatto qui. Riuscirà ad aiutarvi in maniera più specifica e completa. Vi aiuterà a capire se c'è un problema (se c'è) e come affrontarlo.
Cercare su internet va bene per farsi una idea in generale, ma per le questioni specifiche è bene parlare di persona.

Un caro saluto.

#20
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Utente 392XXX

Credo lei abbia assolutamente ragione, la ringrazio per il tempo dedicato.

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