Che cos'è la schizofrenia?

fcannistra
Dr. Flavio Cannistrà Psicologo, Psicoterapeuta

La schizofrenia è considerata un male oscuro.

Quando si parla di “pazzia” o di “matti” il primo pensiero va a tipologie di comportamenti propri di questo disturbo.

Il cinema le ha dedicato film importati, spesso grandi successi: da Qualcuno volò sul nido del cuculo con Jack Nicholson a Diario di una schizofrenica, fino ai più recenti Spider e il famoso A Beautiful Mind con Russell Crowe, ispirato a una storia vera.

Ma al di là dei risvolti cinematografici, di cosa si tratta in realtà?

Il DSM (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, largamente usato da chi lavora nel campo della salute mentale – benché abbia limiti notevoli e riconosciuti) inserisce la Schizofrenia tra i Disturbi Psicotici; la loro caratteristica principale è quella di un esame della realtà compromesso, ad esempio con manifestazioni quali deliri e allucinazioni.

Qui dobbiamo fare una prima distinzione tra due categorie di sintomi: quelli positivi e quelli negativi. In questo caso “positivo” e “negativo” non stanno a significare “buono” e “cattivo”. I sintomi positivi si riferiscono alla presenza di certe condizioni che comunemente non sono presenti nelle persone: ad esempio un pensiero distorto ed estremizzato, come nel caso dei deliri, o un linguaggio quasi del tutto (o anche completamente) incomprensibile, come nella cosiddetta “insalata di parole” o come in quei casi in cui il paziente parla una lingua inventata, fino alla percezione di oggetti inesistenti, come nel caso delle allucinazioni. I sintomi negativi, invece, si riferiscono all'assenza o alla riduzione di certe condizioni tipiche: può ridursi la capacità di provare ed esprimere certe emozioni, o il comportamento verso un fine può essere fortemente limitato.

Gli studi del Mental Research Institute, nella seconda metà del secolo scorso, diedero un importante contributo alla comprensione della schizofrenia. Autori come Gregory Bateson, Don Jackson, Jay Haley ecc., mostrarono l'importanza di un contesto comunicativo disfunzionale nello sviluppo della schizofrenia. Con l'elaborazione del concetto di doppio legame (o doppio vincolo), si arrivò a formulare che i sintomi psicotici – e la schizofrenia nel suo insieme – fossero un tentativo di non comunicare. I soggetti psicotici infatti venivano considerati immersi in un ambiente in cui le comunicazioni venivano disconfermate senza via di scampo. L'esempio più classico è quello del bambino che, quando prova ad abbracciare la madre, vede che questa si irrigisce; così si allontana, ma quella lo rimprovera dicendogli: “Perché non mi abbracci? Non mi vuoi bene?”. Di fronte a questo paradosso (dove qualunque cosa faccia è comunque "condannato") il bambino tenta la fuga nella schizofrenia: un tentativo di non comunicare, di non fare né l'una né l'altra cosa.

Tali studi furono col tempo integrati con nuove teorizzazioni, ma diedero un impulso notevole alla ricerca, tanto da meritarsi il prestigioso Premio Fried From-Reichman per il contributo alla comprensione della schizofrenia. Inoltre, gli stessi autori specificarono che il doppio legame non causa la schizofrenia, ma che nei contesti in cui c'è un paziente schizofrenico si evidenzia la presenza di continue comunicazioni di doppio legame.

  

Riferimenti bibliografici
Bateson G., Jackson D.D., Haley J., Weakland J.
(1956). Verso una teoria della schizofrenia. In G. Bateson, Verso un'ecologia della mente. Milano: Adelphi, 1976.
Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Roma: Astrolabio, 1971.

Data pubblicazione: 09 maggio 2013

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