Ictus emorragico

Ultimo aggiornamento: 28.10.2009

Reparto di Neurochirurgia Ospedale dell’Annunziata – Cosenza

Arriva il momento in cui in ospedale l’aria diventa pesante.
Arriva il momento in cui la senti premere sulla testa, abbissarti le spalle, piegarti la schiena verso il basso.
Diventa difficile stare in piedi.
Diventa difficile stare dritto in piedi.
Di solito non ci vuole moltissimo perché l’aria diventi pesante così, specialmente per me. Certo, c’è chi resiste di più, chi di meno ma questo momento arriva sempre.
Questo momento arriva per tutti.

E senti l’aria bruciarti dentro. Diventare troppa e troppo calda. Fai esperienza di come l’aria possa anche soffocarti.
Mai l’avresti pensato.
E mai avresti pensato di ritrovarti lì a dondolare nella notte senza neanche accorgertene appeso alle parole di un dottore.
Capita.
Capita che tua madre abbia un ictus emorragico. Capita che tu l’abbia vista solo tre giorni prima. Era un compleanno. I bambini crescono.
E continuano a crescere perché il tempo passa e un bambino cresce ad ogni istante e credevi di saperlo e invece l’hai appena imparato.
Capita. Capita che ti sveglino la mattina di buon’ora. E’ Domenica.
Capita che tu debba vestirti in maniera veloce e meccanica sorprendendoti di come siano lenti i tuoi gesti nonostante la fretta, di come il tuo corpo sia maldestro ed ingombrante, di come non ti segua svelto ed efficiente mentre il tuo pensiero è già a lei, è arrivato, si è messo di guardia, si è fermato, aspetta paziente il tuo arrivo. Capita che lei la portino a Cosenza, all’Annunziata. E tu pensi alla Madonna, pensi, neanche troppo infondo, che il posto non ti piace, non ti fidi. Capita che per qualcuno già la corsa sia stata inutile. E tu sei lì e il mondo lucidamente ti sembra una palla immobile fatta di ghiaccio.

A te sembra il tempo si sia dilatato e invece è questione di ore la diagnosi, la fine questione di giorni.

A te sembra solo di tenere un capo del filo mentre lei si è allontanata d’un tratto con l’altro, e intorno senti dire come sia complicato cercarla, di come sia impossibile organizzarsi e andarla a prendere e tu resti lì a stringere il tuo capo sempre più forte, e ti sembra di essere tornato piccolo, troppo per avviarti da ometto coraggioso e farlo tu e ti accorgi di aspettare spasmodicamente il suo ritorno, e ti accorgi che già non stai più guardando l’orizzonte in cui si è persa, e ti accorgi che ormai stai solo sperando ad occhi chiusi.

Capita che in tutto questo si incontrino persone.

Capita che all’inizio per te siano medici e infermieri, guardie giurate ed inservienti, capita che siano una voce specifica, un colore distintivo, un orario di entrata, un orario di uscita. Capita che per un pò monti dentro la rabbia. Capita che poi si sciolga in disperazione. Capita che alla fine negli occhi si legga nostalgia. Capita che in fondo resti solo l’amore. Capita d’un tratto che quella voce trovi un volto e che insieme facciano un uomo come te, che ha una madre come la tua e ti guarda e davvero ti vede e lo sente il tuo dolore e ti chiede se hai domande, e trova tempo di risposta, e ti spiega cosa fa, come lo fa, perché lo fa. E capita che invece di mandarti via, tu, puoi restare. E con te i tuoi. E con noi loro, intorno, accanto, fasci di nervi, pelle a coprire, cuori a pulsare, donne, uomini, umani come te. E lei se ne và. E tu sei rimasto, con lei, fino alla fine. E loro sono rimasti con te.

Medici e infermieri e guardie giurate ed inservienti con una propria luce che vedi distinta perché succede di notte ma non è buio, è la vita. E le hanno dato cura e assistenza e pace e dignità. E non ti dispiace più sia arrivata a Cosenza, all’Annunziata. E pensi alla Madonna e avverti il senso. Per tutti loro che hanno dato il meglio tu cerchi parole.

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