Un decennio di ansia senza via d'uscita

Da circa dieci anni è andato crescendo in me un senso di ansia e angoscia nei confronti della quotidianità che è andato crescendo. Si tratta di paure grandi e piccole: praticamente ogni normale evento mi causa esagerate apprensioni, e ci sono alcune cose (di cui parlerò in seguito) che sono diventate delle vere e proprie ossessioni, e che mi impediscono di fatto una vita serena.

All'inizio, sembrava una forma di gelosia ossessiva (nei confronti del mio partner) che mi aveva spinto a rivolgermi per la prima volta a uno psichiatra. Per circa un anno e mezzo rimasi in cura da lui (prendevo Citalopram e ci vedevamo per un colloquio alla settimana). Alla fine, sembrava che il problema si fosse in qualche misura risolto e, dietro mia decisione, terminammo sia i farmaci che i colloqui.

Qualche anno dopo, si ripresentarono due ossessioni, che sono tuttora il mio principale problema: l'ipocondria e un esagerato timore che i miei genitori si ammalino e muoiano. Quest'ultima idea ossessiva, in particolare, è perniciosa: i miei hanno circa ottant'anni, e ovviamente si ammaleranno e moriranno. Per altro, io vivo da vent'anni in un'altra città (anche se ogni fine settimana torno da loro), e da tredici anni convivo felicemente (con un altro uomo, e non escludo naturalmente che la mia omosessualità, che i miei conoscono ormai da qualche anno, sia parte del problema).

Comunque, nel desiderio di alleviare l'ansia mi rivolsi di nuovo a un famoso psicologo comportamentale a Milano, il quale mi disse che il mio non era un disturbo serio (ne parlò come di un DOCchino, cioè, un piccolo D.O.C.) e mi reindirizzò a un altrettanto famoso psichiatra, il quale mi ordinò senza colpo ferire dello Zoloft.

Da allora (cinque anni fa) prendo regolarmente uno Zoloft 50 ogni mattina. Ma non mi pare che in effetti i miei problemi siano significativamente migliorati. Da circa un anno sono di nuovo in cura da uno psicologo e psichiatra, il quale sostiene che il mio è un disturbo ipocondriaco e fino a questo momento ha deciso di non togliermi la sertralina, e di fare un colloquio la settimana.

Da tre mesi sono lontano dall'Italia per lavoro, e le cose vanno come sempre, anche senza colloqui. Anzi, quando sono lontano il pensiero della malattia e dell'invecchiamento dei miei si riduce di intensità, anche se quando si avvicina il momento del ritorno (cosa che sta avvenendo ora) sento riavvicinarsi le paure di sempre. Mi chiedo in che stato troverò mio padre e mia madre, penso che mi abbiano nascosto dei nuovi piccoli acciacchi che invece saranno il segno di una malattia gravissima che sta arrivando ecc.ecc.

Sono davvero in dubbio su cosa fare. Benché normalmente io mi fidi molto dei medici, e moltissimo delle medicine, non credo più che uno psicologo sia in grado di aiutarmi. Per lo meno, le mie esperienze, passate e presenti, non sono state di grande giovamento. Non sto criticando l'operato dei professionisti con cui ho avuto a che fare: in particolare, il dottore da cui attualmente sono in cura credo sia bravo e molto schietto.

Ma non sta risolvendo il mio problema. Che anziché svanire si sta ingrandendo, e sta diventando sempre più urgente.
Al mio ritorno in Italia dovrò prendere delle decisioni. Ma non so a chi rivolgermi, né se la mia situazione abbia una via d'uscita, o per lo meno se abbia un nome.

Io penso che si tratti di un GAD (ma il mio psicologo non è d'accordo con me, lui ritiene che si tratta di ipocondria e basta), ma la specifica ossessione nei confronti dell'invecchiamento dei miei genitori, e della separazione da loro, mi pare sia una cosa di cui non soffre nessuno. Il che mi fa sentire, oltretutto, un caso isolato, una specie di pazzo che ha delle ossessioni che nemmeno hanno un nome.

Spero che possiate trovare una parola per me.
[#1]
Dr. Mariano Indelicato Psicologo, Psicoterapeuta 124 4 1
Gentile utente,
credo che concentrarsi sulla diagnosi esatta le serva a poco;semmai il problema è quello di riuscire a trovare il modo con cui uscire dai suoi problemi. Da questo punto di vista penso che debba lavorare sullo svincolo dalla famiglia di origine.

Indelicato Dott. Mariano
idm@dottindelicato.it
www.dottindelicato.it
www.psicoterapiacoppia.it

[#2]
dopo
Attivo dal 2008 al 2012
Ex utente
Caro dott. Indelicato,

senz'altro lei ha ragione. Il problema, in effetti, mi pare proprio quello --- cioè, come mai alla mia tenera età (di quarant'anni), con una vita di coppia affiatata, un lavoro invidiabile, molti amici ecc.ecc. io non riesco a rompere il vincolo dalla mia famiglia di origine?
Come mai continuo a sentire loro come il mio riferimento principale, e vivo con angoscia l'idea di una separazione? E' un atteggiamento che sarebbe comprensibile se avessi, che ne so, quindici anni, ma non certo ora che ne ho quaranta!

Posto che questo sia (e lo penso anch'io) il nucleo del problema, non mi è chiaro quale possa essere la soluzione. La psicoterapia? e quale? la religione? o questo è il famoso "male di vivere" e lo devo accettare così com'è? Ma se è così, perché la maggior parte dei miei coetanei riesce a "farsene una ragione" e io no?
[#3]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Gentile utente
Spesso ciò che fa soffrire le persone da un punto di vista psichico ha delle sfaccettature molto personali. Ogni categorizzazione dei disturbi ha sempre un intento semplificatorio, per cercare di gestire la molteplicità in cui questi disturbi possono manifestarsi, nella maggior parte dei casi.

A volte, però, ciò che causa sofferenza è qualcosa di talmente individuale e personale che può essere difficile non solo esprimerlo esattamente, per chi soffre, ma anche afferrarlo esattamente per chi ascolta. Da ciò la difficoltà che sta incontrando nel trovare un professionista in grado di aiutarla in maniera decisiva.

La esorto tuttavia a non smettere di cercare, se sente che ancora non si è riusciti ad andare fino in fondo: potrebbe davvero valerne la pena. Sì, anche superata la soglia dei 40.

Cordiali saluti

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#4]
Dr.ssa Ilenia Sussarellu Psicologo, Psicoterapeuta 648 21 5
Gentile Utente,
mi rendo conto di quanto sia difficile continuare a credere in una cura quando non se ne vedono gli effetti

A proposito: ma non se ne vedono davvero gli effetti?

Lei sa che la maggioranza delle persone che hanno un problema simile al suo non arrivano mai da uno psicologo o dallo psichiatra? Questo succede perchè molte persone che soffrono d'ansia temono di essere dei "matti".

L'accettazione della propria malattia psicologica è di solito il primo obiettivo da raggiungere, poichè direttamente collegato alla motivazione al trattamento, e per quanto la riguarda questo sembra un passo che ha già fatto, o no?

Inoltre tenga presente che è tipica di questi problemi (ansia, pensieri ossessivi, ipocondria, ecc) una certa tendenza alla preoccupazione, che si esplica di solito nella continua "verifica degli effetti", verifica che di solito ha esito negativo

Infatti curare un problema come il Suo non è semplice proprio perchè il paziente tende continuamente a verificare ed a verificarsi, entrando in una logica di preoccupazioni infinite.

In questi casi la cura migliore è data dall'associazione tra psicoterapia cognitivo-comportamentale e farmacoterapia.

Io non so di che orientamento sia il suo psicologo, ma se è davvero una persona schietta come Lei lo definisce non credo avrà problemi a raccogliere questa sua nuova richiesta. E' nel Suo interesse.

Per questo le consiglio, prima di cambiare terapeuta, di stampare questi nostri scambi e di leggerli nella prossima seduta

Cordialmente

Dr.ssa Ilenia Sussarellu, i.sussarellu@libero.it
Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale, Psicologo Cilinico-Forense

[#5]
Dr. Mariano Indelicato Psicologo, Psicoterapeuta 124 4 1
Gentile Utente,
io credo che la psicoterapia sia la soluzione migliore ai suoi problemi unita con la farmacoterapia. Non so che indirizzo segua il suo terapeuta, credo che quello adatto sia l'indirizzo sistemico-relazionale che possa affrontare lo svincolo.
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