Ansia sociale

Gentili Dottori,
sono un ragazzo di 23 anni. Cercherò di essere breve, per quanto possibile. Mia madre è stata in depressione post parto per 10 anni dopo la mia nascita. Dai 3 ai 5 anni ho frequentato un asilo, gestito da suore, che erano solite picchiarmi, in particolare ricordo una volta in cui non riuscii a trattenermi la pipì e mi misero di fronte a tutta la classe che per punizione doveva ripetermi "vergogna,vergogna", dunque una violenza sia fisica che psicologica. I miei genitori non erano al corrente di queste violenze e le scoprirono solo dopo quando mi iscrissero in un altro istituto per le elementari. Il tutto saltò fuori perchè io, non vedendomi trattato male da nessuno, chiesi alla maestra "maestra ma qui i bambini non li picchiate?", in pochi giorni raccontai tutto. Da allora cominciai ad avere il terrore della scuola, piangevo, sbraitavo e scappavo via quando dovevano mettermi il grembiule, oltre alla paura di abbandonare i miei genitori, anche solo per 5 minuti, che rappresentavano per me sicurezza e protezione. Sviluppai dunque un ansia da separazione. Cominciarono le crisi di panico la notte. Andai da uno psicologo, anche se non ricordo nulla, ma per quanto ne so lo psicologo capì che il problema non ero io ma i miei genitori. Cosi furono i miei genitori a finire dallo psicologo. Da allora sono cambiato, all'età di 10 anni passarono le crisi di panico, cominciai a frequentare più spesso i miei amici, per la prima volta ero felice. Le conseguenze di tutto ciò sono, ovviamente, riflesse sul mio carattere oggi, in particolare insicurezza e timore del giudizio altrui, se dovessi fare un autodiagnosi direi che soffro di una lieve ansia sociale, con alti e bassi a seconda della situazione. Nonostante queste "paure" non mi nascondo, ho un bel gruppo di amici, sono fidanzato, al liceo ho fatto addirittura il rappresentate di istituto, ero popolare e benvoluto. Chi mi conosce nota subito che sono un ragazzo timido e insicuro, siccome assumo atteggiamenti psicosomatici di irrequietezza che lo manifestano chiaramente.
Sono qui a scrivere perchè credo di avere un conto in sospeso con il mio passato, come se mi mancasse un passaggio, come se i miei genitori ancora mi dovessero raccontare qualcosa, qualcosa che hanno paura di raccontarmi perchè comprometterebbe inevitabilmente il riaffiorare dei loro sensi di colpa nei miei confronti, di qualcosa che ormai è acqua passata e forse loro per primi vogliono dimenticarla, mentre a me servirebbe a conoscermi meglio, a capire chi sono.
Credo di avere intenzione di risolvere questi conflitti interiori una volta per tutte, per cui nei prossimi giorni, probabilmente, chiederò ai miei di incontrare uno psicologo per risolverli. La mia domanda è: devo dire tutto ciò ai miei genitori? o devo limitarmi a chiedere di incontrare uno psicologo e parlarne solo con lui? Insomma il "grande passo" voglio farlo, ma come?
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Caro Utente,

è possibile che, anche a causa dell'età che aveva quando è emerso quello che subiva all'asilo, lei non abbia avuto tempo e modo per elaborare le violenze delle quali è stato fatto oggetto e che non abbia quindi pienamente recuperato (o costruito) un'immagine di sè positiva, di ragazzo sicuro e capace.

E' perciò un'ottima decisione quella di rivolgersi ad uno psicologo che la possa aiutare in questo.

Come mai pensa che il suo stato d'animo attuale possa dipendere da qualcosa che i suoi genitori non le avrebbero ancora raccontato?

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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Utente
Utente
Gentile Dott.ssa Massaro,
innanzitutto La ringrazio per la risposta. Il problema è che il trauma che ho vissuto all'asilo non credo sia l'unica causa scatenante delle mie insicurezze. Tenga in considerazione il fatto che questi 10 anni infelici della mia vita siano stati gestiti da mia madre, che era in uno stato di depressione, mentre mio padre era per la maggior parte del tempo a lavoro. Per di più tutto ciò che ho riportato sopra non è tutto frutto dei miei ricordi, ma di quello che mi è stato raccontato successivamente. Ed è solo dopo che mi è stato raccontato che ho cominciato a ricordare. In più soltanto l'anno scorso ho scoperto di questo stato di depressione di mia madre nei miei primi dieci anni di vita, così come solo due anni fa ho scoperto che mia madre era già stata sposata prima di incontrare mio padre. Usando dell'ironia, il mio passato è una fiction a puntate... e la sensazione è quella di non avere ancora chiara la trama. Potrei sbagliarmi, ma forse non è stata gestita bene la cosa, forse mi è stato nascosto troppo per troppo tempo. Nonostante ciò, rispetterò per sempre le loro scelte, giuste o sbagliate che siano state. D'altronde sono esseri umani e hanno le loro debolezze così come io ho le mie.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Ha provato a chiedere apertamente se c'è altro che le debbano dire?
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Utente
Utente
No. In quei 10 anni devono aver avuto anche loro un atteggiamento nei miei confronti che, a quanto pare, è stato "corretto" da uno psicologo. Ergo desumo che c'era qualcosa che non andava del loro comportamento nei miei confronti. E' quello che vorrei sapere, ed ero venuto qui a chiedere consiglio proprio su questo:
chiederlo direttamente a loro?
o parlarne prima con uno specialista?
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Di sicuro nessuno psicologo le può rispondere su quello che è successo nella sua famiglia, non essendo stato presente e quindi informato sui fatti, perciò almeno una parte delle sue domande dev'essere rivolta direttamente ai suoi genitori.

Che rapporto ha con loro in questo momento?
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Utente
Utente
Un buon rapporto, ma non solo ora, ho sempre avuto un buon rapporto. Capita spesso che non condivido il loro modo di pensare, essendo la mia una famiglia benestante, tradizionale, ancora legata al "classismo" di un tempo. Di riflesso anche io sono portato a ragionare come loro, spesso creandomi pregiudizi che forse non sono farina del mio sacco. Ad esempio quando uscii da quel periodo infelice cominciai a frequentare ragazzini del mio quartiere che non erano del mio "ceto sociale" (per dirla a parole loro). Ma un bambino vuole divertirsi, non vuole selezionare il ceto sociale delle persone. Quei ragazzini sono stati la mia salvezza e i miei genitori mi permisero di frequentarli proprio perchè sapevano del mio bisogno di libertà relazionale. Questo dai 10 ai 13 anni salvo poi farmi notare la differenza sociale che c'era fra me e loro, io figlio di una famiglia con radici nobili e loro chi figlio del falegname chi figlio del muratore e così via. Ad oggi la mia volontà è prevalente sulla loro, se volessi ad esempio sposare la figlia di un falegname (sembra un discorso orrendo, ma necessario per rendere idea) lo farei, senza crearmi alcun problema del loro giudizio, consapevole che la mia libertà viene prima della loro nelle decisioni della mia vita. Questo sarebbe il momento in cui, forse, uno psicologo mi direbbe "temi il giudizio degli altri perchè in passato hai temuto il giudizio dei tuoi genitori" e avrebbe buone probabilità di aver ragione. Ma io la mia battaglia d'indipendenza l'ho vinta già da tempo e voglio mettermela alle spalle, ciò che vorrei fare adesso è lavorare su me stesso da solo o con l'aiuto di qualcuno.
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Utente
Utente
Comunque ci tengo a ringraziarLa per la Sua disponibilità, con alcune semplici domande mi ha già fatto rispondere ad alcuni degli interrogativi che mi ponevo. E indirettamente credo abbia risposto anche al quesito che le ho posto prima. Le risposte che cerco non le attendo da loro ma da me stesso.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Da quanto riferisce sembra che i suoi genitori siano persone ragionevoli, che non si sono opposte - almeno fino ad un certo punto - alle amicizie che lei aveva scelto per sè stesso e che le hanno consentito di avere un'infanzia più serena di quanto avrebbe potuto essere se si fossero imposti e avessero limitato i suoi contatti sociali.

Credo che se lei vorrà porre loro delle domande le risponderanno, ma non è detto che la sua sensazione che ci sia "dell'altro" sia fondata e che abbiano realmente omesso qualcosa.
Parli con loro e mi faccia sapere!
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Utente
Utente
Gentile Dott.ssa,

ho seguito il suo consiglio. Ne ho parlato con i miei genitori che si sono mostrati subito disponibili a risolvere il problema. Devo ammettere di essermi scrollato di dosso un macigno. Una cosa che mi ha lasciato particolarmente perplesso è il fatto che, sia loro che mia sorella, non hanno mai notato questa mia insicurezza, credendo quasi che fosse parte di me e del mio carattere, mentre io l'avverto come una cosa che non sono in grado di gestire. Tutto ciò mi ha fatto capire che la mia corazza era diventata il mio modo d'essere e di mostrarmi al mondo. A breve incontrerò uno psichiatra amico di mio padre, anche se, a dir la verità, avrei preferito parlare con un estraneo. In ogni caso La ringrazio, è stata determinante.
Saluti!
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Molto bene!
La prospettiva di chi la vede da fuori è ovviamente diversa dalla sua, ed è profondamente influenzata da quello che lei lascia intravvedere di sè e delle sue emozioni.
E' molto frequente che certe caratteristiche di un figlio siano scambiate per tratti del carattere, invece di individuarle come segno di un malessere, e sta a lei far comprendere ai suoi familiari che la situazione è proprio questa.

Per quanto riguarda lo psichiatra è preferibile che sia una persona che nè lei nè la sua famiglia conoscete: se si rivolgesse a un amico di suo padre non potrebbe mai sentirsi libero di dire tutto quello che pensa e che sente, quindi le sconsigio vivamente questa scelta.

In questa prima fase le consiglierei piuttosto di rivolgersi ad uno psicologo, prima di percorrere la via degli psicofarmaci che non è detto le siano necessari.
Anche in considerazione della sua giovane età è preferibile che cominci a elaborare quello che le succede e le relative cause, obiettivi che nessun farmaco può consentirle di conseguire.
Se poi si rivelasse utile un aiuto farmacologico sarà sempre in tempo a chiederlo.
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