Tutto sul trauma cranico

Revisione Scientifica:

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Dr. Mauro Colangelo Neurologo, Neurochirurgo

Il trauma cranico costituisce nella Società moderna un problema di salute pubblica, essendo legato in oltre la metà dei casi ad incidenti nella circolazione stradale e ad infortuni sul lavoro, ma un posto ragguardevole nella casistica compete anche agli incidenti domestici. Giovani adulti e persone molto anziane sono i soggetti più esposti al trauma cranico. In dipendenza della sua entità (lieve, moderato o grave) il trauma cranico può produrre danni di gravità variabile al cervello che possono causare esiti permanenti se non la perdita della stessa vita. Negli ultimi 40 anni, lo sviluppo della diagnostica (TAC inizialmente e poi Risonanza Magnetica) e delle tecniche neurochirurgiche hanno consentito di migliorare la mortalità e la morbilità del trauma cranico che fino ad allora era molto elevata. Oggi esistono linee guida standardizzate per il trattamento del trauma cranico, con protocolli che implicano una diagnostica precoce ed approcci chirurgici e farmacologici che hanno consentito di ribaltare i risultati frustranti che prima caratterizzavano questo aspetto della traumatologia. Ma la linea vincente per preservare la vita e la validità che possono essere compromesse dal trauma cranico resta centrata nella prevenzione, che ciascuno può e deve attuare con estrema facilità.

Definizione di trauma cranico

Per trauma cranico si deve intendere in generale un danno causato da un evento fisico di tipo meccanico, che coinvolga una qualsiasi delle strutture del distretto cranio-encefalico rappresentate dai tessuti cutanei, le ossa, i muscoli, i vasi sanguigni, il cervello e i suoi involucri meningei.

Va subito chiarito che il trauma cranico non è necessariamente sinonimo di danno al cervello. Infatti, se l’entità della causa lesiva è modesta, sul cervello può esservi al più una ripercussione solo di carattere funzionale o mancare del tutto, mentre un trauma di maggiore gravità può produrre una varietà di lesioni cerebrali che possono dar luogo a complicanze di lungo termine o addirittura alla morte.

È stato calcolato per approssimazione che nel mondo intero si verifica un trauma cranico ogni 15 secondi e che ogni 12 minuti esso causi la morte di una persona. In Italia, secondo recenti dati della SINch (Società Italiana di Neurochirurgia), c’è una incidenza tra le più alte dei paesi della Comunità Europea: ogni anno, vengono ricoverati per trauma cranico 250 pazienti ogni 100.000 abitanti, con una mortalità di 17 casi per 100.000 abitanti all’anno.

Il trauma cranico è responsabile del 50% di tutte le morti traumatiche e del 2% di tutti i decessi ed è la causa più frequente di disabilità; per questa ragione i traumi cranici costituiscono nel nostro Paese un importante problema di salute pubblica.

Secondo recenti dati ISTAT, si riscontra un più elevato picco d’incidenza tra i soggetti nella fascia di età compresa fra 16 e 32 anni (il 3° gruppo nel grafico della Tab. I); picchi secondari riflettono soggetti della seconda e terza infanzia e gli anziani nella fascia 75 – 85 anni.

 

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Segni e sintomi

La sintomatologia e i segni clinici che caratterizzano i traumi cranici sono di un’estrema variabilità, poiché dipendono da molteplici fattori, quali le modalità con cui viene prodotto l’evento traumatico, come sarà esposto nelle cause, l’energia posseduta dall’agente traumatizzante e le sue caratteristiche fisiche, e non da ultimo l’età del soggetto. Un trauma cranico può determinare solo danni primari o anche danni secondari, e questi possono manifestarsi a distanza di ore, di giorni o anche di molti mesi.

In dipendenza del grado di coinvolgimento del cervello, i traumi cranici vengono catalogati come lievi, moderati o gravi. Il trauma cranico è definito chiuso se non vi è soluzione di continuo dei tegumenti, oppure aperto se è stato causato da una lesione penetrante, come oggetti acuminati o proiettili, o da un violento impatto del cranio contro strutture rigide, con conseguenti lesioni di progressiva gravità alla cute, alle ossa craniche, alla dura madre o al cervello.

Al trauma può far seguito una transitoria perdita di coscienza che si definisce commozione cerebrale, che non esprime un danno anatomico del cervello, ma causa una sospensione solo temporanea delle sue funzioni. E di fatti la fisionomia clinica della commozione è contraddistinta da una fugace perdita della consapevolezza di sé e dell’ambiente esterno, con incapacità di rispondere e capire, leggero stato confusionale con difficoltà di concentrazione, amnesia retrograda (il soggetto cioè non conserva il ricordo dell’evento traumatico e delle sue modalità), cefalea, sonnolenza, acufeni. In relazione all’occorrenza o meno di commozione cerebrale, i traumi cranici sono classificati come commotivi oppure non commotivi.

Ma il criterio oggi universalmente adottato è di classificare i traumi cranici con il punteggio (o score) della scala proposta nel lontano 1974 dai Neurochirurghi Graham Teasdale e Bryan Jennett di Glasgow per valutare il livello di coscienza dopo un trauma cranico e definita pertanto Glasgow Coma Score o semplicemente GCS. Al paziente è assegnato un punteggio in base alla risposta (oculare, verbale e motoria) fornita agli stimoli indotti dall’esaminatore; la somma delle valutazioni esprime il punteggio GCS che va dal massimo di 15, che esprime uno stato di coscienza integra, al minimo di 3 che indica il coma profondo.

 Tab. II

In base a questo criterio, il trauma cranico è lieve con uno score GCS 14-15, moderato con GCS 9-13 e grave con GCS ≤ 8, come viene indicato nella Tab. II ed i sintomi sono, ovviamente, in relazione all’entità delle lesioni prodotte, che possono essere dirette o secondarie. Le lesioni dirette esprimono il danno causato dall’energia cinetica dell’agente traumatizzante al momento dell’impatto e possono essere immediate, riscontrabili a carico dei tessuti di rivestimento (cute, ossa, meningi) o del cervello (contusione, lacerazione) oppure ritardate, rappresentate dalle emorragie endocraniche (ematoma extra-durale, ematoma sotto-durale, ematoma intracerebrale ed edema cerebrale).

Le lesioni secondarie sono complicanze che insorgono a distanza e possono consistere nella sindrome di ipertensione endocranica, innescata da meccanismi di ischemia e anossia, oppure in infezioni del contenuto intracranico (meningiti, ascessi) dovute a contaminazione delle meningi o del cervello, nel caso di traumi aperti e penetranti.

Figura 1

La figura 1 riproduce in sezione schematica i tessuti che possono essere interessati dall’azione lesiva del trauma. A carico della cute può verificarsi una semplice abrasione, una contusione ecchimotica (il bernoccolo) o una lacerazione della cute di estensione e profondità proporzionale all’entità dell’agente lesivo, come illustrato nelle immagini delle figure 2 e 3.

 

Figura 2

Figura 3

 

In dipendenza della intensità della forza applicata e della superficie del corpo contundente, si può produrre una frattura delle ossa craniche, che può essere isolata o accompagnata a lesioni meningee. Le fratture possono interessare la volta cranica, in forma di fratture lineari o infossate (o avvallate), oppure la base del cranio, come illustrano le figure 4 e 5.

 

Figura 4

Figura 5

 

Figura 6

Se una frattura infossata danneggia la dura madre, si crea immediata fuoriuscita di liquor cefalo-rachidiano (liquorrea); se la frattura è a carico della base cranica ed interessa l’etmoide, il liquor fuoriesce dal naso (rino-liquorrea), mentre per una lesione della rocca petrosa si perde liquor dall’orecchio (oto-liquorrea). Le liquorree costituiscono una delle più temibili conseguenze di un trauma cranico per l’elevato rischio di una contaminazione batterica e conseguente infezione meningea. La Fig. 6 mostra l’aspetto di una frattura comminuta, ossia costituita da molteplici frammenti, ed infossata.

 

Figura 7

 

Nel neonato, per la cedevolezza ed elasticità delle ossa craniche, raramente la frattura si presenta frammentata ma l’osso interessato resta integro assumendo un aspetto avvallato, come quello di una pallina di ping-pong ammaccata (Fig. 7).

Mentre la frattura lineare non è rilevabile alla palpazione del cranio, la frattura infossata e quella avvallata sono prontamente riconoscibili in quanto si apprezza sotto le dita la presenza di una depressione del tavolato osseo.

I tegumenti del cranio sono abbondantemente vascolarizzati, per cui tutte le lesioni sinora descritte sono costantemente caratterizzate da copiosa emorragia, che nel caso la cute resti integra si presenta in forma di vistoso ematoma sottocutaneo, come si rileva dalla Figura 2.

Nei giorni successivi al trauma, è tipico che l’ematoma tenda a migrare verso il basso, impartendo al volto lividure anche se non vi è stato alcun suo interessamento a seguito dell’evento traumatico.

Una lesione della rocca petrosa, che è la parte della base cranica in cui sono contenuti l’orecchio interno e quello medio, può lesionare la membrana timpanica e può prodursi fuoriuscita di sangue dall’orecchio. L’otorragia deve essere attentamente esaminata per escludere che vi sia anche oto-liquorrea, di cui si è detto sopra e che è molto più pericolosa. Si può riconoscere la presenza del liquor asciugando il sangue fuoriuscito dall’orecchio con una garza: se vi è commistione di liquor, si rileva sul tessuto un vasto alone periferico di colore rosa-chiaro, come lavatura di carne, che circonda la parte centrale di colore rosso vivo costituita dal sangue.
In base a quanto è stato premesso, il trauma cranico lieve (GCS 14-15) può anche essere commotivo, ma è generalmente chiuso e al più può produrre lesioni dirette immediate a carico dei tegumenti esterni del cranio, del tipo di quelle rappresentate nelle figure 1 e 2.

Il trauma cranico moderato (GCS 9-13), invece, presenta una sintomatologia più marcata, è quasi costantemente accompagnato da un episodio di commozione cerebrale ma il coinvolgimento dello stato di coscienza si manifesta in modo più duraturo e marcato che nel trauma lieve, associandosi quasi sempre vomito incoercibile, agitazione, difficoltà nella comunicazione e disturbi della coordinazione. Le eventuali lesioni immediate a carico dei tegumenti cranici sono più severe di quel che accade nel trauma cranico lieve (fratture craniche, otorragia, liquorrea).

Emorragie traumatiche intracraniche

Le conseguenze più temibili del trauma cranico sono di certo le emorragie intracraniche, che possono talvolta evolvere rapidamente fino a determinare la morte dell’individuo.

Figura 8

È il caso dell’ematoma extra-durale, consistente in una raccolta di sangue tra la meninge esterna o dura madre che avvolge il cervello ed il tavolato interno del cranio, dovuto a lesione di un ramo dell’arteria meningea (nell’80% dei casi è il ramo medio, che decorre nella regione temporale) prodotta quasi sempre da una frattura lineare dell’osso temporale. Nella Figura 8 è visibile l’arteria meningea media intersecata dalla frattura dell’osso temporale e l’ematoma nella regione temporo-parietale, (zona scollabile di Marchand).

La vulnerabilità della regione temporale giustifica la saggezza popolare che da sempre ha individuato i traumi a carico delle tempie come i più pericolosi. Il decorso di questa gravissima condizione è abbastanza tipico: il soggetto può avere un fugace episodio commotivo, presenta quindi una ripresa della coscienza, che viene definita intervallo lucido o libero, e dopo qualche ora entra in coma profondo e, se non è trattato chirurgicamente con la massima urgenza, può perdere la vita, come di frequente accadeva quando non esistevano le attuali disponibilità diagnostiche e terapeutiche.

Nel passato, per questo quadro clinico connotato da un decorso a più fasi (commozione – intervallo libero – coma – exitus), si usava l’infausta locuzione “pazienti che parlano e muoiono”. L’ematoma epidurale è raro al di sotto dei 2 anni di età e al di sopra dei 60 anni.

Se la raccolta di sangue si forma tra la dura ed il cervello si parla di ematoma sub-durale che è peculiare delle persone anziane e che, diversamente dal precedente, non è di natura arteriosa ma è causato dalla rottura dei sottili vasi venosi, dette “vene a ponte”, che vanno dalla dura alla superficie del cervello. A causa della atrofia fisiologica del cervello, che ne causa il raggrinzimento, questi vasi sono particolarmente stirati dalla retrazione del sottostante parenchima e, poiché spesso presentano alterazioni sclerotiche della parete che ne riducono l’elasticità, sono particolarmente vulnerabili per cui anche un trauma lieve ne può causare l’effrazione, causando uno stillicidio di sangue venoso tra la dura ed il cervello.

Per la sua lentezza di formazione, l’ematoma sub-durale è quindi più subdolo, in quanto può raggiungere anche dimensioni considerevoli prima di manifestarsi con una sintomatologia, per altro sfumata, che può rendersi evidente anche qualche settimana dopo l’evento traumatico, di cui molte volte l’anziano non conserva nemmeno il ricordo. Il quadro clinico è patognomonico: cefalea, deterioramento cognitivo, sonnolenza, talvolta modesti deficit neurologici focali.

Nella Figura 9 è rappresentata schematicamente una raccolta ematica tra la superficie del cervello e la dura mater. Mentre l’ematoma sub-durale del soggetto anziano può prodursi per traumi anche di modesta entità a cagione della particolare vulnerabilità vasale di cui si è parlato, a seguito di traumi cranici gravi si può ugualmente avere un ematoma sotto-durale: in questo caso l’ematoma è satellite ad una condizione di diffusa contusione cerebrale, come è visibile nella Figura 10, relativa ad un reperto autoptico, ove si rileva la presenza di sangue venoso disposto sulla superficie del cervello su cui si apprezzano diffusi focolai di contusione.

 

Figura 9

Figura 10

 

Figura 11

Per ultimo, deve essere menzionata la possibilità che nell’ambito di un trauma cranico grave si produca nello spessore del cervello un ematoma intra-cerebrale, che si comporta come una lesione espansiva acuta, causando un quadro clinico di estrema gravità dovuto al dislocamento della parte mediana dell’encefalo verso il lato opposto, come è schematicamente illustrato nella Fig. 11.

Con crescendo di intensità, nel trauma cranico grave (GCS ≤ 8) questi sintomi peggiorano e compaiono deficit neurologici, alterazione delle facoltà intellettive e della coscienza, alterazioni pupillari (midriasi, anisocoria). Quando ciò accade, significa che il trauma cranico ha prodotto gravi lesioni organiche del tessuto cerebrale che si definiscono contusioni o anche lacero-contusioni. 

La contusione con ecchimosi del parenchima cerebrale determina una reazione locale di rigonfiamento o edema traumatico. Questo gonfiore causa un aumento di pressione che, essendo il cervello racchiuso in un contenitore rigido ed anelastico che non può espandersi, si riverbera all’interno di tutto il cranio (ipertensione endocranica).

In conseguenza di ciò si crea una compressione sul micro-circolo e quindi una riduzione del flusso sanguigno cui consegue ipossia, cioè scarso apporto di ossigeno al tessuto cerebrale, che altera il metabolismo del glucosio ed è responsabile dell’accumulo di sodio e di cataboliti; a questo punto i due effetti si sommano e, con effetto a cascata, producono un ulteriore e ingravescente aumento dell’edema (edema vasogenico e citotossico).

Figura 12

In altri termini, il focolaio di contusione cerebrale, che è inizialmente una lesione distrettuale, diviene entro breve una noxa che investe tutto il compartimento intra-cranico. L’immagine TAC riprodotta nella Figura 12 mostra in maniera evidente il quadro dell’edema che progredisce, estendendosi all’intero emisfero e sospingendo il lobo temporale oltre la linea mediana tanto da causarne l’ernia nel margine libero del tentorio.

 

Sotto il profilo clinico, il paziente entra in coma con compromissione progressiva delle funzioni vitali talché necessita di essere ventilato artificialmente. Nel 25% circa dei pazienti che riportano contusioni cerebrali o ematomi e nel 50% di quelli con ferite penetranti alla testa si verificano crisi epilettiche entro le prime 24 ore dalla lesione.

Il trauma cranico grave può causare un danno diffuso agli emisferi cerebrali che può addurre all’instaurarsi di una complicanza gravissima, definita stato vegetativo persistente, in cui il paziente non è cosciente ma può anche avere periodi di veglia, senza percepire nulla di ciò che accade intorno a lui. Quale conseguenza di danni gravi al tronco dell’encefalo si realizza la perdita di qualsiasi attività cerebrale: questo contraddistingue lo stato di morte cerebrale, caratterizzata dall’elettroencefalogramma piatto che la legge considera come irreversibile.

Per ultimo, va notato che in più del 50% dei pazienti con trauma cranico grave sono associati traumi multipli a carico di altri organi ed apparati tra cui in primo luogo la colonna vertebrale.

Cause dei traumatismi cranici

Nelle società industrializzate la causa maggiore dei traumatismi cranici, nelle persone sotto i 75 anni, è legata a incidenti di transito (48%), in cui vi sia coinvolgimento di auto, motocicli o biciclette e pedoni. Per le persone al di sopra dei 75 anni, la maggioranza dei traumi cranici è dovuta a cadute accidentali ed incidenti domestici (25%). Nel 4% di tutti i traumi cranici si individua la violenza come causa (aggressione a scopo di rapina e ferite da arma da fuoco, rissa, litigio per futili motivi), nel 8% si rilevano infortuni sul lavoro e circa il 10% sono dovuti a ferite nel corso di attività sportive. Il picco di incidenza annuale di traumi cranici si colloca a fine della primavera e durante l’estate, mentre il venerdì ed il sabato (pomeriggio e notte) i giorni della settimana a più alta frequenza.

Figura 13

Figura 14

Figura 15

Tab. III

Come mostra in sequenza l’iconografia nelle figure 13, 14, 15 e nella Tabella III, emerge che il trauma cranico può conseguire ad una pluralità di cause che si riverberano su quella struttura complessa che è costituita dalla teca cranica e dal suo contenuto estremamente vulnerabile. Per comprendere adeguatamente le molteplici lesioni che possono conseguirne, occorre preliminarmente spiegare i meccanismi del trauma cranico.

In base alla loro dinamica i traumi si distinguono in traumi diretti ed in traumi indiretti, a seconda che un corpo contundente dotato di energia cinetica urti direttamente contro il capo o il capo vada a battere contro un ostacolo, oppure se le forze traumatiche sono trasmesse indirettamente al cranio da un’altra struttura (ad esempio trauma da caduta sui talloni o sulle natiche). La tipologia dei traumi diretti è di più frequente occorrenza, ma è importante distinguere se nel momento dell’impatto il capo era fisso oppure in movimento, essendo abbastanza diverso il potenziale della dinamica lesiva.

 

Figura 16

Figura 17

 

Nei traumi a capo fisso, come nell’immagine riportata dalla figura 16, infatti, il grado di lesione è inferiore se il cranio restando fermo viene colpito da un corpo contundente a superficie puntuta o smussa (ad esempio una martellata o un proiettile di arma da fuoco) in quanto le lesioni sono generalmente localizzate nella zona d’impatto. Nei traumi a capo in movimento, come ad esempio quello che subiscono i due giocatori di rugby nella figura 17, il potenziale lesivo è di gran lunga maggiore. Ciò è legato al fatto che l’encefalo è sottoposto inizialmente ad una notevole energia cinetica di accelerazione seguita da un altrettanto brusca decelerazione nell’attimo in cui il cranio urta violentemente contro un ostacolo.

Figura 18

Ciò determina una lesione da colpo, nel punto ove c’è stato l’impatto, ed una lesione da contraccolpo perché il cervello rimbalza contro la parete opposta anche dopo che la testa ha smesso di muoversi.

La Fig. 18 schematizza quel che è accaduto ai due giocatori della figura 17. A queste si aggiungono lesioni diffuse e molto gravi da “strisciamento” degli strati del parenchima e dei vasi cerebrali, che interessano non solo la zona di impatto, ma anche altre regioni più lontane dell’encefalo.

Altro importante fattore che concorre a modulare l’effetto del trauma è costituito dalle caratteristiche della superficie d’impatto contro il cranio. Se l’urto avviene contro una superficie piana ed ampia ne consegue una deformazione della scatola cranica e, se sono superati i limiti di tolleranza e di elasticità dei tavolati ossei, si produce una frattura lineare. Diversamente, se la superficie di impatto è piccola (come ad esempio quella del martello della figura 16) si genera una introflessione dei tavolati ossei con formazione di una frattura infossata.

Avendo sinteticamente descritto le cause dei traumi cranici, è più chiaramente desumibile con quale modalità d’azione si determinino il danno primario, che occorre cioè nell’istante del trauma a carico dei tegumenti epicranici, del cranio, del tessuto cerebrale e del suo rivestimento durale, ed il danno secondario che è ritardato ossia ha un carattere evolutivo, potendo aggravarsi ed estendersi nelle ore e nei giorni successivi al trauma.

Fattori di rischio

È intuitivo come nel trauma cranio-encefalico da moderato a grave la posta in gioco sia molto alta: si può incorrere in gravissima invalidità o perdere addirittura la vita. Gli esiti di una estesa contusione cerebrale possono essere espressi da deficit motori e sensoriali, disturbi della coordinazione, disturbi cognitivi e comportamentali.

Un esito che merita discussione a parte è l’epilessia post-traumatica. Come è stato già accennato, in taluni casi possono verificarsi attacchi epilettici immediati; quando ciò accade, seppur aumenta il rischio di attacchi epilettici precoci, ossia quelli che si sviluppano entro la prima settimana dopo la lesione, ciò non sembra comunque essere predittivo di una epilessia post-traumatica stabile che insorge in genere a distanza di 1-2 mesi. Va anche detto che l’epilessia post-traumatica può presentarsi anche dopo 1 anno e, in casi rari, fino a 5 anni dal trauma.

Altre complicanze più rare di traumi di entità da moderata a grave sono costituite da:

  • idrocefalo, ossia la dilatazione del sistema ventricolare entro cui scorre il liquor cefalo-rachidiano. Questa evenienza è generalmente conseguenza di emorragia sub-aracnoidea o di estesi focolai contusivi cerebrali.
  • Malattia di Alzheimer, ossia il deterioramento cognitivo progressivo. Oggi è riconosciuto che il trauma concorre ad accelerare la comparsa della malattia in soggetti predisposti.
  • Malattia di Parkinson, caratterizzata da disturbi del movimento e dell’andatura, insorge a seguito di traumi che abbiano causato danni ai gangli della base. Sono a rischio di questa malattia i pugili, sottoposti a traumi cranici ripetuti, tra cui è tristemente noto il caso che coinvolse il famoso campione mondiale dei pesi massimi Cassius Clay detto anche Mohammed Alì.

 

QUANDO RIVOLGERSI LA MEDICO

Facendo astrazione dai casi dei traumi cranici gravi, che impongono il trasporto immediato con autoambulanza in Ospedale o talora presso un Trauma Center, consideriamo i traumi cranici lievi e moderati per desumere quando sia veramente necessario ricorrere all’osservazione medica. In caso di trauma non commotivo, con soggetto sveglio, ben reattivo, che non lamenta cefalea e non ha presentato vomito è opportuno solo tenerlo sotto controllo. Se è presente una lesione dei tegumenti cranici è indicato far valutare il paziente, perché potrebbe esservi una frattura. Nel caso invece di trauma commotivo oppure se il soggetto lamenti cefalea oppure presenti vomito, o vi sia fuoriuscita di sangue dall’orecchio o anche solo una ecchimosi dietro il padiglione auricolare, allora senza ulteriori indugi va trasportato in Pronto Soccorso perché necessita urgentemente di una TAC del cranio. Nel caso illustrato nelle sequenze della figura 19, al livido retro-auricolare corrisponde una frattura della rocca petrosa con versamento ematico intracranico dal focolaio di frattura.

Figura 19

Diagnosi di trauma cranico e controlli

La prima valutazione dell’entità del trauma cranico comincia di solito quando l’equipe medica arriva sulla scena dell'incidente o quando il paziente con trauma cranico arriva al pronto soccorso di un ospedale con la determinazione del valore del GCS. Nel soggetto che abbia riportato un trauma cranico è importante preliminarmente valutare la presenza di “fattori di rischio” (età avanzata, trattamento con farmaci antiaggreganti o anticoagulanti o patologie che favoriscano il sanguinamento, storia di epilessia, intossicazione da alcool o droghe).

L’esame neurologico consente di accertare eventuali deficit e lesioni traumatiche dei tessuti di rivestimento del cranio. Le linee guida del protocollo nazionale dei traumi cranici indicano che nei soggetti che hanno subito un trauma cranico minore e non presentano “fattori di rischio” non c’è indicazione all’esecuzione di TC dell’encefalo in urgenza.

Quando invece il GCS depone per un trauma cranico moderato-grave si impone il ricorso alla TAC che è in grado di individuare la presenza di danno cerebrale,di emorragie o ematomi o di frattura delle ossa del cranio; l’esame radiografico diretto si rivela del tutto inutile.

Nel caso di traumi cranici lievi, si hanno quasi sempre reperti di tipo normale; nei casi di trauma moderato e grave le lesioni documentabili con la TAC variano dal danno focale legato a contusione più o meno estesa del tessuto cerebrale alla emorragia (che può essere intra-parenchimale, extra-durale, sub-durale o sub-aracnoidea) al gravissimo danno assonale diffuso. Il sanguinamento può assumere dimensioni catastrofiche se, oltre che nel parenchima, si verifica dentro il sistema ventricolare determinando una condizione di idrocefalo acuto emorragico.

La TAC inoltre documenta anche il quadro di edema cerebrale, che come è stato detto consegue al processo di anossia innescato dalla contusione del parenchima ed al meccanismo “a cascata” che altera progressivamente il meccanismo di auto-regolazione del flusso di sangue ai tessuti e peggiora sempre più il rigonfiamento del cervello ed estende in tal modo il danno anche a regioni del cervello non direttamente coinvolte dalla noxa traumatica.

Per un corretto management del trauma cranico grave, si ricorre al monitoraggio della pressione intracranica (ICP) che in condizioni normali ha un valore massimo di 10-15 mm Hg. Questa procedura consente di monitorare il valore ICP che, per effetto dell’edema cerebrale, è estremamente instabile e se raggiunge valori incontrollati può compromettere la vita del paziente.

Altro possibile reperto è la frattura delle ossa del tavolato cranico che può essere lineare oppure comminuta ed infossata, nel qual caso si associa di frequente effrazione della meninge esterna o dura mater con possibile fuoriuscita del liquor cefalo-rachidiano (liquorrea). Talora, per individuare l’esatto punto di fuoriuscita del liquor, specialmente in caso di fratture della base cranica, si può ricorre ad un’indagine detta cisternografia che può essere effettuata con mezzo di contrasto o con radioisotopi.

L’indagine più immediata nella fase acuta del trauma è solitamente la TAC, che è sufficiente per rilevare la presenza di raccolte ematiche intracraniche, riservando alla Risonanza Magnetica, che ha miglior poter risolutivo, la valutazione di danni secondari (ischemia, danno assonale diffuso, etc.).

Alla fase acuta del trauma cranico, segue un periodo di follow-up durante il quale gli elementi da valutare con attenzione sono costituiti dalla eventuale insorgenza di una cefalea, se in passato non era mai stata sofferta, e dalla comparsa di episodi fugaci di alterazione della coscienza o di vere manifestazioni di tipo epilettico. È buona regola, pertanto, sottoporre a controllo medico il soggetto che abbia riportato un trauma cranico lieve-moderato dopo 2 – 3 settimane dall’occorrenza del trauma e in caso di sospetto anche minimo effettuare una TAC del cranio e/o un elettroencefalogramma. Nel caso di trauma cranico grave, la conduzione dei controlli deve essere più assidua ed approfondita, non omettendo di sottoporre questi soggetti anche a test neuropsicologici per la precoce individuazione di esiti post-traumatici nella sfera cognitiva.

Terapia per i traumatizzati

Se il traumatizzato rientra in una categoria di basso score di GCS necessita sostanzialmente di osservazione e di “vigile attesa” per 24-48 ore, durante la quale si provvederà alla somministrazione soltanto di un supporto sintomatologico (paracetamolo, antibiotici in caso di ferite, etc.).

Nel caso invece di un elevato GCS, se è intervenuto personale qualificato, il paziente è innanzitutto stabilizzato per quanto attiene l’ossigenazione, la temperatura corporea e la pressione del sangue, per scongiurare stati di ipossia ed ipotermia che peggiorerebbero drammaticamente il quadro. Questo tipo di paziente traumatizzato deve essere sottoposto ad una valutazione iniziale secondo le norme ATLS (Advanced Trauma Life Support), in base alle quali si deve seguire al più presto il protocollo ABC:

  • A (Airway): Si deve assicurare la pervietà delle vie aeree, estraendo eventuali corpi estranei (Fig. 20) e sollevare il mento, dopo aver provveduto all’immobilizzazione della colonna cervicale del paziente (Fig. 21).
  • B (Breathing): Si deve assicurare la ventilazione e l’ossigenazione, valutando la meccanica ventilatoria, somministrando ossigeno e cercando di risolvere un eventuale pneumotorace.
  • C (Circulation): Si deve identificare eventuali siti di emorragia esterna ed applicare compressione diretta per impedire l’ipovolemia ed assicurare la pressione arteriosa e il volume di sangue necessario all’irrorazione del cervello e degli altri organi più vulnerabili.

 

Figura 20

Figura 21

 

Dopo l’ABC si procede a valutare il livello di coscienza e le pupille, per determinare il GCS, quindi si procede con l’accesso venoso e si inizia a infondere Ringer lattato (riscaldato a 39°C) per prevenire l’ipotermia. La presenza di una differenza nei diametri pupillari (anisocoria), come è mostrato nella figura 22, indica che si è in presenza di un importante coinvolgimento del cervello ed è fortemente sospetta la presenza di un’emorragia intracranica. Ciò impone la massima indifferibilità nel trasporto in Ospedale (Fig. 23).

 

Figura 22

Figura 23

Nel caso la TAC evidenzi la presenza di una raccolta ematica extra-durale, l’intervento neurochirurgico di evacuazione dell’ematoma si impone come emergenza assoluta. La raccolta ematica sub-durale è considerata, invece, una urgenza differibile. Il focolaio di frattura infossata nel parenchima cerebrale se non adeguatamente trattato con intervento di plastica ossea diviene una delle più frequenti cause di epilessia post-traumatica. La liquorrea è trattata inizialmente con generosa somministrazione di antibiotici e facilitando il deflusso del liquor, ponendo il paziente in posizione seduta; se non si arresta spontaneamente e persiste oltre 3 giorni è necessario effettuare un intervento endocranico per sigillare l’effrazione durale.

Da tutto quanto si è detto, si desume che il grave traumatizzato cranico è un paziente estremamente instabile e che necessita di un’assistenza intensiva quale è quella erogata nel Trauma Center ove si procede ad una costante rivalutazione del caso mediante la diagnostica per imaging (TC e/o RM) e di tipo funzionale (ICP-monitoring). Il controllo della pressione intra-cranica si attua mediante la somministrazione di farmaci anti-edema (mannitolo, diuretici, barbiturici, cortisonici) o di procedure chirurgiche (ventricolostomia o drenaggio liquorale dai ventricoli e, in casi estremi, tramite craniectomia decompressiva). Il grave traumatizzato è parallelamente sottoposto a frequente valutazione dell’attività cerebrale mediante l’elettroencefalogramma. Altro parametro vitale che impone un controllo continuo è costituito dalla pressione arteriosa.

La riabilitazione è una parte importante del processo di recupero per un paziente con trauma cranico nel contesto di un modello transdisciplinare. Essa infatti necessita delle competenze integrate di molti specialisti, riguardando programmi di terapia fisica, terapia occupazionale, terapia del linguaggio, rieducazione fisiatrica del movimento e psicologia, finalizzati al recupero del danno residuo.

Prima di concludere l’argomento della terapia, è opportuno dare dei consigli pratici su come può essere fornito il primo soccorso da parte di personale non qualificato ad un traumatizzato cranico.

Nel caso di un trauma cranico lieve, se vi sono lesioni del cuoio capelluto del tipo di ematomi sottocutanei (bernoccoli), è inutile applicare creme ma l’unico presidio valido è costituito dall’impacco freddo, preferibilmente con ghiaccio secco se ve n’è la disponibilità. Se invece si è prodotta una ferita che sanguina, procedere senza esitazione al tamponamento con garza sterile o un fazzoletto pulito, e mantenere la compressione fino a quando non si arrivi al Pronto Soccorso per la sutura chirurgica.

Nel caso di trauma cranico moderato o grave, ossia con paziente semicosciente o in stato di incoscienza, chiamare con urgenza il soccorso pubblico tramite il 118 e, nei limiti del possibile, cercare di ottemperare alle regole ABC illustrate sopra. In caso di ferita penetrante del cranio, applicare una delicata compressione con garze sulla breccia cranica, specialmente se vi è fuoriuscita di materia cerebrale.

 

PREVENZIONE

Facendo riferimento alle cause dei traumi cranici che sono state enunciate in precedenza, emerge che la metà dei casi è dovuta ad incidenti stradali (Fig. 24). Distrarsi alla guida per utilizzare lo smartphone per telefonare (Fig. 25) o peggio ancora per leggere o inviare messaggi, è considerata una delle più frequenti cause di incidenti della strada negli ultimi anni. Da questo punto di vista, è intuitivo che la prevenzione si fonda sulla rigorosa osservanza della normativa della circolazione stradale, che prevede l’uso obbligatorio del casco e delle cinture di sicurezza, ed il divieto rigoroso di usare il cellulare. Nel novero totale dei traumi cranici, un valore di tutto rispetto compete agli incidenti domestici (25%). L’utilizzo di scaletti in modo inappropriato, salire o scendere le scale (Fig. 26) in gran fretta, camminare scalzi su superfici scivolose sono le cause principali di traumatologia cranica. L’ottemperanza a norme elementari di prudenza può ridurre enormemente l’incidenza di questo tipo di incidente. Gli infortuni sul lavoro assommano a circa il 10% e purtroppo sono di una gravità che spesso supera anche quella degli incidenti della strada, essendo quasi sempre riferiti a cadute dall’alto (Fig. 27). Le leggi dello Stato impongono una severa normativa in ordine alla prevenzione degli infortuni ma questa viene spesso elusa, per cui la prevenzione si attua nel momento in cui il lavoratore è consapevole che esporsi a prestazioni rischiose potrebbe essergli fatale.

 

Data pubblicazione: 15 settembre 2017

Autore

maurocolangelo
Dr. Mauro Colangelo Neurologo, Neurochirurgo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1972 presso Università Napoli.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Napoli tesserino n° 11151.

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