Disfunzione erettile e prostatectomia radicale

ginoalessandroscalese
Dr. Gino Alessandro Scalese Urologo, Andrologo

Il principale problema del post-operatorio dei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale è quello della disfunzione erettile (DE) che considerata la sempre più precoce diagnosi, l’aumentata longevità degli uomini, globale e libera da malattia (un’alta percentuale di pazienti affetti da cancro della prostata guarisce), si comprende l’enorme impatto sociale di questa problematica.

Il carcinoma della prostata è diventata la patologia più frequente del sesso maschile e rappresenta approssimativamente il 25% delle nuove diagnosi per tumore. La terapia di riferimenteo (“gold standard”) per i pazienti affetti da carcinoma della prostata localmente avanzato rimane la prostatectomia radicale. Il principale problema del post-operatorio di questi pazienti (a parte quello dell’incontinenza) è quello della disfunzione erettile (DE) che ha una incidenza media del 40-50% dei pazienti sessualmente attivi preoperatoriamente;  considerata la sempre più precoce diagnosi, l’aumentata longevità degli uomini, globale e libera da malattia (un’alta percentuale di pazienti affetti da cancro della prostata guarisce), si comprende l’enorme impatto sociale di questa problematica. Il meccanismo della erezione in maniera molto semplicistica è determinato da un impulso inviato dal sistema nervoso centrale che determina un incremento dell’afflusso di sangue arterioso ed un decremento progressivo del deflusso venoso (meccanismo veno-occlusivo) sino alla raggiunta della massima rigidità. Esistono diversi meccanismi che singolarmente od in associazione possono alterare tale meccanismo ed essere causa di DE dopo prostatectomia radicale:

1) Arteriogenico: da dissezione delle arterie pudende accessorie che determina un ridotto afflusso sanguigno arterioso con conseguente insufficiente rigidità da non sufficiente incremento della pressione intracavernosa.

2) Fuga venosa: è determinata da fibrosi dei muscoli lisci dei corpi cavernosi con incremento della espressione di citochine quale il TGF beta (Transforming Growth Factor) e della sintesi di collagene che si deposita in essi alterandone la contrattilità venendo in questo modo meno il meccanismo veno-occlusivo da mancata compressione delle vene che decorrono sotto la albuginea con inevitabile deflusso venoso. L’entità di tale disfunzione incrementa con il passare del tempo sino a raggiungere un picco a distanza di 12 mesi interessando il 50% dei pazienti. I pazienti con DE venogenica, che dunque sono la maggior parte, hanno meno possibilità di recupero di una buona funzionalità erettile rispetto a quelli con origine arteriogenica.

3) Neurogena: la dissezione o trazione dei nervi cavernosi che decorrono posterolateralmente alla prostata comporta una “neuroaprassia” ovvero la perdita delle funzionalità conduttiva dei nervi (una sorta di paralisi dei nervi cavernosi), che può anche essere temporanea, il che comporta una riduzione della attività della nitrossido sintetasi e quindi di biodisponibilità dell’ossido nitrico, principale neuromediatore nel meccanismo della erezione; la neuroaprassia può anche essere presente nei pazienti sottoposti ad intervento di prostatectomia radicale con tecnica cosiddetta “nerve sparing” intrafasciale cioè con intento di risparmio dei fasci (bundle) neuro vascolari. Ovviamente tali nervi vengono asportati per garantire una migliore radicalità oncologica nei pazienti con disfunzione erettile pre-operatoria oppure in quelli con malattia localmente avanzata in cui si decide comunque di eseguire una chirurgia radicale di prostata (tecnica extra fasciale).

Dopo prostatectomia radicale esiste una aumentata incidenza (16%) nella formazione di placche Peniene che spesso determinano incurvamento dell’organo stesso inquadrabile nell’ambito della la malattia di Peyronie.

Gli esami comunemente utilizzati per inquadrare il paziente affetto da DE post-prostatectomia sono:

- Attenta anamnesi (storia clinica) e valutazione delle tecnica chirurgica utilizzata

- Somministrazione di appositi questionari di valutazione della sfera sessuale

- Ecocolordoppler penieno dinamico

- Cavernosometria e Cavernosografia

 

Dalla analisi delle numerose casistiche presenti in letteratura la incidenza di DE è variabile dal 20 ad oltre il 90%, ma tale variabilità è soprattutto correlata alla non uniforme valutazione del problema specie in termini di definizione più che dall’esperienza dell’operatore o dalla tecnica utilizzata; in letteratura l'incidenza di DE in pazienti sottoposti ad intervento con intento di salvaguardare i fasci vascolo-nervosi (nerve sparing) con tecnica chirurgica classica ha una variabilità dal 36 al 91%, dal 19 all' 86% con la tecnica laparoscopica, dal 3 al 51% con la tecnica robotica, con degenze ospedaliere e dei tempi di recupero più brevi per la laparoscopica e la robotica. Le percentuali di incidenza sono più alte se il paziente non ha preservato per motivi di radicalità oncologica i fasci vascolo-nervosi bilateralmente o mono lateralmente.

 

Terapia della disfunzione erettile

La terapia per la disfunzione erettile dopo prostatectomia radicale va impostata quanto più precocemente possibile (secondo alcuni Autori alla rimozione del catetere vescicale); il primo approccio è rappresentato da un approfondito colloquio con il paziente (counselling) al quale vengono prospettate tutte le possibilità terapeutiche con i pro ed i contro e successivamente in base alle aspettative dello stesso si può stilare un programma riabilitativo diretto al recupero della funzionalità erettile che può richiedere anche 3 anni. Ovviamente nei pazienti in cui è stata eseguita la tecnica con risparmio dei fasci vascolonervosi bilateralmente hanno dei risultati migliori rispetto ai pazienti in cui sono stati preservati da un lato solo ed ancor più rispetto a quelli in cui non è stato possibile preservarli. Con tale approccio nella maggior parte dei casi si riesce ad ottenere un miglioramento delle erezioni che spesso può non essere totale. Quelle che seguono sono delle opzioni terapeutiche anche in disuso che vengono comunque elencate per completezza, il cui utilizzo può anche non essere condiviso da tutti gli andrologi che si occupano del problema.

Inibitori delle 5 fosfodiesterasi (PDE5: Sildenafil, Tadalafil, Vardenafil)

Utilizzata come terapia di prima linea che presuppone la integrità delle vie nervose anche se sono stati descritti benefici in una piccolissima percentuale di pazienti che non hanno avuto un risparmio dei bundle neuro vascolari (valorizzata l’ipotesi della produzione endoteliale di Nitrossido -NO- indipendentemente dalla integrità delle fibre nervose). Gli inibitori delle PDE5 determinano un incremento della Guanosina Monofosfato ciclico (GMP ciclico) che a sua volta determina una apertura dei canali del calcio e quindi un rilassamento delle fibre muscolari lisce dei corpi cavernosi mediata dal rilascio di ossido nitrico. Tali farmaci possono essere assunti (con dosaggi appropriati) al bisogno oppure, come da studi condotti sul Sildenafil, mediante la assunzione quotidiana di minime dosi serali. In uno studio del 2008 si è preso in considerazione l'efficacia del Sildenafil 25mg somministrato nelle ore serali quotidianamente per 52 settimane in pazienti sottoposti a prostatectomia radicale. L'efficacia della terapia veniva verificata mediante la somministrazione di questionari validati (IIEF = international Index of Erectil Function). Dall'analisi dei dati ottenuti a 57 settimane il 47% dei pazienti trattati riuscivano ad avere una erezione valida sufficiente ad avere un rapporto sessuale completo a differenza dei pazienti non trattati (28%); se poi tali pazienti dopo 52 settimane assumevano Sildenafil al bisogno le percentuali passavano dall' 86% del gruppo trattato confrontato con il 66% di quello non trattato. Risultati simili con miglioramento dei questionari di valutazione si sono ottenuti da studi sul Vardenafil e sul Tadalafil.

Iniezioni intracavernose con Alprostadil

L'Alprostadil è un derivato sintetico della Prostaglandina E1 (PGE1) associata o meno alla papaverina e/o alla Fentolamina (Trimix); ci ricorre circa il 40% dei pazienti con normali erezioni pre operatorie in cui sia stata verificata una inefficacia del trattamento con PDE5i, oppure in pazienti in cui non è stato possibile eseguire una prostatectomia radicale senza intento nerve-sparing. L’utilizzo di Alprostadil determina dopo alcuni minuti la comparsa di una valida erezione tale da permettere una erezione sufficiente per la penetrazione nel 94,6% dei casi; il limite di questa terapia molto efficace, che in alcuni casi è utilizzata come terapia di prima linea, è principalmente rappresentato dall’insorgenza di una erezione dolorosa e/o dalla paura di eseguire la autoiniezione (al paziente viene insegnata la tecnica di somministrazione). In alcuni casi per by-passare il problema del dolore può essere utilizzata la terapia con inibitori delle PDE5 associata a minime dosi di Alprostadil.

Alprostadil intrauretrale

Consiste nel somministrare la prostaglandina sintetica attraverso il canale uretrale; è una via di somministrazione molto poco usata per l’alta incidenza di effetti collaterali principalmente rappresentati dal bruciore penieno ed uretrale.

Dispositivo Vacuum

E’ un dispositivo che sfruttando il principio fisico del “vuoto” ottenuto attraverso un tubo cilindrico applicato in maniera stagna attorno al pene permette di ottenere una erezione richiamando sangue nell’organo indipendentemente dalla causa che lo abbia determinato sia essa arteriogenica, da fuga venosa o nerurogenica. Attualmente in disuso anche se ci sono recenti studi in letteratura che ne "rispolverano" la efficacia. Esso va applicato dopo un mese dall’intervento per 10 minuti al giorno per 5 mesi senza l’utilizzo dell’anello costrittivo in dotazione all’apparecchio; successivamente va utilizzato al bisogno in associazione o meno agli inibitori delle PDE5 (da assumersi almeno due ore prima) o dell’Alprostadil (nell’immediato). Ovviamente la erezione indotta è innaturale da richiamo di sangue venoso e quindi si può avere la sensazione di pene freddo, soffice, intorpidito, di colorito bluastro ecc. Comunque tale tecnica può evitare quello che normalmente accade nel post-operatorio ovvero una riduzione di lunghezza del pene.

Protesi Peniene

L’impianto di protesi peniene va proposto nei pazienti in cui la terapia medica e/o fisica è risultata inefficace e dopo un periodo congruo dall’intervento in quanto il paziente ne deve essere pienamente convinto e deve accuratamente essere informato sui pro e sui contro oltre ad essere consapevole che in caso di insoddisfazione o di dolore o in caso di necessità di rimozione della protesi per infezione, malfunzionamento, erosione ecc., si ha la perdita totale della se pur minima erezione fino ad allora presente (chirurgia di non ritorno).

 

Terapie sperimentali

 

Terapia Genica

La terapia genica utilizzabile nei pazienti con disfunzione erettile di origine neruogenica consiste nell’utilizzo di geni o di cellule gliali (cellule del sistema nervoso) veicolati nell’organismo da adenovirus (trasfezione) che stimolerebbero la produzione di fattori neurotrofici e di fattori promuoventi la rigenerazione neuronale; da studi condotti sui ratti con tale metodica dopo 4-8 settimane si è avuto un incremento della pressione intracavernosa ed un incremento della attività della nitrossido sintetasi (enzima implicato nella sintesi di nitrossido principale mediatore dell’erezione).

Eritropoietina

La eritropoietina (EPO) è una citochina che stimola la eritropoiesi (produzione di globuli rossi) in condizioni di ridotto apporto di ossigeno; i suoi recettori sono stati riscontrati sia a livello del sistema nervoso centrale che a livello di quello periferico ed in particolare del plesso nervoso periprostatico (bundle neuro vascolari), nell’epitelio prostatico, nel nervo dorsale penieno, nei corpi cavernosi del pene, nel tessuto penieno; la sua somministrazione precoce in animali ha determinato in situazioni di danno nervoso periferico (come accade dopo intervento di prostatectomia radicale) una riduzione dell’entità del danno neuronale ed un più rapido recupero della loro funzionalità, facilitando anche una rigenerazione degli assoni (fibre che conducono lo stimolo nervoso). L’unico studio sull’uomo con prescrizione al di fuori delle indicazioni del farmaco per patologia, quindi non prescrivibile per la disfunzione erettile (off-label) ha dato buoni risultati; esso consisteva nella somministrazione in fase preoperatoria di una dose di eritropoietina che nel post-operatori determinava un più rapido recupero delle erezioni rispetto al gruppo non trattato.

 

Considerazioni conclusive

La DE continua ad essere un problema rilevante per i pazienti sottoposti a prostatectomia radicale nonostante i notevoli progressi tecnologici sia in campo chirurgico che in campo radioterapico. Considerato che molti di questi pazienti hanno una partner sessualmente attiva è necessario mettere a punto un protocollo di riabilitazione ottimale con minimi effetti collaterali e bassi costi ammortizzati eventualmente dalla prescrivibilità terapeutica a carico del SSN (modifiche alla nota 75). Considerato il notevole interesse del problema numerosi sono gli studi sperimentali attualmente in atto su molti farmaci alcuni dei quali sopra elencati, ma bisogna ancora verificarne la reale efficacia clinica.

 

Risorse

www.medscape.com

Therapeutic Advances in Urology

Erectile Preservation following Radical Prostatectomy

Robert Segal, Arthur Burnett

Data pubblicazione: 28 ottobre 2011

Autore

ginoalessandroscalese
Dr. Gino Alessandro Scalese Urologo, Andrologo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1997 presso Università degli Studi di Bari.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Bari tesserino n° 11376.

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