Pino Daniele "appartiene" ai fans o ai familiari? Analisi psicologica del caso

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Dr. Alessandro Raggi Psicologo, Psicoterapeuta

Milioni di fans sono commossi e addolorati per la morte di Pino Daniele, noto cantautore napoletano, che ha contribuito a rendere celebre la musica italiana anche oltreoceano (è stato, tra le altre cose, il primo italiano a suonare all'Apollo Theater di New York).

Con questo breve scritto si intende rendere omaggio alla scomparsa del grande autore, con una riflessione psicologica che scaturisce dall’osservazione delle dinamiche psicosociali successive alla notizia della morte.

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I fatti

Pino Daniele si è sentito male nella sua dimora in Toscana, è successivamente spirato a Roma all’Ospedale Sant’Eugenio. Il collega dr. Giovanni Migliaccio spiega bene nel suo blog La (verosimile) assurda morte di Pino Daniele com’è andata e argomenta le sue perplessità circa i tempi e le modalità del soccorso.  

I figli del cantautore vivono e abitano a Roma e hanno deciso per le esequie del padre, affinché si tenessero a Roma e per la sepoltura affinchè avvenga a Roma. Molti dei fans si sono sentiti “offesi” dalla decisione della famiglia di tenere i funerali del proprio parente a Roma e stanno duramente protestando su tutti i social network, poiché ritengono che il cantante appartenga al “popolo” e pertanto dovrebbe essere omaggiato e sepolto nella città natale, ovvero Napoli.

I cancelli dell’Ospedale S. Eugenio di Roma, dove è tuttora esposta la salma per l’ultimo saluto, sono stati chiusi alla folla stamattina con due ore di anticipo, a causa di qualcuno tra i visitatori che sembrerebbe aver fotografato il cadavere.

Un noto politico italiano, amico del compianto cantautore, ha cercato di entrare da un ingresso riservato ai vip. A quel punto, la folla radunatasi dinanzi all’ospedale, che si è vista probabilmente deprivata della possibilità di rendere l’ultimo omaggio alla salma, ha iniziato a inveire e a urlare contro il politico e contro il personale di sorveglianza. Sono volate parole grosse, grida, minacce di “sfondamento dei cancelli”. In alcuni video visibili in rete (vedi il video qui), si può chiaramente udire la voce di alcuni fans che reclamano e vantano, a loro dire, diritti sulla memoria del cantante. 

L’analisi psicologica

Divi del cinema, Rock-star, personaggi famosi in genere, possono essere oggetto di quella che la teoria psicoanalitica chiama “proiezione”. Si tratta di sentimenti, idee, immagini, affetti, che vengono attribuiti inconsciamente agli altri e non a noi stessi. In questi casi sono accollati, in modo massiccio, a personaggi noti o comunque appartenenti al mondo dello spettacolo.

I contenuti proiettati da milioni di individui su un'unica persona, possono diventare insostenibili per chi li riceve. Quanti divi sono stati, infatti, letteralmente consumati dalle proiezioni collettive di milioni di persone, e hanno spesso bruciato le tappe della propria esistenza fino all’estremo gesto del suicidio, o del lasciarsi morire devastati dall’alcool. Ciò che distrugge della proiezione è infatti la totale assenza di contatto, l’inconsistenza dell’incontro con l’altro. Robert Bly, poeta statunitense, notava a proposito della morte di Marilyn Monroe: “Nessun essere umano può sostenere tante proiezioni e sopravvivere. Perciò è importante che ciascuno richiami dentro di sé le proprie proiezioni.”

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Il dramma dell’artista, ricorda Aldo Carotenuto, uno dei più noti analisti junghiani italiani, è proprio quello di essere una "calamita di proiezioni", a causa della sua stessa natura che lo connette, grazie alla propria sensibilità, ad un insieme più vasto del nucleo sociale a cui di solito egli appartiene.

Ciò che sta accadendo con Pino Daniele è emblematico, a mio modo di vedere, dei meccanismi insidiosi della proiezione di massa, a cui si aggiungono ovviamente, tutti gli altri aspetti ben descritti dalla psicologia sociale sul comportamento delle masse. Le pretese dei fans che vorrebbero decidere le esequie al posto dei familiari, le proteste alla camera ardente, il politico suo amico costretto a non entrare “per evitare ulteriore confusione”, la presunzione di dover a tutti i costi entrare “perché Pino appartiene a noi”.

Si finisce cioè per immaginare che il divo, il famoso cantautore, sia tutt’una cosa con l’individuo. Si confonde in pratica il personaggio, frutto del ruolo sociale e delle proiezioni collettive, con la persona, con il soggetto in carne e ossa. Dietro la fama, la creatività e l’immagine, c’è sempre invece, un uomo o una donna reale, viva. Una persona con le sue fragilità e le sue bellezze, i suoi problemi, dubbi, gioie, patologie, passioni, vizi, i suoi affetti: uno come noi. Più ricco, più celebre, certamente anche più geniale, ma pur sempre umano.

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Sicuramente le canzoni e le poesie di Pino Daniele, così come quelle di Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Lou Reed, Enzo Jannacci, appartengono alla nostra psiche, alla nostra memoria e ai nostri sentimenti. Ma non per questo ci appartiene “Giuseppe Daniele” o il “Pino” che conoscono gli amici e i familiari. La persona vera, quella fatta non solo di creatività e canzoni appassionate, ma di tutte quelle sfaccettature quotidiane, belle e brutte, che possono conoscere a fondo solo le persone che lo hanno frequentato, amato e vissuto realmente per quello che era come persona e non solo come personaggio. 

 

 

Bibliografia:

  • Bly R. (1988), Il piccolo libro dell’Ombra. RED, Como 1992.
  • Carotenuto A. (1989), La chiamata del Daimon, Milano, Bompiani.
  • Raggi A. (2006), “L’Ombra”, Il Minotauro, Problemi e ricerche di psicologia del Profondo,       anno XXXIII, 1, giugno
Data pubblicazione: 06 gennaio 2015

17 commenti

#1
Psicologo
Psicologo

Complimenti!

Bellissimo, intrigante ed emozionante questo articolo e le mie riflessioni accolgono il tuo "sentire"!

Grazie.

#7
Dr. Chiara Lestuzzi
Dr. Chiara Lestuzzi

Bellissimo articolo...

casualmente, oggi -dopo aver visto un servizio su Audrey Hepburn su rai storia- mi era venuta la curiosità di sapere che fine avesse fatto il suo figlio italiano, Luca Dotti. Il quale ha recentemente pubblicato un libro fotografico dedicato a sua madre.

E ho trovato un' intervista in cui a questa

Domanda: Solitamente quando una persona cara ci lascia, ciò che questa è stata ai nostri occhi finisce in un certo senso per cristallizzarsi, poiché quel che ci è dato fare è solo trattenere il più possibile il ricordo che ne abbiamo. Si può dire che ne stampiamo nella nostra mente una fotografia il più dettagliata possibile.
Dalla scomparsa di sua madre, lei si è impegnato a renderne al pubblico un’immagine a tutto tondo, spesso parlando di com’era nella normale routine quotidiana.
Tutti questi anni di interviste, chiacchierate con persone che l’hanno conosciuta hanno fatto sì che lei riuscisse ad aggiungere dei dettagli a quella foto, che lei stesso scoprisse o comprendesse qualcosa in più della persona Audrey, al di là del ruolo di madre? O in ogni caso resta un lavoro che le è tornato utile per far sì che quella foto quantomeno non perdesse il suo colore?

Ha risposto:
Quando nel 1993 ho perso mamma, mi sono trovato a fare i conti con due lutti ben distinti. Il primo, quello strettamente privato e personale, è legato alla perdita di un genitore. Esperienza dolorosa, sulla quale non credo sia necessario dilungarsi più di tanto e con la quale, purtroppo, prima o poi tutti facciamo i conti. In questo contesto esisteva solo e unicamente il mio lutto, privato ed egoistico. Il secondo, quello pubblico, l’ho dunque vissuto come un’insostenibile invasione di campo e per reazione l’ho inizialmente escluso. Avevo perso mia madre e ritrovarla come Audrey Hepburn su ogni copertina e in ogni edicola era qualcosa che aggiungeva solo “rumore”. La mia vita con lei, la nostra vita a casa erano lontane anni luce dall’immagine della diva senza tempo.

Poco a poco, grazie anche a tante dimostrazioni di affetto, ho cominciato a capire che il pubblico aveva voglia di conoscere il privato di mamma. Benché la maggioranza intuisse un contesto di grande normalità e riservatezza, era difficile scostarsi dai preconcetti che tutti abbiamo sulle star di Hollywood. In fondo era il mio stesso dilemma, rovesciato. Quell’iniziale sentimento di difesa mi escludeva da una più profonda conoscenza a tutto tondo della vita di mia madre. Credo di avere imparato più io da quelle interviste e chiacchierate. È stata certamente una forma terapeutica e, raccontando la sua normalità, ho ritrovato la mia.

Io credo che quando un personaggio famoso muore, il fatto che i suoi ammiratori vadano in gran numero a rendergli omaggio possa essere una consolazione per i parenti, ma solo a patto che sia un omaggio discreto e composto (penso a Franca Rame, a Mariangela Melato,
a Giorgio Gaber, a Lucio Dalla...). Ma pretendere che il personaggio famoso sia "dei suoi fan" è un' aberrazione di un egoismo terribile.

#8
Dr. Alessandro Raggi
Dr. Alessandro Raggi

Grazie a Chiara Lestuzzi per il suo splendido contributo e per averci ricordato una grande diva qual'è stata la Hepburn.

#9
Utente 947XXX
Utente 947XXX

Bellissimo articolo, se posso dire la mia da ammiratrice di Pino Daniele, il fatto che i fan si sentano "orfani" è dovuto molto all'opera di "innalzamento" della sfera "popolare" operato dal cantante. I sound popolari, le tematiche di Napoli, la poesia inarrivabile tutta partenopea, hanno fatto sì che la gente si sentisse presa in considerazione perché c'è chi parla di loro e per loro. E lo fa con amore, disincanto, naturalezza. Per questo Pino Daniele è così amato, e forse è lo stesso motivo per cui i suoi fan si sentono parte del suo mondo. Non è il cantante ad essere una loro proprietà, forse siamo noi a sentirci parte dei pensieri e della musica di un grande artista, e tanto ne siamo più onorati perché il nostro piccolo mondo è stato narrato con delicatezza, passione, innumerevoli sfumature di bellezza...Scusatemi se ho invaso il campo degli esperti, buon anno a tutti! :-)

#10
Psicologo
Psicologo

Si, questa "lettura" rispecchia in pieno il popolo partenopeo...

Da questo punto di vista accolgo il "dolore" e anche il desiderio di farlo continuare a vivere nel nostro cuore!


Grazie per la condivisione... non è affatto un'invasione di campo!

Grazie, ancora, al Collega che ci ha fatto cogliere "sfumature" davvero peculiari!


Una buona vita a tutti!

#11
Dr. Alessandro Raggi
Dr. Alessandro Raggi

Lei è la benvenuta,
siamo tutti parimenti esperti di fronte a misteri come la morte e il genio artistico, specialmente quando ci tocca nel cuore come quando scompare un personaggio che amiamo.
Questo contributo, in fondo, non è che un modo, anch'esso, per esorcizzare la paura dell'ignoto e dell'incomprensibile, della morte, come della genialità creativa dell'artista. In fondo l'artista sembra poter essere immortale nel suo spessore quasi sovra-umano, ma è il suo personaggio a restare, spesso per sempre, mentre l'uomo purtroppo finisce e noi tutti ce ne rammarichiamo, perché in fondo in fondo ci ricorda che siamo tutti uguali e accomunati da un medesimo destino.

#12
Utente 947XXX
Utente 947XXX

Caro dott. Raggi, a dirla come forse avrebbe fatto Pino Daniele:

'A morte 'o ssaje che d'è? È 'na livella!
'Nu rre, 'nu magistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno 'stu canciello ha fatto 'o cunto
che ha perzo tutto: 'a vita e pure 'o nomme.

Grazie per l'accoglienza. :-)

#13
Dr. Antonio Vita
Dr. Antonio Vita

Alessandro, bello e appassionato il tuo articolo su Pino. Da un punto di vista psicologico e del profondo, l'esame condotto è impeccabile. Si lega a Pino il ricordo di Aldo Carotenuto che hai richiamato per le proiezioni collettive! anche lui soffriva di una cardiopatia congenita!
Da un punto di vista musicale, com'è stato detto, Pino Daniele ha saputo coniugare la "napolanità" delle sue canzoni al jazz, e specificatamente al blues! Egli ha costruito, sentendolo, un modo italiano e napoletano di interpretare una musica straordinaria che ha caratterizzato il '900, il cui linguaggio è stato un prodromo per il rock e derivati. La voce di Pino Daniele veniva da lontano, e, avrebbe detto Quasimodo, come fosse originata dal suono di un “oboe sommerso”.

#14
Dr. Alessandro Raggi
Dr. Alessandro Raggi

@Antonio Vita
<<Si lega a Pino il ricordo di Aldo Carotenuto che hai richiamato per le proiezioni collettive! anche lui soffriva di una cardiopatia congenita!>>

Esatto! ed erano entrambi, nel loro rispettivo campo due inguaribili creativi, precursori dei tempi, entrambi esempi di una napoletanità positiva e feconda.

#16
Ex utente
Ex utente

Gentile Dottore,
da critico d'arte, non sono d'accordo con la sua visione.
Ho conosciuto diversi artisti, nella mia carriera, la cui grande fama era il frutto di un'artisticità che,oltre ad essere emanata e ricevuta dalla popolazione che a sua volta proietta, è radicata anche nell'artista in maniera sostanziale. Non so spiegare questo fenomeno da un punto di vista psicologico quindi mi scuso dell'imprecisione del mio linguaggio tecnico da critico e non da psicologo, non essendo del settore, ma ho la certezza che grandi personalità creative assumano in maniera molto forte (e in alcuni casi totalitaria), la forma di "homo artisticus": alcuni artisti li ho conosciuti infatti da vicino in circostanze anche private, e sembrano interpretare "artisticamente" anche la scelta e l'andamento di relazioni sentimentali, la casa, l'abbigliamento, la scelta del cibo, la considerazione dei propri sentimenti. Prendiamo un Federico fellini come esempio per tutti: è impensabile, conoscendo anche parte della sua vita privata, pensare alla sua carriera artistica e a quella privata come due aspetti divisi e a sé stanti, come ad uno manichino che specchiandosi, diventa ballerina, come fa vedere come esempio nel foto del quadro postata nel suo articolo. Non è così. La carnalità femminile che Fellini proiettava nei suoi film ad esempio, ha forti legami con quella ricercata nelle figure di donne divenute sue amanti nella vita reale. Non so se sia il caso di Pino Daniele, di cui non conosco le vicende approfonditamente come quelle di Fellini, ma, in ogni caso, la demarcazione non netta tra "personaggio pubblico" e "persona privata" è un pensiero da prendere in considerazione, soprattutto di un napoletano così trans-portatore della vivacità di napoli anche nella propria arte. Pensiamo anche al Totò artista, maschera napoletana d'eccellenza, e all'uomo Totò che volle essere seppellito, da buon partenopeo, nella sua Napoli. Se si usa questa chiave interpretativa cambia anche la visione e l'atteggiamento nei confronti "del popolo", non più passivo proiettore ma sostenitore (forse involontario) di questa totalità artistica (ripeto, non so se giusta nel caso di Pino Daniele, di cui non conosco elementi privati se non per poco attendibili "gossip").
L'artisticità è un elemento vitale sostanziale per l'artista che ha dedicato tutta la vita e intessuto intorno alla propria ricerca anche la sua vita privata, e questo elemento, ai fini della valutazione complessiva dell'atteggiamento popolare, non può non esser preso in considerazione. Da qui, a mio avviso, la sensata richiesta del popolo partenopeo, che chiede giustizia non solo perché inconsapevole proiettore, ma recettore di una totalità napoletana plausibilmente esistente.

#17
Dr. Alessandro Raggi
Dr. Alessandro Raggi

Gentile Utente,
la ringrazio davvero per il suo commento, chiaro e ben argomentato. Peraltro lei mi offre la possibilità di illustrare meglio, anche a vantaggio degli altri lettori, alcuni dettagli che riguardano i processi che la psicoanalisi ha descritto con il nome di “proiezione”.
Come lei correttamente fa notare l’artista (parlando di artisti in generale) è spesso percepito dal pubblico, nei suoi aspetti peculiari, in maniera non distante dal modo in cui poi questi vive la sua stessa vita. Ricordiamo tutti (almeno quelli della mia generazione) ad esempio Jim Morrison, icona del rock (poco ricordato come scrittore, ma fu invero anche un valente poeta) famosa per le sue eccentricità e trasgressioni.

Quell’anticonformismo, la ribellione l’ambivalenza tra autodistruttività e desiderio di vita, erano nel “recettore” (come chiama lei il soggetto su cui si proietta) o degli “inconsapevoli proiettori”?

Avrà già compreso, immagino, che la mia è una domanda retorica. Questo artificio mi serviva a spiegare, appunto, l’idea di “proiezione” e di contenuto affettivo proiettato. È pur vero, infatti, che la difesa detta “proiezione” è particolarmente insidiosa quando riguarda parti di noi non elaborate, non accettate, non mature, inconsapevoli e spesso rifiutate, ma occorre ricordare che si tratta comunque - per la psicoanalisi - di un meccanismo naturale e universale del funzionamento psichico. Tutti proiettiamo e proiettiamo in continuazione. Il meccanismo diviene indice di un funzionamento potenzialmente patologico quando gli elementi proiettati sono massicci e quando risultano pressoché impossibili da riconciliare con la nostra parte cosciente.

Tornando all’esempio/domanda appena proposto, è chiaro che Jim Morrison incarnava lo “schermo” perfetto su cui riversare determinati contenuti affettivi, comuni a milioni di persone, che d'altra parte vivevano in un momento storico di grandi trasformazioni sociali (oltre che musicali), nel quale l’anticonformismo e la trasgressione erano vissuti e sentiti in una maniera particolarmente forte e allo stesso tempo anche ambivalente. Ambivalente, perché comunque quel tipo di eccesso che Morrison rappresentava anche nella propria vita sregolata, non era già del tutto assimilato dalla coscienza collettiva dell’epoca e per questo, lasciandoci adesso guidare dalla saggezza junghiana, potremmo dire che non era del tutto assimilato neppure dalla coscienza dei singoli individui che all’epoca pur si dichiaravano anticonformisti.

Certo dunque, parafrasando ciò che anche lei ha scritto, che l’artista e il pubblico sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Se qualcuno (che sia un individuo o una massa) vedesse nell’altro cose che non ci sono, non ci troveremmo di fronte a un meccanismo di difesa dell’Io, ma al cospetto di ben altre manifestazioni psichiche quali le allucinazioni, i deliri. La proiezione è un qualcosa di molto più sottile e agisce sempre in direzione di un elemento in grado di raccogliere (e in qualche modo a sua volta rappresentare) tutti quei contenuti che il soggetto sta proiettando.

Pino Daniele rappresentava dunque la napoletanità? A mio avviso, e so di poter sembrare provocatorio, dal punto di vista squisitamente psicologico le direi che no, non la rappresentava affatto. Pino Daniele rappresentava una napoletanità: un tipo di napoletanità. Così come Totò ne rappresentava un altro tipo completamente differente, Eduardo un altro ancora del tutto diverso a sua volta da entrambi e Massimo Troisi ancora uno. Ognuno di questi grandi artisti napoletani era emblema di napoletanità, eppure ci troviamo al cospetto di “personaggi” che senza esitazione potremmo definire del tutto singolari, distinguibili e per nulla sovrapponibili l’uno all’altro: unici.

In conclusione, la distinzione tra “persona” e “personaggio” non è a mio avviso, alla luce di ciò che si è detto, una distinzione che appartiene al soggetto. Il soggetto non è evidentemente scisso tra due personalità: una pubblica e una privata. Cosa che tuttavia in determinati casi – specialmente quando parliamo di grandi star internazionali – può accadere non di rado. Ci troviamo dunque di fronte sempre a un individuo psichicamente integro, quando sano. Sono però le nostre percezioni in quanto pubblico limitate ai soli aspetti offerti da ciò che è osservabile e intuibile nel “personaggio”. Il personaggio in alcuni casi sembra coincidere con la persona? Certo che è possibile, proprio perché come abbiamo detto non si tratta di aspetti “divisi e a sé stanti”, bensì di aspetti che si integrano tra loro, si confondono e si riverberano a vicenda, in quel modo del tutto particolare e inimitabile caratteristico di ogni personalità creativa.

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