Cinema e Psichiatria: Disturbo Bipolare (Mania furiosa)
La "follia" dell'uomo qualunque, esasperato da un mondo che non considera più i suoi bisogni di individuo ma lo tratta come un limone, da strizzare e buttar via quando non può più dare niente. L'uomo qualunque delle metropoli americane che vive in grovigli di strade, che passa ore in auto solo per andare e tornare dal lavoro, che in alcuni quartieri è una preda di criminali da strada. Intorno, un mondo di persone che hanno come unico interesse lo sfruttarsi reciprocamente e odiarsi con pretesti qualsiasi.
Il protagonista non nasce dal niente, è un tipo con una storia di problemi psichici, ha un matrimonio fallito alle spalle con una moglie che lo ha allontanato perché non si sentiva al sicuro. Lui non ha mai usato violenza ma in certi momenti dava l'impressione di essere sul punto di farlo. Ha una figlia che non può vedere. Un posto di lavoro sicuro (in una ditta che lavora con la Difesa), ma l'unica sicurezza è che dopo anni lo hanno licenziato per esubero di personale.
In fondo, in lui si agitano tutte le ragioni di frustrazione di un uomo costretto in una vita che non è a misura d'uomo, in una città piena di beni di consumo ma vuota di valori condivisi, con parchi enormi per ricchi e giungle per poveri, su tutto la disonestà e la voglia di imbrogliare l'altro.
In un giorno come tanti, in cui finge di andare al lavoro perché non osa dire la verità sul licenziamento alla madre anziana, sotto un caldo torrido e intrappolato nei lavoro in corso, "rompe" con il mondo. Scende dall'auto e decide di attraversare Los Angeles a piedi, per arrivare "a casa". Ma Casa non esiste più, per lui Casa è quella che dovrebbe essere, la Casa che aveva sognato, felice con la moglie e la figlia, fuori dal caos, sul mare del quartiere di Venice, a prendere il gelato a quel chiosco che non c'è più. Una persona tutto sommato mite, scrupolosa, che credeva in valori di affiliazione (alla patria), di lealtà (con il prossimo), di rispetto. Tolti questi, un guscio vuoto con la rabbia dentro, che quel giorno non ha più la sicura tirata. E così il nostro impiegato licenziato attraversa i quartieri poveri e quelli ricchi, deciso a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Nessuno per lui ha più una scusante di fronte alla sua delusione per il mondo. Non la hanno i ragazzi delle gang di periferia, che si compiacciono di difendere il loro territorio e di rapinare chi ci passa. Non hanno il suo rispetto i mendicanti insistenti, i negozianti che gonfiano i prezzi delle bibite approfittando del caldo, i bulli razzisti che si sentono nel giusto senza merito alcuno, dopo aver deciso chi odiare e perseguitare. E' il trionfo dell'"ira del mansueto", e in effetti le persone "miti" e controllate, quando hanno fasi agitate, maniacali o miste, hanno come caratteristica quella di essere particolarmente nichilisti, ostili, sprezzanti. Perché i presupposti psicologici, che poi finiscono "impazziti" dentro il calderone della fase maniacale, sono quelli di chi ha sempre sopportato, incassato, investito speranze e sogni in sforzi e regole, per vedersi alla fine beffato o ignorato a favore degli ultimi arrivati, o di chi non ha rispettato niente e nessuno. La "mania furiosa", che non conosce vie di mezzo, non è un'arrabbiatura, che può spengersi e accendersi, è come un programma automatico di attacco missilistico che una volta partito finirà, ma non quando lo vogliono gli altri. Un'onda di marea che provoca gli eventi per poi reagirvi. In questa fase maniacale alcuni elementi tipici: la mobilità (la persona attraversa chilometri di aree urbane a piedi, sotto il sole cocente, senza stancarsi), il cambiamento di rotta (vuole andare prima a casa, poi la casa diventa quella che aveva un tempo), il sentimento di realtà maniacale (volere è potere, quindi pensa che volendo ritornare dalla ex moglie la cosa sia fattibile, anche se razionalmente è consapevole che non è così, ma vuole "forzare" la realtà che non gli sta bene, imporre la sua che sente giusta). Lascia dietro di sé morti e spavento, ma con chi non lo provoca è generoso, si sente armato (concretamente di un mitra) di una grandezza divina, che può essere generosa o mortale.
Più va avanti, più la mania lo porta in un vicolo cieco, perché compie atti che lo allontanano dal suo scopo finale (vivere in pace) e invece sembra voler scatenare una guerra, contro tutto e tutti. E quel tutto e tutti sarà la polizia che lo rintraccerà e lo metterà colle spalle al muro. Alla fine intuisce di non avere scampo, e comunque va a farsi prendere dove la sua vita aveva un senso, quando era sposato con la figlia, sul pontile del quartiere sul mare di Venice. Preferisce farsi uccidere che consegnarsi, perché così la figlia incasserà l'assicurazione sulla sua vita.
Diverse storie di cronaca, meno pittoresche e avventurose, finiscono tragicamente al culmine di fasi maniacali o miste, manie furiose di solito, in cui la persona si spinge verso un vicolo cieco e poi sacrifica se stesso, talvolta anche gli altri, non vedendo altre soluzioni in quel momento accettabili. Ma c'è da dire che queste storie quasi mai iniziano dal niente, come in questa rappresentazione: c'era un'epoca felice, poi dissestata da disturbi dell'umore, che distruggono i rapporti interpersonali, e soprattutto rendono la persona vittima. Allontanata perché aggressiva o intrattabile, o perché improduttiva e negativa, chiusa in una rabbia che è quasi una maledizione perché impedisce di reagire costruendo quacosa di nuovo. Alla fine "il problema" è più il proprio umore che non ciò che sta fuori, certamente criticabile ma che non è lì per piegarsi al nostro volere. Quello che potrebbe sembrare una "guerra giusta" contro il mondo è una triste involuzione, una guerra solitaria e senza uno scopo possibile. Che va combattuta al contrario, non cercando sbocchi su cui sfogarsi, ma pacificando l'umore con una cura.