Cinema e Psichiatria: Disturbo Bipolare (Mania furiosa)

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Diabetologo, Medico delle dipendenze
"Un giorno di ordinaria follia", già dal titolo richiama qualcosa di psichiatrico, anche se potrebbe trattarsi di un titolo ironico. Si tratta di un film con Michael Douglas, che ben rappresenta, con i limiti della finzione, quel che in psichiatria può chiamarsi "mania furiosa".
La "follia" dell'uomo qualunque, esasperato da un mondo che non considera più i suoi bisogni di individuo ma lo tratta come un limone, da strizzare e buttar via quando non può più dare niente. L'uomo qualunque delle metropoli americane che vive in grovigli di strade, che passa ore in auto solo per andare e tornare dal lavoro, che in alcuni quartieri è una preda di criminali da strada. Intorno, un mondo di persone che hanno come unico interesse lo sfruttarsi reciprocamente e odiarsi con pretesti qualsiasi.
Il protagonista non nasce dal niente, è un tipo con una storia di problemi psichici, ha un matrimonio fallito alle spalle con una moglie che lo ha allontanato perché non si sentiva al sicuro. Lui non ha mai usato violenza ma in certi momenti dava l'impressione di essere sul punto di farlo. Ha una figlia che non può vedere. Un posto di lavoro sicuro (in una ditta che lavora con la Difesa), ma l'unica sicurezza è che dopo anni lo hanno licenziato per esubero di personale.
In fondo, in lui si agitano tutte le ragioni di frustrazione di un uomo costretto in una vita che non è a misura d'uomo, in una città piena di beni di consumo ma vuota di valori condivisi, con parchi enormi per ricchi e giungle per poveri, su tutto la disonestà e la voglia di imbrogliare l'altro.
In un giorno come tanti, in cui finge di andare al lavoro perché non osa dire la verità sul licenziamento alla madre anziana, sotto un caldo torrido e intrappolato nei lavoro in corso, "rompe" con il mondo. Scende dall'auto e decide di attraversare Los Angeles a piedi, per arrivare "a casa". Ma Casa non esiste più, per lui Casa è quella che dovrebbe essere, la Casa che aveva sognato, felice con la moglie e la figlia, fuori dal caos, sul mare del quartiere di Venice, a prendere il gelato a quel chiosco che non c'è più. Una persona tutto sommato mite, scrupolosa, che credeva in valori di affiliazione (alla patria), di lealtà (con il prossimo), di rispetto. Tolti questi, un guscio vuoto con la rabbia dentro, che quel giorno non ha più la sicura tirata. E così il nostro impiegato licenziato attraversa i quartieri poveri e quelli ricchi, deciso a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Nessuno per lui ha più una scusante di fronte alla sua delusione per il mondo. Non la hanno i ragazzi delle gang di periferia, che si compiacciono di difendere il loro territorio e di rapinare chi ci passa. Non hanno il suo rispetto i mendicanti insistenti, i negozianti che gonfiano i prezzi delle bibite approfittando del caldo, i bulli razzisti che si sentono nel giusto senza merito alcuno, dopo aver deciso chi odiare e perseguitare. E' il trionfo dell'"ira del mansueto", e in effetti le persone "miti" e controllate, quando hanno fasi agitate, maniacali o miste, hanno come caratteristica quella di essere particolarmente nichilisti, ostili, sprezzanti. Perché i presupposti psicologici, che poi finiscono "impazziti" dentro il calderone della fase maniacale, sono quelli di chi ha sempre sopportato, incassato, investito speranze e sogni in sforzi e regole, per vedersi alla fine beffato o ignorato a favore degli ultimi arrivati, o di chi non ha rispettato niente e nessuno. La "mania furiosa", che non conosce vie di mezzo, non è un'arrabbiatura, che può spengersi e accendersi, è come un programma automatico di attacco missilistico che una volta partito finirà, ma non quando lo vogliono gli altri. Un'onda di marea che provoca gli eventi per poi reagirvi. In questa fase maniacale alcuni elementi tipici: la mobilità (la persona attraversa chilometri di aree urbane a piedi, sotto il sole cocente, senza stancarsi), il cambiamento di rotta (vuole andare prima a casa, poi la casa diventa quella che aveva un tempo), il sentimento di realtà maniacale (volere è potere, quindi pensa che volendo ritornare dalla ex moglie la cosa sia fattibile, anche se razionalmente è consapevole che non è così, ma vuole "forzare" la realtà che non gli sta bene, imporre la sua che sente giusta). Lascia dietro di sé morti e spavento, ma con chi non lo provoca è generoso, si sente armato (concretamente di un mitra) di una grandezza divina, che può essere generosa o mortale.
Più va avanti, più la mania lo porta in un vicolo cieco, perché compie atti che lo allontanano dal suo scopo finale (vivere in pace) e invece sembra voler scatenare una guerra, contro tutto e tutti. E quel tutto e tutti sarà la polizia che lo rintraccerà e lo metterà colle spalle al muro. Alla fine intuisce di non avere scampo, e comunque va a farsi prendere dove la sua vita aveva un senso, quando era sposato con la figlia, sul pontile del quartiere sul mare di Venice. Preferisce farsi uccidere che consegnarsi, perché così la figlia incasserà l'assicurazione sulla sua vita.
Diverse storie di cronaca, meno pittoresche e avventurose, finiscono tragicamente al culmine di fasi maniacali o miste, manie furiose di solito, in cui la persona si spinge verso un vicolo cieco e poi sacrifica se stesso, talvolta anche gli altri, non vedendo altre soluzioni in quel momento accettabili. Ma c'è da dire che queste storie quasi mai iniziano dal niente, come in questa rappresentazione: c'era un'epoca felice, poi dissestata da disturbi dell'umore, che distruggono i rapporti interpersonali, e soprattutto rendono la persona vittima. Allontanata perché aggressiva o intrattabile, o perché improduttiva e negativa, chiusa in una rabbia che è quasi una maledizione perché impedisce di reagire costruendo quacosa di nuovo. Alla fine "il problema" è più il proprio umore che non ciò che sta fuori, certamente criticabile ma che non è lì per piegarsi al nostro volere. Quello che potrebbe sembrare una "guerra giusta" contro il mondo è una triste involuzione, una guerra solitaria e senza uno scopo possibile. Che va combattuta al contrario, non cercando sbocchi su cui sfogarsi, ma pacificando l'umore con una cura.
Data pubblicazione: 04 gennaio 2011

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Diabetologo, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

Specialista con oltre 25 anni di esperienza clinica e di ricerca in psichiatria, focalizzato su dipendenze da oppiacei, doppia diagnosi e terapia farmacologica. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche internazionali e docente universitario, ha ricoperto ruoli di rilievo in società scientifiche e comitati editoriali. Riconosciuto per contributi innovativi nella gestione integrata delle dipendenze e nella farmacoterapia personalizzata.

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6 commenti

#1
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Utente 169XXX

Egregio Dottor Pacini, molto interessanti i film che stà citando riguardo i disturbi dell'umore e non solo. Spesso il cinema ha trattato il delicato tema del disagio mentale e a tal proposito mi permetto di segnalarLe che in una nota rivista mensile a carattere medico, proprio questo mese hanno dedicato un'ampio servizio affiancando titoli di film a patologie psichiatriche.
Essendo io un'appassionato di cinema, sono dell'idea che un film visto al cinema resti comunque un bel film, riguardo il disturbo bipolare, che per quanto mi pare di capire dottor Pacini rientra in una delle Sue passioni, a mio avviso il miglior film che descrive in maniera sorprendente tale malattia è "Mr Jones" interpretato magistralmente da un Richard Gere in stato di grazia. Sicuramente Lei conoscerà tale pellicola; i tormenti e le estasi del protagonista, le sue virate improvvise verso una megalomania sconfinata: memorabili le scene centrali che rendono l'idea in cui l'attore cammina divertito a mò di funanbolo tra i ponteggi di un palazzo in construzione ad un'altezza vertiginosa, oppure quando seguendo un concerto, improvvisamente incurante del pubblico, prende il posto del direttore d'orchestra, rubandogli le bacchette. La trama vuole che tra il paziente e la psichiatra che lo cura ci scappi pure una storia d'amore e un'altro momento clou della pellicola è quando dopo tanta insistenza, la dottoressa riesce a fargli assumere il litio e lui, tornato ad una "apparente normalità" la scongiura piagnucolando di levarglielo in quanto..." da quando assumo il litio mi mancano le mie estasi..il mondo non ha più colore, è tutto grigio" (ricordo perfettamente la frase).
In "The aviator" invece, protagonista Leonardo di Caprio, viene messo a fuoco il disturbo ossessivo-compulsivo con tutti i rituali del caso. Tornando alle interpretazioni di un mostro sacro qual'è Robert de Niro, oltre a "The fan- il mito" (trasmesso ieri sera in seconda serata su Retequattro) cito pure "Terapia e pallottole" in cui il protagonista, un boss della mala, uomo tutto d'un pezzo, ad un certo punto si trova a fare i conti con il disturbo da attacchi di panico che lo rendono in poco tempo come un bambino spaventato e pauroso che ovviamente prova una fortissima vergogna nel ritrovarsi così, sopratutto davanti al suo clan. Molto bello come film direi, tragi-comico ma che allo stesso tempo mette in luce il disagio, le limitazioni, gli evitamenti che un soggetto colpito da tale disturbo prova. (e chi Le scrive dottor Pacini, conosce fin troppo bene questo "inferno" visto che lo stà condividendo da più di un'anno con un caro amico che ne soffre!). Sempre con de Niro, un film passato alla storia come vero e proprio "cult movie" è "Il cacciatore" cruenta vicenda ambientata durante la vegognosa guerra (come tutte le guerre del resto) in Vietnam; un gruppo di ragazzi ridanciani e pieni di belle speranze che per un'ideale inculcato dal solito presidente guerrafondaio di turno americano, partono verso un'ignoto destino che segnerà le loro vite per sempre: in questo caso penso che si possa benissimo parlare di disturbo post-traumatico da stress. Aggiungo come "chicca" che proprio in quel film cominciava a muovere i primi passi colei che in seguito sarebbe diventata una delle più grandi dive del panorama hollywoodiano: Meryl Streep.
Bene Dottor Pacini, concludo qui. Nel salutarLa con la stima di sempre resto in attesa di altri Suoi commenti e suggerimenti in materia di cinema e mente.
Alla prossima. Distinti saluti.

#2
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Utente 171XXX

chissà perchè quasi tutti i film citati hanno come protagonista un piccolo borghese, un impiegatuccio mediocre..Ma bipolari non sono stati alcuni personaggi tra i più famosi della storia?

#3
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Dr. Matteo Pacini

Abbia pazienza e proporrò anche quei casi, ma questi sono quelli meno "ovvi". Spesso si ragiona nei termini "non è mai stato un depresso, proprio a lui doveva succedere" oppure "è sempre stato un tipo mite, cosa gli è successo ?", mentre invece nella natura del disturbo bipolare c'è questo rischio crociato, a rischio di depressione e di mania sono spesso le persone che abitualmente hanno umore opposto. Inoltre, se Lei guarda a molte biografie di famosi trova episodi depressivi passati, come dire che non è scontato che chi è stato esuberante lo sia stato sempre e comunque.

#4
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la sua descrizione della California consumistica, mi ha fatto venire in mente un passo del libro di Fukuyama, la fine della storia. L'autore fa notare che la California, che è forse la regione al mondo dove si è raggiunto il più alto livello di benessere materiale, è anche quella che ha il maggior numero di praticanti di sport estremi. Fukuyama diceva che si tratta della parte timotica dell'uomo che viene fuori, cioè dell'uomo che non si accontenta della tranquillità e sicurezza, ma vuole dimostrare di valere di più, di essere veramente uomo mettendo in gioco la propria esistenza(secondo Fukuyama gli animali non rischiano la vita per qualcosa che non è il loro immediato tornaconto).

#5
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Dr. Matteo Pacini

In psichiatria si chiama "riverbero", ovvero il piacere richiama altro piacere, e non raggiunge semplicemente un equilibrio. Tendere verso un livello di attività e di realizzazione maggiore, anche se in teoria potrebbe bastare il minore. La teoria spiega in maniera semplice il perché dell'evoluzione della società umana, delle guerre d'aggressione e di conquista, delle esplorazioni e così via.

#6
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Ex utente

Ottimo esempio è la classica escalescion della follia.
Questi giorni Dottore ho visto anche un film molto interessante ma probabilmente Lei lo saprebbe descrivere meglio.
Il film si chiama L'INQUILINO DEL TERZO PIANO di ROMAN POLANSKI, e li fa proprio vedere cosa possa fare una psicosi.
So che magari non centra molto con questo post in particolare ma fa vedere come una persona apparentemente di buona presenza possa impazzire senza rendersene conto.
Si nota gia da il momento che il protagonista entra nella chiesa per un funerale di una donna che si è suicidata gettandosi dal balcone del suo appartamento.
Purtroppo non è conosciuto oggi il film ma rende l'idea di cosa sia la paranoia e il delirio.

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