I "raptus" dei mass-media
“Madre uccide in preda a raptus” “Raptus della depressione” “Tragedia familiare dovuta a raptus”: sono notizie sconvolgenti, che non vorremmo mai leggere sui giornali o ascoltare in televisione.
Aggiungerei che il termine “raptus” in questo contesto non soltanto è impreciso, ma dà al pubblico un’informazione scorretta: come se una madre, un marito o un figlio potessero improvvisamente e senza motivo perdere il lume della ragione. Le successive, stereotipate interviste a vicini di casa e bottegai: “Era tanto una brava persona... così gentile... tranquilla... non si capisce proprio perché abbia fatto una cosa del genere” convalidano questa impressione.
“Raptus” (dal dizionario De Mauro): “Impulso improvviso e incontrollabile che induce a compiere azioni per lo più violente su di sé o verso gli altri”
In ambito psichiatrico sono soggetti a raptus, tra gli altri, pazienti affetti da disturbo antisociale o borderline, persone in preda a intossicazioni endogene o esogene (alcol o sostanze stupefacenti, ad es.), o con patologie cerebrali, come la demenza.
Gli omicidi e/o suicidi che meritano le prime pagine dei giornali, invece, non nascono all’improvviso: c’è sempre un periodo precedente, di mesi se non di anni, di malessere o una sintomatologia chiaramente psichiatrica.
Nei casi più drammatici, della psicosi puerperale con infanticidio, spesso la donna aveva manifestato già un episodio psicotico in occasione di una precedente gravidanza, e comunque il suo comportamento, nelle settimane precedenti, rivisto col senno di poi (purtroppo!) mostrava aspetti preoccupanti: eccessiva ansia, insonnia, stanchezza, pessimismo o addirittura ideazioni deliranti. Il puerperio e i mesi successivi sono molto stressanti per tutte le donne, e sia la paziente che i familiari dovrebbero essere consapevoli del rischio, soprattutto se la donna ha già precedenti di depressione, e dovrebbero chiedere aiuto al più presto.
Le madri con bambini piccoli, anche quando gravemente depresse, mantengono il legame simbiotico con le proprie creature, e vedono nel “suicidio allargato” l’unica via di uscita.
Il giovane psicotico talvolta vive i genitori come persecutori, soprattutto se interrompe le terapie, ma gli stessi genitori sono restii a farlo ricoverare in TSO perché temono ritorsioni o perché non si sentono supportati a sufficienza dai Servizi, e così si rischiano aggressioni a volte fatali.
Tornando ai titoloni iniziali, quello che mi fa rabbia come psichiatra è il fatalismo racchiuso nella parola “raptus” e in quel modo di vedere le cose: si tratta di episodi psicotici curabili, di tragedie evitabili. Ricorrere allo psichiatra non è una vergogna, e assumere farmaci per un periodo della vita (breve nel caso della psicosi puerperale, più lungo in altri casi) permette di salvare non solo quella persona e quella vita, ma anche i suoi familiari.