Il narcisismo: tra normalità e patologia

Nell'affrontare il tema del narcisismo ci sono inevitabilmente delle questioni da porsi la cui soluzione costituisce la cornice all'interno della quale muoversi per evitare di cadere nelle trappole che un tema di questo genere tende a chiunque vi si addentri. Come vedete la trappola è già tesa e la diffidenza diventa inevitabile come in tutti i casi in cui ci si ritrova a fare i conti con le istanze idealizzate di sé. Saggiamente terrò bene in mente un insegnamento che forse non ho ancora fatto del tutto mio secondo il quale nella vita si fa quello che si può e non ciò che si dovrebbe.

Riepilogo brevemente i tratti salienti di questa cornice di questi presupposti su cui costruire un discorso sul tema: 

  1. Come evitare di fare un intervento narcisistico sul narcisismo

  2. Mostrare gli aspetti del narcisismo che riguardano tutti e che ciascuno può sentire come propri

  3. Mostrare l'importanza del narcisismo nella vita quotidiana

 

Il narcisismo è caratterizzato dalla eliminazione dell'altro o perlomeno da un tentativo del genere.

Spero quindi in questo lavoro di riuscire a considerare gli altri e cioè di non far fuori voi che leggete e di preoccuparmi di quello che riuscirò a farvi capire tanto quanto di quello che io vorrei dire. Si sa fra l'altro che il successo in campo relazionale è proprio legato a quanto si riesca a tenere in considerazione l'altro e a farlo sentire partecipe dei propri pensieri senza frustrare eccessivamente il suo narcisismo. In poche parole quanto più arriverete alla fine di questo scritto con l'idea di averci capito qualcosa, tanto più avrete la sensazione di esserne soddisfatti.

L'importante è non aderire eccessivamente alla logica del successo e cercare in nome di esso di essere all'altezza delle aspettative, perché altrimenti sarei costretto a dirvi solo cose che già sapete frustrando così le mie velleità narcisistiche di farvi pensare qualcosa di nuovo. Va tenuto presente che il concetto psicologico di narcisismo fa riferimento a costrutti teorici e situazioni umane assai complesse, che non possono essere indebitamente semplificate: qualche difficoltà è perciò inevitabile.

Ognuno di noi quando ascolta qualcosa di nuovo farebbe sempre bene a chiedersi dove stia la difficoltà di comprensione di un concetto o di un discorso: le difficoltà obiettive esistono, è ovvio, ma non c'è sempre una componente nostra individuale, un'attiva resistenza alla comprensione? E non è questa resistenza un primo fenomeno narcisistico? Introdurre qualcosa, un'idea, un'immagine, un concetto proveniente dal di fuori costituisce un'alterazione del nostro interno.

A questa alterazione ci opponiamo sempre e in alcuni periodi della vita quando abbiamo più bisogno di sentirci noi stessi proprio perché stiamo cambiando (e non solo nell'adolescenza), questo atteggiamento può essere tanto condizionante quanto anche salvifico. I difetti e le complicazioni inutili di questo lavoro sono da attribuire solo a me, ma un certo tipo di difficoltà spetta anche a ciascuno di voi: se questa difficoltà verrà riconosciuta, ognuno di voi potrà comprendere bene una prima accezione del termine narcisismo.

Nel linguaggio quotidiano la parola narcisismo ha assunto una serie di significati che solo parzialmente hanno a che fare con l'accezione psicologica: si usa spesso per indicare una persona vanitosa, piena di sé, che non si interessa degli altri (egoista) e si connota spesso in senso negativo, una specie di giudizio di condanna. Sarebbe bene per questa occasione lasciare da parte questa concezione limitata e riflettere sul fatto che il narcisismo è un modo essenziale di essere dell'animo umano.

Certo, può avere delle declinazioni eccessive, può essere alla base di patologie gravi (il narcisismo maligno alla base delle condotte psicopatiche), ma, prima di tutto, è una modalità di pensiero normale, sana, essenziale per la vita stessa entro certi limiti.

La cosa interessante è che, come sempre accade in medicina in generale ed in psichiatria in particolare, l'accezione comune di un termine fa riferimento alla patologia (per cui un tumore è sempre un cancro, e un momento di perdita di contatto con la realtà è una schizofrenia) e quindi con il termine narcisismo ci si riferisce comunemente a persone che vengono classificate dal DSM V come affette da un disturbo narcisistico di personalità, caratterizzate da un pattern pervasivo di grandiosità (sia nella fantasia che nei comportamenti), bisogno di ammirazione, scarsa empatia e che esordisce in età adulta precoce e si presenta in una varietà di modalità come indicato dai seguenti criteri (5 di essi sono necessari per una diagnosi):

  1. Un senso grandioso della propria importanza

  2. Fantasie di successo illimitato, potere, bellezza ed amore

  3. Idea di essere una persona speciale e di poter essere capito e di poter frequentare solo persone altrettanto speciali o di elevato stato sociale (o istituzioni)

  4. Richiesta continua di eccessiva ammirazione

  5. Sensazione di essere un privilegiato e pretesa di essere trattato in modo speciale

  6. Tendenza ad approfittare delle relazioni interpersonali con una tendenza alla manipolazione

  7. Mancanza di empatia: difficoltà ad identificarsi con pensieri e bisogni altrui

  8. Invidia

  9. Arroganza e modalità sprezzante sia nel comportamento che nei giudizi

 

La prevalenza del disturbo riferita ai criteri definiti nel DSM IV (la classificazione precedente) varia tra lo 0 e il 6%. In altre parole è possibile secondo alcuni studi che il disturbo così come è descritto non esista. Lascio a ciascuno di voi la riflessione sul significato di questi dati.

Tratti narcisistici sono particolarmente comuni negli adolescenti e la loro presenza in questa fascia di età non è indicativa di un futuro sviluppo in senso patologico della struttura di personalità. Gli individui adulti con un disturbo narcisistico di personalità possono avere particolari difficoltà nel percepire quando le loro performance fisiche e lavorative non sono più supportate da una condizione favorevole come conseguenza delle limitazioni legate all'età.

 

Il mito di Narciso

La storia raccontata da Ovidio nelle Metamorfosi si può dire che l'abbia creata lui. Ci sono pervenute pochissime storie o allusioni a Narciso o a personaggi che abbiano avuto una storia come la sua in precedenza. E' anche vero che ci sono state anche moltissime versioni successive. Cosa ha raccontato dunque Ovidio? Potete non aver mai letto le Metamorfosi e conoscere ugualmente la storia di Narciso. Questa è proprio la caratteristica del mito, cioè quella di essere tramandata attraverso il racconto. Qualcuno come me in questo articolo potrebbe avervi raccontato la storia. Una versione che circola attualmente sarebbe quella secondo cui Narciso era un tizio che innamoratosi della propria immagine riflessa nell'acqua sarebbe annegato nel tentativo di acchiapparsi. C'è indubbiamente del vero in questa versione ma non ha nulla a che fare con la ricchezza della storia raccontata da Ovidio (III libro, dal verso 316 al verso 510 delle Metamorfosi).

Ovidio fa nascere tutta la storia da un sbornia di Giove, che nello stato di ebrezza provoca Giunone sul fatto di essere certo che i mariti godano più delle mogli durante l'attività sessuale. Giunone, che aveva il suo bel da fare ad inseguire Giove per l'Olimpo sempre a caccia di ninfette, non è affatto d'accordo e i due decidono di domandare un parere a Tiresia, un tizio che aveva avuto una disavventura notevole: mentre era in un bosco aveva bastonato due serpi accoppiate ed era stato trasformato di colpo in una donna. Dopo sette anni aveva di nuovo incontrato le serpi e colpendole nuovamente ritornò ad essere uomo. Tiresia prende la questione sul serio e da ragione a Giove. Giunone adirata acceca Tiresia reo di non aver visto giusto. Giove che non può annullare il decreto di un altro dio, si salva la coscienza dando a Tiresia una vista metaforica: sarai si cieco, ma veggente. Non vedrà davanti a sé nello spazio ma nel tempo si.

Tiresia viene interpellato qualche tempo dopo dalla madre di Narciso (figlio anche di Cefiso), la ninfa Liriope, per sapere se il suo bambino neonato sarebbe vissuto fino a diventar vecchio. Tiresia incattivito dalla sua cecità e dall'impossibilità quindi di vedere se stesso, da alla ninfa un responso che è la profezia-maledizione di un invidioso: alla domanda se questo bellissimo bambino vivrà a lungo risponde “si se non noverit” (se non conoscerà, non guarderà se stesso). Negli anni Narciso diventa un bellissimo ragazzo che non si fa toccare da nessuno (ragazzo o ragazza che siano) e mentre va a caccia viene scorto dalla splendida ninfa Eco che si innamora perdutamente di lui.

Eco era stata punita da Giunone per la sua lingua lunga e condannata a non poter far altro che ripetere la fine delle parole udite e parlare quindi solo attraverso le parole degli altri (pur essendo muta non può tacere se qualcuno parla). Quindi Eco quando si innamora di Narciso non può far altro che parlare attraverso le parole di quest'ultimo. Quindi Ovidio costruisce una situazione intrigante in cui ricapitolando Tiresia è cieco ma veggente, Eco è muta ma in qualche modo parlante e Narciso vede ma non deve vedersi ma metaforicamente non vede altri se non se stesso. Il gioco tragico è tutto sul chi parla a chi e chi vede chi.

Ma torniamo alla povera Eco e a Narciso il superbo. Eco quindi insegue narciso di nascosto mentre va a caccia di cervi ma non può parlarci quindi non le resta che fare qualche rumore per attirare la sua attenzione. Si innesca quindi un dialogo basato sugli equivoci in cui alla fine Narciso esorta Eco a trovarsi in un luogo “huc coeamus” a cui Eco risponde inevitabilmente “coeamus” che oltre che trovarsi vuol dire unirsi carnalmente e quando felice di essere riuscita ad esprimere le sue intenzioni tenta di buttare le braccia al collo di Narciso questi la respinge sdegnato e grida “crepo piuttosto che stare con te”.

Eco non può che rispondere “stare con te” provando una grande vergogna che la farà consumare fino a morire: da allora di lei ci è rimasta solo la voce (la condanna di Giunone persiste anche dopo la morte: un decreto divino non può essere cancellato). Narciso nel frattempo continua a far strage di cuori tanto che uno dei delusi gli augura di amare senza essere amato e gli dei (Nemesi) accolgono la preghiera e quando quel fatidico giorno, stanco si stende a riposare al fresco vicino ad una sorgente e vede con la coda dell'occhio riflessa nell'acqua la sua stessa immagine bellissima, credendo che si trattasse di un altro, si innamora perdutamente di quell'immagine che inutilmente tenta di abbracciare e quando si accorge che le sue lacrime intorbidano l'acqua e si accorge che “iste ego sum” (accidenti ma questo sono io) non sapendo soffocare l'amore si straccia la tunica, si lacera il petto ed insanguina la sorgente.

La povera Eco (o quello che ne era rimasto, e cioè la voce) prova un grande dolore e ripete le parole straziate di Narciso che risuoneranno in tutto il bosco fino al ciao con cui Narciso saluta la propria immagine ed Eco saluta il suo amato. Narciso nel momento in cui capisce di essere lui stesso riflesso dalla superficie dell'acqua, avvertirà il dramma di tutti coloro per cui l'altro non esiste. Ricordiamo a proposito di rispecchiamento che gli specchi antichi non erano così limpidi e spesso si riteneva che lo specchio portasse male e che rispecchiarsi, anche nel sogno, annunciasse la morte propria o di qualche parente e mantiene questa qualità in molte credenze popolari.

Ma quando le Driadi si accingono a preparare il rogo per bruciare il cadavere del povero Narciso, non lo trovano più: al suo posto (ed è qui la metamorfosi) è cresciuto e sbocciato un fiore rosso-arancione circondato da una corolla bianca che da allora si chiamò appunto narcisus poeticus, il fiore che anticipa la primavera e che muore presto e che guarda verso il basso come il protagonista del mito guardava se stesso riflesso nella sorgente dall'alto verso il basso.

 

Possiamo adesso ritornare al nostro narcisismo e alle teorie che sottendono il suo significato in psicologia e in psichiatria ma sono necessarie delle premesse per non cadere nel tranello delle classificazioni, che come abbiamo visto in precedenza, con l'obiettivo di creare dei criteri condivisi, possono portare alla descrizione di situazioni cliniche lontane dalla realtà dei singoli individui:

  1. le costruzioni teoriche sono delle astrazioni e, se è vero che non si può ridurre una persona ad una teoria, è altrettanto vero che fenomeni per lo più inconsci come quelli che sottendono al narcisismo, sono descrivibili solo attraverso astrazioni teoriche

  2. non si può valutare una persona da un dettaglio attribuendole una categoria diagnostica e quindi bisogna distinguere le strutture di personalità dai tratti di personalità di cui le strutture sono la risultanza

  3. è importantissimo tener presente che un comportamento non è praticamente mai un indice diretto di un particolare orientamento psichico. Scambiare una parte per il tutto è spesso la base di quei processi generalizzanti che caratterizzano le costruzioni paranoidi che portano ad interpretare la realtà senza tenerne conto (in modo narcisistico quindi).

     

Queste precisazioni sono necessarie per evitare che alcuni concetti psicologici possano essere utilizzati in senso moralistico e quindi per dare sommari giudizi. L'obiettivo dell'analisi dei meccanismi che determinano pensieri e comportamenti è la comprensione o, all'interno di una terapia, la consapevolezza non il giudizio. Lo psichiatra per sua natura non può essere quindi mai un giudice.

Freud (1914) fin dai suoi primi studi sul narcisismo (Introduzione al Narcisismo) ne distingue due tipi: da un lato una situazione inaugurale di narcisismo assoluto, primario, quello del neonato (his majesty the baby) che vive il mondo esterno come un'estensione di sé e, dall'interno di una bolla diadica in cui si realizza la simbiosi perfetta con la madre complice assoluta, braccio armato del suo pensiero (magico onnipotente) governa il mondo. Tale condizione non essendo esperibile direttamente può essere solo presupposta in un costrutto teorico.

Dall'altro lato Freud ha distinto una situazione psichica più tardiva denominata narcisismo secondario, collegabile a fenomeni clinicamente osservabili e più o meno parzialmente esperibili soggettivamente. E' quest'ultima quella a cui noi comunemente ci riferiamo quando parliamo di narcisismo ed è appunto quella necessità degli individui di escludere più o meno temporaneamente il mondo esterno per ritrovare un equilibrio interno. Numerose persone nella pratica clinica quotidiana (e non solo) sembrano non riconoscere davvero l'esistenza degli altri. Ovviamente queste persone hanno a che fare con gli altri ma se li si sta ad ascoltare, ci si accorge che l'altro, anche il più prossimo, non viene riconosciuto come portatore autonomo di affetti, idee, desideri.

Semplicemente l'altro è considerato un mezzo per il raggiungimento dei propri fini (attraverso modalità manipolatorie) o qualcuno che confermi le proprie opinioni (come accade con quelle persone che vogliono avere ragione ad ogni costo). Spesso il riconoscimento dell'altro e della sua esistenza in queste persone e perturbante per il proprio equilibrio e la consapevolezza dell'esistenza altrui determina solo irritabilità (frequente quando si viene svegliati al mattino improvvisamente), rabbia (quando la costruzione idealizzata dell'altro non viene confermata ad esempio quando l'altro non ci da ragione) e violenta aggressività (quando l'altro è indistinto da sé e la sua perdita coincide con la perdita di se stesso, alla base di molti omicidi-suicidi che sembrano andare per la maggiore).

In tale ottica le due teorie benché concordino sull'impossibilità dell'esistenza di un narcisismo assoluto, distinguono la possibilità di un certo grado di autonomia assoluta quasi fisiologica nel caso del narcisismo primario (in cui la relazione con l'esterno è pressoché assente), mentre nel caso del narcisismo secondario (inteso come difesa della propria individualità dall'invasione del mondo esterno) si presuppone un certo grado di dipendenza altrettanto assoluta. In entrambi i casi le dinamiche sarebbero inconsce, cioè il soggetto non se ne accorge per nulla (“Pippo Pippo non lo sa ….” recitava Rita Pavone negli anni '70).

Proprio per ciò è a questo punto evidente quanto nel linguaggio comune la parola narcisismo abbia significati lontanissimi dal suo significato psicologico: di solito per narcisismo si intende e si condanna un atteggiamento cosciente strafottente oppure si usa come sinonimo di vanità o egoismo. Per contro in psicologia il narcisismo non riguarda atteggiamenti coscienti e soprattutto riguarda un equilibrio che, comunque lo si veda, è di fondamentale importanza per la vita umana.

Ricapitolando: per la vita di ciascuno di noi è fondamentale sviluppare un certo grado di autonomia, di autosufficienza, di stima di sé, di sicurezza, di piacere nello stare con se stessi, di sentimento di essere un tutt'uno integrato. Il narcisismo serve a questo. Ma mentre realizza queste condizioni mette fra parentesi gli altri. Per lo più questa esclusione è un modo inconscio di pensare, del quale si possono percepire solo alcune conseguenze e solo in casi estremi può essere manifesta agli altri e cosciente al soggetto che la esprime.

Dall'altra parte viviamo tutti in un mondo che in qualche modo ci reclama invadendoci continuamente con i suoi stimoli e le sue richieste, perturbando costantemente il nostro equilibrio fatto di consapevolezza e percezione di sé. Nel complesso potremmo dire che ciascuno di noi nel corso della giornata oscilla tra sé e gli altri con una prevalenza del narcisismo durante il sonno ed una rinuncia ad esso prevalente nello stato di veglia: si tratta di una condizione fisiologica che apparirà a tutti come necessaria. Nella cosiddetta patologia narcisistica ci troviamo di fronte ad un investimento su se stessi anche nello stato di veglia e questo determina gravi conseguenze sul piano relazionale.

 

Il narcisismo nella vita quotidiana 

Accade spesso di sentire delle riflessioni sulle fatidiche “feste della classe”, una sorta di tuffo nel passato in cui vecchi compagni di scuola si rincontrano, e di come il vissuto rispetto a queste rimpatriate sia mutevole. Coloro che si adattano meno sembrano quelli che in virtù del tempo passato e della percezione di esso hanno una certa difficoltà a mettersi in relazione con persone che negli anni sono diventate degli estranei. Al contrario i protagonisti di queste riunioni sono coloro che hanno l'impressione che il tempo non sia passato e che percepiscono gli altri sulla base dei propri ricordi e si divertono molto, in maniera anche un po' sadica, a rivangare storielle scabrose e nomignoli squalificanti. In genere i primi ritornano da queste situazioni con un senso di estraneità o di noia (l'effetto più caratteristico in risposta all'assenza di una relazione oggettuale significativa) mentre i secondi ne derivano un grande divertimento e non vedono l'ora che arrivi il prossimo anno per ripetere l'esperienza. In realtà quelli simpatici hanno la capacità di non mettersi in relazione con la persona reale che hanno di fronte ma con l'immagine che hanno dentro di sé e non importa quanto l'altro ci tenga a chiarire quanto le cose siano cambiate perché in ogni caso “il simpatico” si terrà ben stretta la sua immagine, quello sei e quello rimarrai: una specie di oggetto che mi serve per certi miei pensieri, non una persona con una sua storia ed un suo divenire. L'altro esiste non tanto di per sé nella logica narcisistica ma solo come specchio (come ha narrato Ovidio) di una propria attività psichica, la conferma di un proprio pensiero. Lo stesso può accadere nel rincontrare una vecchia fiamma: chi abbiamo incontrato? Una persona che abbiamo amato con la sua storia, l'amata di un tempo (la sua immagine che ci siamo fatti) o l'amore che abbiamo provato un tempo (cioè la sola sensazione che abbiamo provato nei suoi confronti allora)?

 

Il mondo della politica

Prendiamo spunto da tangentopoli (ma il discorso potrebbe valere per altre situazioni ben più attuali): è importante ricordare che in quegli anni ci furono alcuni suicidi di persone inquisite dalla magistratura, in carcere o fuori. Nella polemica di allora (ma le cose non sono cambiate) la morte di queste persone fu attribuita, asseconda dell'orientamento del commentatore, alla persecutorietà della giustizia o al senso di colpa del suicida (quasi come se il suicidio costituisse una ovvia ammissione di colpa).

Se guardiamo le cose in maniera meno condizionata (ed oggi è sicuramente più facile di allora) alcuni di questi suicidi hanno delle caratteristiche particolari, quasi che all'improvviso delle persone che appartenevano alla nomenclatura (termine che preferisco a casta), ad un gruppo che si considera intoccabile, avessero percepito che l'immagine che si erano costruite di se stessi e che li aveva sostenuti fino ad allora non solo era falsa ma addirittura franata. L'esito di una tale sensazione è che se non ci sono più io (idealizzato), non esisto e tanto vale che muoia. Ci possiamo chiedere di fronte a questo tragico esempio quale equilibrio narcisistico reggesse tali persone, quale tipo di illusione governasse i loro atti e persino come mai persone con questo equilibrio strutturale avessero raggiunto posizioni così ragguardevoli.

La domanda è: che effetti produce sulle altre persone un individuo con una struttura dall'equilibrio narcisistico? Sebbene sembri strano, (se uno non si accorge di me perché dovrei a mia volta considerarlo?) un equilibrio narcisistico è alla base del cosiddetto successo sociale. La sicurezza, l'orgoglio, l'ambizione, la certezza di superiorità costituisco un invito all'identificazione per moltissime persone, che con il loro appoggio determinano il successo del narcisista (di qui la partecipazione copiosa alle feste di classe organizzate dai soliti noti). Si crea quindi un circolo di auto-potenziamento del fenomeno, perché il successo aumenta la sicurezza, l'orgoglio, l'ambizione, il sentimento di superiorità e di invulnerabilità del narcisista e ciò aumenta ulteriormente il suo fascino, che produce ulteriori proseliti e ulteriori probabilità di successo….

Andrebbe tutto bene se non fosse per un dettaglio e cioè che questo circolo vizioso induce a lasciar perdere la realtà fino ad un vero e proprio distacco. Mi fermerei un attimo su questa riflessione (con un minuto di silenzio) perché senza volerlo sembra descrivere alcuni fenomeni che viviamo con una particolare frequenza ai nostri giorni. Riepiloghiamo quindi un attimo: da un lato c'è una persona che per comodità chiamiamo “il narcisista” ma che ha un effetto fascinatorio e carismatico, dall'altra una certa quantità di persone che si identificano in lui e che lo spingono a continuare sulla sua strada che rende a questo punto il povero narcisista sempre più convinto, contro ogni realtà, legato inscindibilmente all'immagine che gli viene riflessa dai suoi fan, sale sul piedistallo che gli viene costruito dove si troverà inesorabilmente solo e da cui prima o poi, più o meno rovinosamente, cadrà.

La caduta di un individuo che ha puntato tutto su di sé sarà inevitabilmente terribile (dipende inoltre dall'altezza del piedistallo): con parole un po' più narcisisticamente tecniche potremmo dire che siamo di fronte all'esperienza del crollo dell'oggetto narcisistico (come la scomparsa del seno per un neonato o della madre per un bambino al primo anno di asilo) che non è altro che l'immagine di se stesso (il mito e la morte di Narciso a questo punto diventa francamente rappresentativo) e la conseguenza è un tentativo estremo di essere ancora protagonisti della propria vita togliendosela. Potrei azzardare l'ipotesi che i suicidi di alcuni imprenditori travolti dalla crisi economica attuale abbia la stessa natura ma so che questo susciterebbe in molti reazioni di sdegnata protesta. Per cui è più confortevole considerare queste persone come dei martiri del capitalismo in nome del potere della retorica.

 

Il mondo dello spettacolo 

A questo punto del dramma vorrei tranquillizzarvi sul fatto che in realtà questo tipo di suicidi non avviene così frequentemente: spesso questo tipo di narcisisti mantiene nel tempo un effettivo successo sociale e vivranno felici e contenti anche dopo le cadute come dimostrano molti nostri politici e persone del mondo dello spettacolo. Bisogna distinguere tra successo sociale e realizzazione personale e non è affatto detto che il primo garantisca il secondo anzi a volte proprio l'assenza di questa realizzazione personale mantiene ad oltranza la fame di successo.

Quando una persona per 18 ore al giorno si occupa di riunioni, attività promozionali, esposizioni al pubblico, elaborazioni di strategie ulteriori per avere più successo, le restanti 6 ore dedicate al sonno e all'alimentazione non sembrano più sufficienti ad avere una vera e propria vita privata con quei momenti di felicità derivanti anche dalla partecipazione della gioia altrui e non sembrano sufficienti a prendere coscienza di una realtà esterna che ci circonda all'interno della quale la nostra si svolge.

Come il mito di Narciso ci insegna potremmo dire che fondamentalmente il narcisismo è infelice. La ricerca a cui spinge non è mai del tutto soddisfacente perché continuamente testimone dell'assenza dell'altro. Molte delle continue traversie amorose dei personaggi mediatici di successo sono anche dovute a questo fenomeno: la ricerca dello specchio anche nella vita privata porta prima o poi (in genere prima) a rendersi conto che quella persona scelta come partner narcisistico è differente, troppo differente (da sé) e nel momento in cui diventa una persona e non un'immagine riflessa da uno specchio la relazione narcisistica si spezza e quindi finisce. Potremmo chiederci se sia il potere ad accecare o la cecità del narcisismo che facilita l'ascesa al potere? Penso che ci sia materia per un'altra relazione….

A questo punto con questi pochi concetti possiamo guardare un po' più vicino a noi ma per farlo abbiamo sempre bisogno di una certa distanza: quando guardiamo lontano possiamo veder con una certa chiarezza certi fenomeni ma quando abbiamo il naso contro il muro ci riesce difficile vedere tutta la casa. Possiamo passare quindi dagli esempi tratti dai politici e dai personaggi pubblici ad altri più vicini a noi e che riguardano la famiglia.

 

Il Narcisismo nella famiglia

Abbiamo già dato una definizione di narcisismo: è una situazione che elimina l'altro ed è caratterizzata dall'investimento affettivo su se stessi. Ciò non toglie che comunque gli altri esistano. Dire quindi che una relazione è narcisistica può sembrare una contraddizione di termini se non si precisasse che si tratta di una ellissi: bisogna dunque dire che esistono relazioni con e tra persone narcisiste e che queste relazioni hanno un po' la caratteristica di determinare un senso di solitudine.

Bisogna anche pensare che il narcisismo essendo anche un fenomeno fisiologico in parte un certo senso di solitudine seppur transitorio, si può avvertire sempre (in modo sano). E' un'esperienza frequente (soprattutto con l'avanzare dell'età) quella di trovarsi ad una cena con amici ed avere l'impressione che ognuno parli per sé e che non ci sia un vero e proprio filo conduttore del discorso (con la conseguenza di sentirsi soli).

Se consideriamo la famiglia, vedremo che anche in essa le componenti narcisistiche non mancano mai. L'importante è che non siano dominanti. Ma sarebbe tragico se mancassero del tutto.

Molte delle esperienze narcisistiche avvengono nella primissima infanzia, e il contesto familiare è il palco in cui il dramma della scoperta del mondo e della dipendenza da esso si consuma, quando il neonato, nudo, incapace di agire e di parlare, persino di pensare, vive in balia totale dell'ambiente. In questa ottica si capisce come le relazioni siano essenziali per la vita. Il problema di ciascuno alla nascita è quindi quello di diventare un individuo, un essere staccato e diverso dagli altri ma in qualche modo in relazione con loro, dotato di un certo grado di autonomia (sia psichica che materiale) senza la necessità di un eccessivo distacco.

La condizione del neonato potrebbe essere descritta come quella di un individuo che è tale e sa (inconsciamente) di esserlo e che esperisce di non essere in grado di esserlo. Il neonato ha comunque la possibilità grandiosa, a fronte della sua disastrosa situazione iniziale (vista con gli occhi di un adulto), di concepirsi in forma allargata.

Chi sono? Sono l'insieme delle mie condizioni piacevoli, delle forze che mi danno piacere: questa è la forma a cui si allude quando si parla di narcisismo primario. Il limite di questa formulazione è che è una forma per esprimere una situazione nei termini dell'adulto. Probabilmente il neonato non si pone la domanda “chi sono?” ma esperisce direttamente di sentirsi allargato dal piacere e di sentire come estraneo tutto ciò che provoca dispiacere. Inutile dire che questa condizione di narcisismo primario non ha niente a che fare con la realtà tanto che l'accettazione di un concetto di questo tipo provoca inevitabilmente forti resistenze in chi ascolta.

Ma è utile sottolinearne l'utilità perché se il neonato avesse una precocissima consapevolezza della sua realtà si sentirebbe disperato ed in balia degli altri, mentre il suo senso di onnipotenza e la possibilità di poter guardare al mondo con fiducia e soddisfare i propri bisogni con l'arroganza dell'urlo e del pianto gli permette di accumulare sufficiente fiducia in se stesso nel tempo da poter affrontare il mondo. E l'altro all'inizio della vita è si qualcuno da cui ci si può attendere cibo, calore, amore, ma anche qualcuno di enorme, sproporzionato.

Il neonato quindi è un nano che deve avere molta fiducia in sé per poter affrontare il mondo dei giganti (per chi ha letto i Viaggi di Gulliver il concetto non dovrebbe essere di difficile comprensione). La differenza tra questa condizione e il narcisismo secondario di Narciso, del politico di successo o il tizio che incontra una vecchia conoscenza per strada, è che l'oggetto, cioè il qualcuno su cui proiettare un immagine propria (spesso idealizzata), non esiste.

Il neonato non si rispecchia all'inizio in nessuno, non guarda se stesso riflesso altrove: semplicemente si piace perché prova piacere. Il passaggio dal narcisismo primario a quello secondario è determinato dal fallimento del primo e non è indolore e passa attraverso il riconoscimento che qualcosa (che poi diverrà qualcuno) dall'esterno deve intervenire per eliminare la fonte di tensione, di dispiacere.

L'assenza della madre per il neonato in una tale ottica, è l'assenza di sé e quando un bambino si trova in una condizione di trascuratezza (oggettiva), di abbandono non può che subire il trauma della sensazione di morte che questo comporta. In situazioni più abituali nel processo di riconoscimento dell'altro c'è il problema di sperimentare la sofferenza della frustrazione dell'attesa: la madre non è sempre li a dare cibo etc...

A posteriori possiamo dire: per fortuna la madre non è perfetta: se lo fosse, non incentiverebbe il piccolo ad uscire dalla sua condizione di narcisismo primario che come sappiamo è del tutto irrealistico. E tuttavia questa esperienza si fallimentare, è stata talmente soddisfacente che ad essa dobbiamo costantemente tentare di ritornare e lo facciamo quotidianamente come abbiamo visto con il sonno un evento assolutamente necessario. La realtà esterna viene avvertita dall'individuo come disgregante mentre l'individuo ha la necessità di integrarsi.

Se il sonno quindi serve a reintegrarsi è perché la realtà esterna obbliga ad investire su di essa per comprenderla o per elaborare gli stimoli che essa continuamente ci invia, rendendoci costantemente diversi da come eravamo prima sottraendo energia alla nostra necessità di integrazione. L'assenza di sonno in alcune situazioni patologiche come gli stati maniacali determina in poco tempo la disgregazione degli individui gettandoli durante la veglia in uno stato di dissociazione dalla realtà, difesa narcisistica estrema nei confronti di un'invasione dall'esterno diventata in altri modi ingestibile.

A questo punto ci si potrebbe chiedere qual è il ruolo della mamma nel far uscire il neonato dal narcisismo primario, una domanda che ovviamente non ha senso pratico quindi non c'è da prendere appunti ma solo da lasciarsi andare ad un flusso possibile di pensieri. La mamma fortunatamente è colpita da una serie di sensazioni nuove che comunemente definiamo istinto materno e sulla base di questo sente che il bambino è un tutt'uno con lei determinando frequentemente qualche reazione di gelosia nei mariti trascurati (regrediti per l'occasione allo stato di neonati).

Freud ipotizzava che la madre permetterà al bambino di uscire dal narcisismo primario nella misura in cui rende tollerabile al bambino la frustrazione di avere a che fare con la realtà. Tutto ciò sembrerebbe possibile attraverso una funzione di contenimento (holding) che la mamma sarebbe in grado di sostenere nei confronti dell'ambiente esterno. In tale ambiente il bambino nel tempo riuscirà a percepire la madre come separata da sé e ad intraprendere quel processo di individuazione che lo porterà a costruirsi nel tempo una propria struttura di personalità.

Nella vita quotidiana di una famiglia, il narcisismo ha un gran peso. Ognuno dei membri ha a che fare non solo con gli altri familiari ma anche con le proprie identificazioni con loro. Per cui si arriva a quelle situazioni solo apparentemente paradossali in cui ad esempio padre e figlio non si sopportano perché hanno lo stesso carattere.

Somigliare a qualcuno per un figlio se da una parte costituisce la base per le introiezioni dei tratti parentali derivandone un tranquillizzante senso di appartenenza, dall'altra costituiscono il fallimento del proprio costante tentativo di individuazione, cioè di quel processo che lo porterà a sentirsi unico. Un caso particolare e non infrequente, è quello del genitore narcisista, il cosiddetto genitore di successo con il particolare gioco di identificazione che può instaurarsi.

Che succede ad un figlio che si identifica con un padre del genere?
Da un lato può accadere che il narcisismo del figlio si accresca aggiungendo l'identificazione con un narcisista al narcisismo proprio (con un effetto terribile), dall'altra può accadere che la tendenza alla differenziazione divenga gravemente ostacolata e si osservano spesso degli scoppi di rabbia distruttivi diretti contro il genitore o le realtà extra-familiari, tentando nel primo caso di distruggere l'immagine narcisistica del padre e riducendolo a sembianze più umane costringendolo ad affrontare il proprio fallimento e nel secondo caso realizzando concretamente ciò che il padre attua simbolicamente, ossia la distruzione degli altri in quanto irrilevanti.

Chiunque abbia avuto figli adolescenti ha passato qualche esperienza di questo genere, magari anche solo transitoriamente. Il problema è che chiunque è stato in precedenza adolescente e in qualche misura se tollera di regredire alla propria esperienza del tempo per comprendere il proprio figlio, sperimenta nuovamente la stessa difficoltà (ma con il proprio genitore). E' facile comprendere la complessità di processi (rispecchianti) di questa portata.

Se tale regressione (narcisistica) permetterà al genitore di tornare a sperimentare emozioni sostenibili sarà possibile quella comprensione che determinerà il superamento del conflitto e aiuterà il figlio a tollerare la situazione di difficoltà.

Se invece questo ritorno al passato farà riemergere conflitti irrisolti a cui il genitore è rimasto “fissato”, la sua reazione sarà inevitabilmente di irritazione e/o rabbia (“non so da chi tu abbia preso”) con l'esito scontato di un conflitto insostenibile, a cui il figlio dovrà piegarsi se non vuole pagare il prezzo della distruzione di un genitore (non più) idealizzato: il prezzo sarà il ritiro in se stesso, con la costruzione di un se stesso ideale, un vero e proprio persecutore, dando vita a quella sensazione di vergogna o di scarsa autostima, che spesso viene chiamata in causa (anche a sproposito), quando non si è soddisfatti di sé e quando si ha quella sensazione destabilizzante che “per quanto si faccia o si tenti di fare sembra che non basti mai”.

Nella vita familiare quotidiana, l'equilibrio tra esigenze narcisistiche e quelle relazionali che spingono verso le altre persone, è continuamente messa alla prova e proprio in ciò sta una delle funzioni fondamentali della famiglia e cioè quella di essere un luogo in cui un figlio resta figlio e un genitore resta genitore, un fratello resta un fratello qualunque cosa accada. L'equilibrio di tale sistema basato sulla stabilità delle relazioni può continuamente mutare, ma resisterà se sufficientemente elastico e mobile.

A questo punto penso che possa cominciare a diventare chiaro come la questione del narcisismo sia davvero fondamentale: essa sta alla base di concezioni assai diverse dell'umanità perché quello che è in ballo è l'idea stessa di individuo come parte dell'umanità.

 

La Deriva Sociale Narcisistica

Potremmo ipotizzare in modo assolutamente generale, che lo spostamento delle patologie in psichiatria verso il polo narcisistico e l'aumento dell'importanza della componente narcisistica nella vita quotidiana, rappresentano una modalità difensiva di fronte alla continua tendenza a rappresentare l'individuo come costantemente insufficiente di fronte ad una quantità di stimoli ambientali costantemente crescente. Va da sé che un aumento degli stimoli comporta un aumento delle difese narcisistiche volte a mantenere un certo equilibrio interno.

Questa rappresentazione di insufficienza, proprio per la sua costanza, suona come una prescrizione sociale tanto che il buon individuo è quello che si uniforma ad essa. I messaggi quotidiani che arrivano dall'esterno (dalla televisione e dalla pubblicità ad esempio) definiscono un individuo che non sa, che da solo non ce la farebbe, che per compiti quotidiani banali ha bisogno dell'esperto di un tale o tal altro prodotto o di un qualche genere di consulente (magari globale).

Una madre o un padre non saprebbero come fare con il proprio bambino se non ci fosse l'esperto travestito da psichiatra, psicologo o governante di turno a consigliare come trattarlo o addirittura amarlo, come nutrirlo in maniera sana e con quali prodotti: nascono le scuole per genitori. In tale bombardamento di stimoli ci si convince che i problemi quotidiani siano solubili solo con l'aiuto degli altri o con un mezzo esterno (promuovendo così quelle distorsioni della relazione che conosciamo comunemente col termine di dipendenza.

E' sottinteso che tu con la tua testa o con le tue forze non ci arriveresti mai. Messaggio terribile ed omicida perché costituisce un attacco proprio quella struttura psichica dell'individuo che, tramite il pensiero, riesce ad escogitare soluzioni adeguate ai problemi interni ed esterni. Come meravigliarsi quindi che di fronte a questo bombardamento che mina l'autonomia del pensiero, non ci sia una reazione narcisistica adeguata e proporzionale, una tendenza a proteggersi proteggendo proprio quella parte di sé che deve essere amata per sopravvivere come individui?

Prima di condannare il narcisismo sfrenato della nostra epoca, come fanno molti nostalgici dei bei tempi andati, converrebbe chiedersi se esso non rappresenti davvero una risposta ad una tendenza culturale e sociale in atto e se, in tal modo, non si vada disegnando il profilo di un essere umano contemporaneo diverso dall'individuo cui eravamo abituati a pensare, sia nelle modalità di soffrire che in quelle di amare. Sembrerebbe una considerazione pessimistica ma per chi è abituato a considerare l'umanità come inesauribilmente complessa e capace di elaborare nuovi strumenti di pensiero, questa potrebbe rappresentare una sfida a pensare l'attualità e il futuro in termini nuovi.

La possibilità di considerare in un ottica più ampia la pressione della componente narcisistica sul piano individuale e sociale, potrebbe costituire una chiave strategica per pensare ad esempio ad una terapia più efficace in campo clinico (più centrata sulla consapevolezza delle proprie capacità che sui consigli di un esperto idealizzato) ed a scelte sul piano politico e sociale mirate ad evitare una difesa narcisistica condizionata da istanze regressive altrimenti insostenibili (scegliendo strategie di responsabilizzazione piuttosto che di controllo sanzionatorio).

Nella società globalizzata, in tempi di rapido cambiamento, l'impressione immediata che facciamo può diventare molto più importante della nostra integrità e sincerità, qualità che continuano ad essere apprezzate invece nelle comunità più piccole e stabili. Nel 1831, Alexis de Tocqueville faceva notare come una società che offre pari opportunità a tutti possa generare nei cittadini la preoccupazione di come dimostrare la propria superiorità.

Senza un sistema di classi che fornisce livelli visibili di status sociale, i cittadini tentano di accumulare prove osservabili della loro superiorità (i cosiddetti status symbol), poiché apparire inferiori corrisponderebbe al fallimento personale. La possibilità di una riedizione di un sistema classista sembra indubbiamente anacronistica, ma riportare l'individuo ad una realtà in cui fare quello che si può può essere motivo di soddisfazione potrebbe spezzare questo vortice di idealizzazione in cui i singoli esseri umani si ritrovano ad essere centrifugati (ogni successo di oggi è il trampolino per quello di domani...).

Freud nel saggio del 1929 “Disagio della Civiltà” sosteneva che il comandamento ama il prossimo tuo come te stesso fosse la più forte difesa contro l'aggressività umana. Il comandamento è irrealizzabile, un inflazione così grandiosa dell'amore può solo sminuirne il valore. Nella società civile chi si attiene al comandamento si mette solo in svantaggio rispetto a chi non se ne cura. Che immane ostacolo alla civiltà deve essere la tendenza aggressiva, se la difesa contro di essa può rendere tanto infelici quanto la sua esistenza. La cosiddetta etica naturale non ha qui da offrire nulla al di fuori della soddisfazione narcisistica di potersi ritenere migliori degli altri.

In questi anni in cui il mondo sembra più cattivo della sommatoria di quanti lo costituiscono, la tentazione della bontà è molto forte. La bontà, l'altruismo, sono diventati indubbiamente un prodotto di largo consumo e molte sono le associazioni che a livello locale e internazionale se ne occupano. Sono in atto inoltre fenomeni di marketing in cui associazioni di volontariato a base di altruismo ed “essere al servizio degli altri”, fungono da veicolo per messaggi pubblicitari.

Qualche mese fa era in piedi una campagna pubblicitaria in cui se andavi da un certo parrucchiere (e non da un altro) una parte di quanto devoluto all'acconciatore veniva destinata all'UNICEF. Non sarebbe stato masochisticamente più semplice farsi la messa in piega a casa per una volta e destinare il quantum direttamente? L'idea che si vorrebbe far passare è che il parrucchiere buono sacrificherà una parte dei propri guadagni per i bambini sfortunati, ma se molti penseranno che quel parrucchiere è più buono degli altri alla fine la bontà trionferà e sarà il più buono ad essere il più ricco.

Il tutto associato ovviamente ad un veicolo narcisistico: la cura dei propri capelli, per cui tanto più spesso ti prenderai cura di loro (i capelli, cioè ciò che mantiene stabile la temperatura della tua testa) tanto più aiuterai quei poveri bambini. Quanto bene si può fare prendendosi cura di sé. 
Ho l'impressione che a furia di ironizzare su questo tema mi convincerò che amare il prossimo tuo come te stesso sia proprio andare da uno specifico parrucchiere rigorosamente unisex (non me ne vogliano i barbieri vittime di un maschilismo fuori moda).

Concluderei con una considerazione che a questo punto dovrebbe essere qualcosa di più che una battuta: spesso si pensa che “essere cauti nella critica e generosi nella lode” sia una massima rispettabile, ma, alla luce delle conoscenze che abbiamo messo insieme in questo lavoro, sorge il dubbio che questa massima sia tanto desiderabile nei confronti dell'altro quanto narcisisticamente rischiosa se applicata a se stessi. Qualcuno potrebbe obiettare che questi due pesi e due misure potrebbero apparire masochistici ma sarebbe un altro discorso.

 

Data pubblicazione: 18 dicembre 2013

2 commenti

#1
Foto profilo Utente 350XXX
Utente 350XXX

Gentile dottor Bova, se mi premette da semplice paziente che tuttavia ha voluto leggere diversi testi di psicologia divulgativa, come quelli di David Goleman, ed ha voluto interessarsi dei disagi della società nei quali lui stesso è cascato, vorrei rispondere alla sua naalisi..
Non mi sento di negare quanto lei dice ma piuttosto di aggiungere un punto che io personalmente trovo fondamentale nel comprendere il narcisismo moderno e la sua diffusione.
Vede ascoltando il monologo "Non voglio invecchiare" di Neri Marcorè ho capito una cosa che è alla base dei soggetti non narcisisti, quelli che non danno importanza alla bellezza, al successo lavorativo, al "dimostrare di essere migliori degli altri con fatti oggettivi". Quando Marcorè dice che non vorrà tingersi i capelli o altro dice anche "preferirei essere brutto piuttosto che patetico". Ecco secondo me è proprio lì il punto. Ovvero che ciò che impedisce a molte persone di essere narcisiste (e ripeto per me non è una mera questione di bellezza fisica appunto, ma di ricerca di senso di superiorità basato su fatti oggettivi, così lo definirei) è a sua volta un tipo di senso di superiorità, la superiorità morale.
Tante persone stanno bene con se stesse, sentendo di non aver bisogno di dimostrare nulla proprio perché reputano esse stesse superiori agli altri da un punto di vista morale. Il dare del patetico (senza giustificazione alcuna) a chi si tinge i capelli è un ottima scusante che permette alla persona di accettare una propria oggettiva mancanza.
Nella società contemporanea il continuo processo di secolarizzazione, la minore religiosità ed i minori vincoli morali castranti imposti in passato, comportano un venir meno del giudizio morale delle persone le quali non più protette dalla sicurezza dell'essere nel giusto (sicurezza che arrivava dal di dentro) hanno bisogno di altre sicurezze che debbono arrivare dal di fuori e che non possono che essere sicurezze oggettive e non più soggettive: ricevere apprezzamenti sul lavoro, sull'intelligenza, sull'aspetto fisico, sulle proprie azioni.
Dal mio punto di vista ogni uomo punta ad essere migliore degli altri, e quando non è un narcisista che cerca di ottenerlo strenuamente con i fatti e con il riconoscimento degli altri è perché il suo senso di superiorità lo ha ottenuto dal di dentro, da un proprio giudicarsi migliore agli occhi di un Dio piuttosto che portatore di qualche verità in più rispetto agli altri.
La società fortemente narcisista di oggi non è solo figlia della TV e dei canoni di bellezza, direi che queste cose sono più una conseguenza. Essa è figlia di un annullamento del super io come professato nella morte di Dio del "Così parlò Zaratustra" di Nietzsche. Stiamo in un certo senso diventando degli oltreuomini, ed è giusto che dalla filosofia alla psicologia ci sia una presa d'atto in tal senso, basti vedere come concetti come il matrimonio non possono più essere adatti alla nostra società, sempre meno propensa a seguire obblighi non scritti verso gli altri o verso un qualche senso religioso o etico.
Quindi sì, io condivido ciò che lei pensa che prima di condannare il narcisismo dovremmo forse chiederci se esso non sia una tendenza culturale moderna, come l'umanità nella sua storia ha sempre avuto, piuttosto che un vero e proprio disturbo di personalità.

Ovviamente con ciò non voglio giustificare un narcisismo sfrenato ed negare il senso di disagio che esso possa generare.

#2
Foto profilo Dr. Francesco Bova
Dr. Francesco Bova

La ringrazio per il suo interessante contributo.
Cordiali saluti

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