World War Z - zombie e ossessioni, capitolo 2 - il rifugio patologico e il vaccino guaritore

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

 

Ancora una volta utilizziamo la figura dello zombie per illustrare i sintomi delle ossessioni. Spulciando il blog potrete trovare un altro articolo in proposito, da aggiornare adesso dopo la visione di World War Z. Pur preferendo i film di zombie più artigianali, questo ha una sua dignità almeno nel soggetto.

Innanzitutto, è comune anche all'originale di Romero, a differenza di altri derivati, il fatto che l'epidemia che trasforma le persone in zombie non ha causa nota. Non si sa da dove sia iniziata, e anche se si pensa di saperlo, non è chiaro perché. Qualcosa senza un perché che improvvisamente aggredisce l'umanità.

In verità, il valore “metaforico” dello zombie è chiaro fin da subito, proprio perché biologicamente è un non-senso. E' vivente, ma contemporaneamente morto, e per quel che se ne sa l'epidemia origina da cadaveri, o comunque da persone infettate o contaminate. Nonostante questo, lo zombie non è immortale, perché cessa di esistere quando è smembrato e distrutto, ma se si vuol fare più in fretta quando ne si distrugge il cervello. Il regista della trilogia di zombie, Romero, arriva addirittura a immaginare che il cervello degli zombie sia ancora vitale al punto da poter essere rieducato con opportuna stimolazione, ipotizzando una via d'uscita per la “riconversione” degli zombi a esseri umani.

La cosa che più colpisce in questi film è la reazione dell'umanità. Nei primi film è per esempio ovvio che gli esseri umani non sanno uccidere gli zombie: hanno timore, o scrupolo a farlo, e passano il tempo a disquisire sul perché, per come, etc dell'epidemia, senza organizzarsi in maniera efficace per arginarla. Si asserragliano dentro zone chiuse, bunker, ma così facendo di imprigionano da soli, e anzi alla fine sono gli zombie a entrare dentro i rifugi, e non sono invece gli uomini a riuscire a decimarli e riconquistare terreno.

 

Il tutto ricorda molto la reazione di chi ha delle ossessioni. Anziché colpirle al cuore, spegnerle sul nascere, la persona è presa da un meccanismo che porta a parlarne, chiedere pareri, approfondire, cercare di capire “il perché” etc. Così facendo passa il tempo, le ossessioni si alimentano e si complicano, e anzi cominciano ad essere sempre più “ragionevoli” anche se inizialmente assurde, perché si complicano con spiegazioni, ipotesi, pareri etc. Proprio per questo alcuni tipi di colloquio, teoricamente psicoterapico, in cui si discutono le ossessioni e le si interpretano, addirittura ipotizzando significati nascosti, inconsci etc possono farle crescere, e convincere la persona che non si tratta di pensieri assurdi, ma anzi sensati e profondi, che emergono sotto forma di ossessioni.

 

Per cui la persona con l'ossessione, come chi si trova lo zombie di fronte, non riesce a ucciderlo, ma cerca di rifugiarsi, di indietreggiare, e così rimane assediato dall'ossessione (il senso originario del termine ossessione è appunto “una cosa che assedia, imprigiona”). Il rifugio non è efficace, perché prima o poi il limite dell'ossessione si restringe, e invade anche lo spazio prima sicuro.

 

Nello specifico di World War Z, gli zombie sono creature particolarmente forti e violente, per cui l'infezione si propaga a vista d'occhio. Sicuramente i posti più sicuri rimangono quelli isolati, con poca gente. Il protagonista, Brad Pitt, si prende la briga di capirci qualcosa, e ciò lo porta prima nel luogo da dove l'epidemia sarebbe originata, senza concludere nulla. Come nella ricerca dei perché, che non risolvono nulla nelle ossessioni. Anche saputo un perché, innanzitutto potrebbe essercene un altro a monte, all'infinito. E poi, sostanzialmente, se si spera di risalire dal perché alla soluzione, è un'illusione. O meglio, l'unico “perché” dell'ossessione è l'equivalente del “caso zero”, cioè il primo caso, lo zombie che è diventato così non perché contagiato, ma spontaneamente. Nei primi film anche per questo non c'è una spiegazione, semplicemente a un certo punto i morti risorgono come zombie. In questo caso neanche si capisce, l'epidemia è cominciata, e non si sa perché.

 

Un medico, ragionando sulla cosa, fa una considerazione, e cioè che spesso è la malattia stessa che indica la soluzione, e la soluzione non è un perché, se mai un “come”, qualcosa nello svolgimento della malattia che fa capire non tanto come tornare indietro, ma come uscirne. Quale è questa intuizione? L'ossessione attacca i vivi, non i morti. L'ossessione non tocca mai i pensieri temuti, sempre quelli rassicuranti. Per questo essere rassicurati non funziona, anzi è come miele per le formiche. Più rassicurazioni si hanno in testa, più l'ossessione le aggredirà famelicamente. Se invece si avesse in testa il pensiero temuto, e non se ne potesse fuggire, il cervello lo oscurerebbe.

Lo zombie di WWZ aggredisce tutti i viventi, tranne...alcuni, che hanno in comune l'essere malati, ad esempio un bambino malato di cancro è risparmiato da un'orda di zombie, che pare non accorgersi neanche della sua presenza mentre dilaga tra gli altri. E' da questo che Brad Pitt ricaverà il vaccino, cioè infettare i superstiti con qualcosa che renda “invisibili” agli zombie, non appetibili.

In questo modo i vivi potranno eliminare con calma gli zombie senza essere aggrediti. L'infezione che immunizza è la terapia, e la terapia deve appunto rendere il cervello refrattario alle ossessioni. Questo possono farlo sia la farmacoterapia che la psicoterapia, sia la combinazione delle due. Il meccanismo su cui lavorano è lo stesso, con strumenti diversi ma convergenti.

 

Altro aspetto interessante del film è il paradigma di Israele. Israele è riuscita a parare l'epidemia, e anzi diventa meta di rifugiati da tutto intorno. Perché? Perché qualcuno in Israele aveva capito in tempo cosa stava accadendo. Mentre gli allarmi sui primi zombie non erano stati creduti nel resto del mondo, i saggi israeliani avevano preso la cosa sul serio costruendo un muro. Ma perché essi avevano preso sul serio la cosa? Perché secondo una regola, quando tutti pensano che una cosa stia in un certo modo (in questo caso che non ci sia nessun pericolo reale), l'ultimo dei saggi che deve esprimere il suo parere deve rinunciare al suo parere, e semplicemente dissentire. La regola del “decimo uomo”. L'unica cosa che rema contro le ossessioni è appunto il dubbio contro il dubbio: potrebbe essere x? La risposta anti-ossessiva non è che “x non dovrebbe essere”, ma che “potrebbe proprio essere x”, oppure che “potrebbe essere e non essere”. In altre parole, gli israeliani nel film si preparano al peggio, e fronteggiano serenamente il problema. La metafora ovviamente non riguarda la capacità di gestire un problema catastrofico, ma il fatto che la terapia mira a evitare la rassicurazione per gestire invece la paura, cosa che ripara dal danno. Purtroppo però poi la soluzione si limita a costruire un muro, e questo dà l'illusione di poter vivere isolati da pericolo.

 

Quando è che il muro diventa inutile? E' semplice. Le persone che si sono rifugiate dentro, ancora spaventate, cercano naturalmente conforto, e per farlo iniziano a pregare in coro, pregano contro la peste degli zombie, perché il destino la faccia finire. Gli zombie sono attirati dal clamore, e quindi quando sentono levarsi questi grandi cori si incattiviscono, e formando delle piramidi di corpi che cresce fino a scavalcare il muro. A questo punto i rifugiati rimangono intrappolati nella loro stessa fortezza, e tutto per aver voluto cercare rassicurazione. L'ossessione li ha aggrediti proprio quando hanno cantato ad alta voce una preghiera rassicurante. In altre parole, il rituale richiama l'ossessione.

 

In sintesi, si trovano in questo film, che peraltro è troppo sbrigativo e troppo “facile” sul piano degli effetti speciali digitali, ottimi spunti di psicopatologia e psichiatria delle ossessioni:

 

a) più un'ossessione è forte, e non è la persona a decidere se lo debba essere, più “tira” la persona dalla sua parte

rassicurare un dubbio ossessivo significa porgere l'altra guance, o meglio altre due guance, all'ossessione, e farla crescere

c) rifugiarsi significa sacrificare la propria vita per controllare le ossessioni, e comunque fa correre il rischio di rimanere poi terrorizzati quando le ossessioni, crescendo, invadono anche gli spazi inizialmente protetti

d) alcune soluzioni psicoterapiche che riescono a contrastare l'ossessione giocano sul fatto che aumentare il dubbio, anziché tenerlo a bada, costringe il cervello a oscurare l'ossessione, a lasciarla perdere (anziché cercare di sbrogliarla).

 

E' quindi la malattia a indicare la via, e lo fa quando ci si rende conto che i rituali, le rassicurazioni, i ragionamenti che vorrebbero cacciar via il pensiero invece finiscono per offrire degli appoggi, degli appigli su cui il pensiero cresce, e diventa quasi “sensato”.

 

 

Data pubblicazione: 03 novembre 2016

2 commenti

#1
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Utente 999XXX

Salve dottore. Articolo molto interessante, complimenti. Come potrà vedere dallo storico dei miei consulti, sono affetto da DOC e Disturbo Bipolare tipo 2, in trattamento sia farmacologico che psicoterapico. E' proprio vero che assecondare l'ossessione con la compulsione associata tende a fare crescere sempre più l'ossessione stessa, dandole sempre più valore, come se l'ossessione divenisse sempre più una certezza, invece che un dubbio!
Sfortunatamente, però, (parlo della mia esperienza personale), il fatto di riuscire a contenere o, addirittura, bloccare le compulsioni, non garantisce la scomparsa o quantomeno la diminuzione delle ossessioni. Io, soffrendo principalmente di ossessioni dubitative, ho spesso la difficoltà a capire se si tratta di dubbio "reale", cioè se davvero ho dimenticato una cosa, oppure si tratti di pensiero ossessivo (es: l'aver chiuso o meno la porta di casa). Altre volte mi si presentano pensieri ossessivi dubitativi pur avendo focalizzato l'attenzione mentre faccio una determinata cosa!
Ho notato anche, almeno per me, che è molto più difficile ridurre le ossessioni che le compulsioni (eccetto le compulsioni mentali ruminative).

#2
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Dr. Matteo Pacini

Ossessioni e compulsioni possono essere due momenti distinti, ma il disturbo ricade poi nel produrre in automatico pensieri, e l'ossessione, che inizia come paura, diventa essa stessa una compulsione, come un atto mentale che poi a catena produce un rituale, che può essere un secondo atto mentale anch'esso. Quindi ossessività pura o coinvolgimento motorio sono una distinzione che però è meno netta di quel che sembra.

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