Nel labirinto del cervello: connettoma e nuove strategie terapeutiche
Per il nostro breve viaggio nel mondo del connettoma ripartiamo dal pensiero della neuroscienziata Kay M. Tye, già citato nel precedente articolo e riassumibile in poche parole: quella che chiamiamo mente è una funzione del cervello e le malattie della mente sono malattie del cervello.
I progressi delle neuroscienze ci permettono ora di sostanziare queste affermazioni attraverso l’indagine della struttura e delle connessioni funzionali del cervello tese a individuare le basi neurofisiologiche dei processi mentali.
Ancora oggi, le malattie mentali vengono classificate in base ai sintomi (depressione, ansia, psicosi), senza alcun riferimento a quali siano le alterazioni cerebrali che le causano, multifattoriali e ancora poco conosciute.
La connettomica e le tecnologie applicate allo studio del cervello stanno percorrendo strade nuove che possono implementare e, forse superare, l’approccio terapeutico farmacologico tradizionale.
Gli strumenti terapeutici più utilizzati al giorno d’oggi nei disturbi mentali sono ancora gli psicofarmaci: dai blandi ansiolitici agli antidepressivi di ultima generazione, agli antipsicotici.
Esiste una diversificazione nell’uso di tali farmaci in considerazione delle singole patologie diagnosticate, ma, sostanzialmente, i farmaci che rientrano in ciascuna delle categorie presentano meccanismi d’azione simili. Con poche eccezioni, funzionano prevalentemente secondo principi identificati oltre 70 anni fa.
Le ultime generazioni di questi farmaci hanno sicuramente effetti collaterali ridotti rispetto a quelli del passato, ma sono in molti casi solo varianti di composti già esistenti. Nella quasi totalità, i “nuovi” antidepressivi agiscono come quelli sintetizzati negli anni 50-60 dello scorso secolo, prevalentemente su alcuni neurotrasmettitori (serotonina, dopamina, noradrenalina) per modularne il segnale, cioè per regolare l’intensità e la frequenza proprio come si fa con il volume e la stazione di una radio.
Nonostante i loro limiti, questi farmaci si sono rivelati efficaci e sicuri nel trattamento di molte patologie nervose, anche se un consistente numero di pazienti è resistente alle terapie disponibili.
L’approccio “circuitale”: lo sviluppo di farmaci innovativi e mirati.
I progressi relativi al connettoma e alla conoscenza dei circuiti cerebrali possono condurre a una farmacologia mirata.
È questo anche lo scopo della medicina di precisione: mettere in luce le differenze individuali di parametri genetici, ambientali e biochimici alla base dei disturbi mentali, finora indagati solo in base ai sintomi, fornendo la base per terapie personalizzate tramite l’individuazione del marcatore bersaglio da colpire con la terapia.
Il futuro è già iniziato: nuovi approcci alla terapia dei disturbi mentali
Per pazienti gravi e resistenti ai trattamenti farmacologici, la connettomica permette già ora l’uso di una tecnica neurochirurgica innovativa, ma invasiva, chiamata deep brain stimulation (DBS) e basata sull’impianto di elettrodi che inviano tramite un pace-maker un segnale elettrico ad aree specifiche del cervello per “modularne” l’attività.
Tuttavia, le implicazioni di questo trattamento, invasivo e non sempre efficace, inducono alla cautela e ne suggeriscono l’impiego solo in casi selezionati.
Si lavora oggi alla ricerca di metodi sicuri e non invasivi. La stimolazione magnetica transcranica (TMS - una manipolazione non invasiva e transitoria dell'attività neurale) si sta dimostrando promettente nel modulare la plasticità cerebrale e migliorare comportamenti patologici nei casi d’ansia, depressione, ossessioni, dipendenza da droghe.
Non invasivo e promettente è anche il neurofeedback basato sulla plasticità del cervello, cioè la proprietà del sistema nervoso di modificare sia la propria struttura che le proprie funzioni grazie agli stimoli ricevuti.
Effettuato attraverso avanzate e specifiche tecniche di elettroencefalografia o risonanza magnetica funzionale, il neurofeedback può essere considerato un vero e proprio allenamento del cervello che risponde ad appropriati segnali ed esercizi cognitivi capace di indurre una “rimodulazione” del nostro modo di pensare, sentire e agire tramite l’attivazione di specifici circuiti cerebrali.
Ovviamente, tutte queste tecniche innovative richiedono studi più approfonditi per migliorarne l’efficienza e soprattutto l’efficacia nel tempo dopo la fine della terapia, al momento non sempre duratura. Tuttavia, offrono l'opportunità di approfondire la nostra comprensione del funzionamento cerebrale e mostrano quanto stretta sia la relazione fra corpo e mente.
Scenari e implicazioni. Non è tutto oro quello che luccica
È inevitabile valutare le implicazioni etiche del connettoma in relazione al rapido sviluppo di queste tecnologie avanzate.
In un’epoca di circolazione enorme di dati e di giganti del web, modificare il comportamento umano attraverso tutti gli strumenti di cui abbiamo parlato porta a interrogativi fondamentali.
Se i farmaci e le nuove tecnologie, coadiuvati dalla connettomica, consentono di curare nell’immediato e a lungo termine un paziente neurologico e psichiatrico, esiste sempre il rischio che possano trovare applicazioni estranee alla medicina o alla biologia, riguardo alla riservatezza delle informazioni personali e della loro raccolta tramite le tecnologie di indagine e conservazione nei database.
Quali prospettive dunque?
Il connettoma ha già dimostrato di essere una strada percorribile per le neuroscienze cognitive. Cambierà il modo in cui studiamo il cervello. Soprattutto, l’evidenza che mente e cervello sono un unicum.