Voglia di certezza. Perché ci rivolgiamo a maghi e fattucchiere?

francesco.mori
Dr. Francesco Mori Psicologo, Psicoterapeuta

 “Non voleva avere dubbi, ne era certo” 

Antonio Castronuovo, 2006

 

Il “mercato” che ruota intorno a maghi, indovini, cartomanti, è in rapido aumento. Interi canali televisivi e siti internet sono dedicati a presunti “specialisti” in grado di predire il futuro e purtroppo sempre più persone finiscono dentro la rete di imbonitori e “guaritori” che li riducono sul lastrico.

Che cosa spinge le persone a rimpinguare il conto in banca di incantatori e fattucchiere? Perché abbiamo così tanti problemi a pensare in termini probabilistici?
Che cosa attiva in noi il bisogno, impossibile da appagare, di “controllare il futuro”?

Praticamente in tutti gli eventi della nostra vita, incontri sentimentali, lavoro, scelte di ogni tipo, è entrato in gioco anche il caso. Tuttavia l’imprevedibilità è spesso rifiutata, preferiamo parlare ingenuamente di “volontà”, di una causa specifica, di una teoria infallibile, per spiegare l’esito degli eventi. La difficoltà ad accettare la presenza del caso o della fortuna/sfortuna, è sostanzialmente una difesa dall’ansia. Il futuro è “estraneo”, gli eventi spesso sfuggono al nostro “controllo”, e questo non è facilmente tollerabile, genera preoccupazione.

Sul piano delle emozioni, emerge in particolare la tendenza, ben evidente nell’infanzia ma certamente non abbandonata nell’età adulta, a stabilire dei nessi causali certi tra i fenomeni e quindi ad interpretare come evenienze sicure anche quelle che sono soltanto ipotesi, possibilità, aspettative, quando non semplicemente speranze. Affidarsi a certezze è rassicurante, tranquillizza sapere che un cartomante ruotando una figura possa “annunciarci” il futuro, trasformandosi in un punto di riferimento per il proprio agire. Ne conseguenze che quanto più incerti sono il presente ed il futuro (e nel mondo moderno la precarietà “regna sovrana”…) tanto più le persone avranno difficoltà a ragionare in termini di probabilità. Pensare in termini probabilistici implica infatti accettare il margine di incertezza, più o meno grande, che questo calcolo comporta, con tutto il disagio emotivo e l’ansia che ne possono derivare. Quando non si riesce a tollerare tutto questo, anche i dati scientifici, non solo i divinatori, vengono interpretati in modo distorto come evidenze certe e non come elementi più o meno probabili.

 

A questo proposito, possiamo dire che non sono pochi i divulgatori scientifici (medici, psichiatri, psicologi, ecc.) che attraverso i media utilizzano questo meccanismo psicologico per pubblicizzare come una certezza acquisita pratiche mediche o strategie terapeutiche che diventano taumaturgiche. Molto spesso i vari esperti, per accrescere il loro prestigio e la propria credibilità, sottolineano gli aspetti di certezza della loro ipotesi, senza aiutare il pubblico a ragionare in termini probabilistici. Viene così confermata l’immagine del cartomante (del medico, dello psichiatra, dello psicologo, dell’economista, ecc.) come quella di un oracolo a cui si fa ricorso per conoscere il proprio futuro, per controllare l’incontrollabile. Quanto più l’individuo si sente precario tanto più la sua mente sarà disposta a rinunciare al realismo, ad autoingannarsi, fuggendo dal senso critico e dalla libertà di giudizio.

Tuttavia, per quanto vi siano in tutti noi molte resistenze e difficoltà a ragionare in modo probabilistico nella quotidianità, esse non possono essere invocate come scuse. Al contrario dovrebbero essere uno stimolo a resistere alla chimere della “certezza” e dell’infallibilità. Senza contare che queste illusioni, prima o poi, possono ritorcersi contro chi le ha incautamente coltivate.

Data pubblicazione: 16 ottobre 2013

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