Voi perchè sono un marito con figlio di una paziente già in cura in un centro per alcolismo

Salve , mi rivolgo a voi perchè sono un marito con figlio di una paziente già in cura in un centro per alcolismo (sert), però ultimamente l'atteggiamento della struttura nei confronti dei familiari in particolare del figlio minore non è alquanto consono . La paziente che è già in cura da oltre quattro mesi , quindi non è più sotto la somministrazione di antabuse , si comporta nei confronti del figlio con grande superficialità e assenza, inoltre sapendo che dovrà rimanere in comunità per molti altri mesi è arrivata a chiudere i rapporti con il coniuge.
Volevo chiedere se è normale che tali strutture tendano a cercare di allontanare i familiari perchè per noi è molto evidente tale teoria .
Vi chiedo gentilmente è una pratica normale utilizzata momentaneamente come terapia d'urto ?.

Distinti saluti
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41k 1k 63
Scusi,

sta parlando di sua moglie in una comunità per alcolisti dove è precluso l'accesso ai familiari se non attraverso degli accordi prestabiliti anche molto tempo prima, giusto?

Generalmente, i programmi richiedono anche l'allontanamento del paziente dalla famiglia anche se si dovrebbero considerare i casi singolarmente.

Credo che la sua valutazione sia appropriata, ritengo pero' che sia un suo diritto richiedere spiegazioni specifiche ai responsabili della struttura.

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 991 248
Gentile utente,

Non mi torna una cosa. La somministrazione di antabuse è stata sospesa perché la struttura è chiusa e la paziente non può uscire ? In caso contrario non avrebbe senso che dopo 4 mesi si sospenda tale terapia, che è concepita come manteniemnto e non solo per un primo periodo.
Le comunità terapeutiche devono fornire indicazioni precise rispetto al tipo di obiettivi e alle tempistiche di massima, e somministrare terapie di vari tipi per raggiungere tali obiettivi.
La cosa che è sconsigliabile è una permanenza in comunità senza aver chiaro cosa sia terapeutico degli strumenti utilizzati, oppure senza utilizzare strumenti, e il ritorno del familiare al termine del periodo di permanenza con l'idea che il programma si è concluso "con successo" non si sa in base a quali parametri, mentre la verifica dell'utilità si svolgerà DOPO il ritorno.
Per quanto riguarda l'esclusione dei familiari, non è un buon segno. La persona può ovviamente chiedere di non incontrare i familiari, ma che questa sia una regola della comunità senza esplicita richiesta o consenso della persona, è atteggiamento dubbio e non ortodosso.
Se si ritiene che l'influenza dei familiari sia negativa per motivi specifici, sarà la persona stessa a concordare con gli operatori una interruzione dei contatti, ma è sempre meglio che i motivi siano resi espliciti, e se di natura psichica che sia un medico a verificarli e comunicarli.

Dr.Matteo Pacini
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