Una vita da fallito

Ho 35 anni e sono un fallito, ho fallito il "gioco della vita".

Non ho mai avuto ben chiare le regole di questo gioco e immagino che la mia situazione familiare non abbia aiutato. Mio padre in particolare è sempre stato estremamente severo e non ha mai lesinato sberle né gli occasionali colpi di cinghia. Sino a quattordici anni ho bagnato il letto quasi ogni notte. Questa situazione è andata risolvendosi solo quando le sberle sono diminuite. Resta il fatto che la mia vita sociale è sempre stata molto limitata sino a quasi diciotto anni.

Faccio comunque fatica a giudicare il ruolo di mio padre nella piega che ho dato alla mia vita.
Se da un canto è stato molto severo impedendomi di vivere molte delle classiche esperienze adolescenziali, dall'altro non mi ha mai fatto mancare nulla, né mi ha mai punito ingiustamente.

A scuola facevo fatica. Ricordo che alle elementari mio padre insisteva affinché mi bocciassero.
I problemi si sono accumulati finché in seconda superiore non ho effettivamente perso l'anno. Vorrei poter dire che è successo perché non studiavo e me la godevo, ma non è così. Semplicemente non ho mai avuto il coraggio di dire "non ho capito". Stranamente, dopo aver perso l'anno questo è cambiato e mi sono diplomato col massimo. Una magra conquista, ottenuta con studio mnemonico e forsennato, al prezzo dei migliori anni della mia vita.

Dopo il diploma mi iscrivo a Lingue e finisco la triennale in sette anni. Un altro diploma col massimo dei voti preso solo per dimostrare qualcosa a me stesso. Unica parentesi positiva è l'Erasmus, i migliori mesi della mia vita. Conosco e mi integro in un gruppo di gente fantastica e riesco persino ad avere la prima relazione. La prima e ultima. Era il 2012 e avevo 23 anni.

Dopo la laurea lavoro qualche anno per poi decidere di tornare a studiare in Germania. Concludo col massimo impiegandoci il doppio del previsto. Trovo lavoro in una startup tedesca nel mio settore dove mi viene detto che sono meno che mediocre. Arriva agosto 2023. Scade il contratto di lavoro e io torno a casa.

Oggi ho 35 anni, non esco di casa da agosto e sono disoccupato. I mie genitori sono anziani e mio padre non sta benissimo. Quando mi corico la sera e spengo la luce, inizio a pensare a tutte queste cose: non ho un lavoro, sono solo, sono brutto, non mi so relazionare, i problemi di salute dei miei genitori, la tristezza di mia madre nel caso succedesse qualcosa a mio padre, gli anni perduti, le esperienze non vissute che non posso più recuperare, il mio non essere all'altezza nonostante lo studio continuo.

Ho sempre pensato alla vita come ad un gioco. Se capisci le regole, può essere un gran bel gioco. Ma anche non capirle è ok; puoi sempre smettere di giocare. Questo pensiero mi ha sempre confortato e di tanto in tanto mi tornava in mente. Da agosto però, l'idea di prendere un lenzuolo e di appendermi alla balaustra delle scale è ricorrente. Ci penso ogni giorno. A questo gioco io ho fallito e non vedo perché continuare.
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Dr.ssa Gordana Cifali Psicologo, Psicoterapeuta 17 1
Caro utente,
Sento profondamente la sua sofferenza e tutta la fatica di vivere questa vita dalle regole incomprensibili. Comprendo bene le preoccupazioni per il futuro e il senso di fallimento che prova oggi.
E' vero, le cose fino ad ora non sono andate come si sarebbe aspettato e quindi è comprensibile che lei creda che non possano andare diversamente in futuro però questa è una bugia che le sta raccontando la sua mente in questo momento buio. Credo, infatti, che per lei un cambiamento in meglio sia ancora possibile se decide di riprovarci e si dà il permesso di chiedere il supporto di cui necessita.
Lo credo perché, anche se lei in questo momento non le vede, leggendo queste poche righe vedo alcune delle risorse che lei ha (e chissà quante altre ancora che qui non si evincono!):
1) La determinazione di portare a termine un progetto nonostante le costi molta fatica (diploma/laurea) e sufficiente intelligenza da portare a casa il risultato con addirittura il massimo dei voti.
2) Il coraggio e la forza di fare un'esperienza all'estero e anche di trovare lavoro all'estero.
3) La capacità di stare in relazione e di vivere una relazione ("conosco e mi integro in un gruppo di gente fantastica...")
Non svaluti quanto ha fatto solo perché non era completamente in linea con le (sue?) aspettative. Non sono risultati che tutti raggiungono né esperienze che tutti hanno il coraggio di fare (cambiare paese per lavorare, per esempio).
Il fatto che lei abbia fallito, inoltre, non significa che lei sia un fallito. Rimanendo nella metafora del gioco, forse ha perso qualche mano ma non ancora la partita intera ed è ancora in tempo a scoprire che non esiste un unico gioco ma ne esistono diversi e forse non ha trovato ancora quello che le è più congeniale e che la rende felice (magari è una partita a ramino con gli amici anziché una a poker al casinò).
Gli errori e i fallimenti sono parte integrante del processo di apprendimento e della vita e ci consentono di capire il tipo di vita che vogliamo vivere.
Non le dirò che sarà facile e immediato ma le dico che è possibile, un passo alla volta e con un po' di pazienza. Si dia ancora un po' di tempo e si faccia aiutare. Il primo passo lo ha già fatto scrivendo qua. Ora si rivolga al CPS di zona per valutare con uno psichiatra un eventuale momentaneo supporto farmacologico e un percorso di psicoterapia.
La vita è sua, la scelta se viverla e come viverla, altrettanto.
Nessuno potrà decidere per lei però sarebbe un vero peccato rinunciare già da ora a giocare questa partita quando magari è a un passo dal sentiero che la può portare al "Livello successivo".
La saluto con affetto e faccio il tifo per lei.

Dott.ssa Gordana Cifali
Psicologa- Psicoterapeuta
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