Approcci di psicologo/psicoterapeuta e psichiatra/psicoterapeuta nella psicoterapia

Gentili Dottori,
sono in cura farmacologica e psicoterapica con uno psichiatra/psicoterapeuta da alcuni mesi.
Molti anni fa, sono stata in terapia da uno psicologo/psicoterapeuta per circa 2 anni, principalmente per DCA.
A cadenza bimensile per mia indisponibilità economica, la terapia si è conclusa all'epoca, apparentemente per gli stessi motivi economici.
Ora mi rendo conto che decisi di interromperla perché pensavo che non stesse funzionando.
Diedi priorità ad altre spese, più materiali, sottovalutando l'importanza di concludere il percorso intrapreso.
Nella seduta di chiusura, alla mia domanda "Dottore, sono stata brava? " il terapeuta rispose che sì, stavo meglio di prima, ma no, non riteneva il percorso concluso. Non mi sembrò dispiaciuto, ne contrariato. Forse lo misi alla prova in quell'occasione. Non so perché, mi deluse, tant'è che interruppi il percorso, convinta.
Durante il percorso, chiedevo spesso se sarei mai guarita, lui rispondeva "Non si guarisce, si pone rimedio". Non abbiamo mai affrontato l'argomento del transfert. Cosa che ora ritengo una mancanza.

Negli anni seguenti ho capito di aver, a prescindere dalla conclusione, interiorizzato la figura del terapeuta, le sedute fatte con lui mi hanno sempre "accompagnato", se così posso esprimermi, anche se non andavo più in terapia. Ho acquisito in terapia alcuni strumenti che ritengo mi siano stati comunque utili in seguito.

Ora dopo tanti anni, pur considerandola ancora un privilegio, ma non un lusso, ho intrapreso un nuovo percorso terapeutico, perché di base non ho risolto il sintomo principale di BN in maniera definitiva, si sono aggiunti altri disturbi moderati come ansia e doc, e tirando le somme, la mia vita relazionale è piuttosto povera di relazioni funzionali. Alcuni nodi con la mia famiglia d'origine non sono risolti Ho la consapevolezza sempre più nitida di aver lasciato in sospeso molti aspetti, anche se ho un lavoro, una mia famiglia con figli, una qualità della vita che per tante persone sarebbe considerata mediocre.

Entrambi gli specialisti che ho conosciuto in terapia, hanno lo stesso orientamento, quello psicodinamico.

Da ciò che la mia scarsa preparazione in questo ambito mi permette di capire, mi sono fatta l'idea che questo approccio è tra i più completi, e lavora in profondità. Non tra i più brevi. Difficilmente definibile in termini di tempo e costi. Molto fa l'alleanza, la motivazione del paziente e la soggettività del terapeuta. Così c è scritto su internet almeno.
Mi piacerebbe comunque definire degli obiettivi precisi, in modo da avere una bussola, anche se mi rendo conto che non sto "comprando" un "prodotto" materiale.
Quello che ho percepito per il momento con l'attuale terapeuta, è che è meno rigido nel indirizzo di intervento.
Diversamente dalla prima terapia, vivo un transfert erotico molto più forte, di cui ho parlato in un precedente consulto.
E' una questione che sto affrontando anche in terapia, dato che la sento disturbante.

Ho alcune curiosità, che nascono da quanto condiviso qui, e nella speranza, questa volta, di fare un buon percorso, più risolutivo per quanto possibile. Spero mi aiuterete a soddisfarle, anche se sembrano domande generiche:
Mi chiedo, nella psicoterapia di indirizzo psicodinamico, gli approcci di psicologo/psicoterapeuta e psichiatra/psicoterapeuta sono sovrapponibili? (escludendo le medicine) Cosa cambia nel percorso di formazione di una figura che sceglie l'uno o l'altro percorso per arrivare ad essere Psicoterapeuta?
Non capisco inoltre la differenza tra la psicoterapia analitica, la psicanalisi, e terapia di indirizzo psicodinamico. Il mio terapeuta attuale ha sottolineato più volte che è uno psicoterapeuta, non uno psicoanalista. Ma la psicanalisi non è la radice imprescindibilie in una psicoterapia psicodinamica?

Grazie per la vostra attenzione
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Gentile utente,
forse la sua confusione nasce, oltre che da una serie di equivoci che circondano la psicologia fin dal suo esordio scientifico nell'ambito del Positivismo, dall'aver cercato notizie su Intenet, dove molti siti vogliono tirare acqua al mulino di questo o quell'approccio terapeutico, non esporre la realtà oggi molto complessa delle varie posizioni teoriche e dei relativi apparati metodologici.
La risposta ai suoi quesiti la può trovare chiedendo ai curanti una sorta di lezione, utile e perciò terapeutica, ma certamente non riducibile a poche parole in dieci minuti. Anche su Medicitalia trova degli articoli che illustrano le varie forme di psicoterapia.
Da qui posso parzialmente aiutarla solo con il mostrarle alcuni dei suoi fraintendimenti.
All'inizio del suo scritto lei dice che interruppe la terapia "perché pensavo che non stesse funzionando". In seguito si è resa conto che non ha risolto tutti i suoi problemi, non ha rivoluzionato in ogni campo i suoi schemi -o i suoi copioni- ma tuttavia la terapia è stata utile.
Interrompendola, forse per mettere alla prova il curante, come scrive, gli ha chiesto: "Dottore, sono stata brava?". Lui ha risposto "né dispiaciuto né contrariato", ossia con distacco professionale, che era stata brava ma che stava interrompendo un percorso senza averlo concluso.
Lei si è sentita delusa e ancora più decisa a chiudere la relazione terapeutica.
Penso che a distanza di tempo legga limpidamente in questo comportamento: lei sfida, come una bambina, il curante a trattenerla e a colludere col suo bisogno di sentirsi "brava"; l'atteggiamento adulto e la sincerità professionale di lui la irrita, la delude.
Questo stato d'animo, opportunamente discusso in un'ulteriore seduta, le avrebbe svelato molte cose sulle sue modalità di attaccamento.
Oggi guardandosi indietro può scrivere: "Ho la consapevolezza sempre più nitida di aver lasciato in sospeso molti aspetti".
Dunque il curante, definendo il percorso non concluso, aveva detto il vero; ma lei, forse ancora risentita perché lui non l'ha trattenuta, riserva un'ulteriore frecciata a quell'esperienza: "Non abbiamo mai affrontato l'argomento del transfert. Cosa che ora ritengo una mancanza".
Di transfert molti approcci terapeutici non si occupano affatto, e anche quelli che se ne occupano subiscono, da parte dei pazienti, una concezione erronea di questo processo inconscio. Molti pazienti infatti scambiano per transfert la volontà di esercitare un dominio sul curante o il bisogno infantile di venire da lui amati, e altri desideri semi-consapevoli che seppure in relazione col transfert freudiano, non coincidono con esso.
Niente di strano né di dannoso per la sua terapia, dunque, che col primo terapeuta lei non abbia parlato di transfert.
Entrambi gli specialisti da cui è stata seguita, scrive, hanno un orientamento psicodinamico. Ma quale orientamento psicodinamico?
Il termine, genericamente riferito a vari approcci che hanno sullo sfondo alcuni elementi quali l'inconscio, i meccanismi di difesa e il metodo catartico, sono molteplici, e ogni specialista farebbe bene a specificare col paziente a quale di essi si ispira.
Lei non sa se i suoi curanti erano freudiani, junghiani, adleriani, lacaniani o altro, e tuttavia afferma: "questo approccio è tra i più completi, e lavora in profondità".
Gli altri approcci terapeutici sono invece incompleti? E cosa intende per "profondità"?
Lei ha letto su Internet: "Molto fa l'alleanza, la motivazione del paziente e la soggettività del terapeuta". E questo, le posso assicurare, vale per tutti gli approcci terapeutici. Perfino per l'approccio strategico breve e per la terapia a seduta singola.
Quando scrive: "Mi piacerebbe comunque definire degli obiettivi precisi, in modo da avere una bussola", sta chiedendo qualcosa che ogni terapeuta dovrebbe offrire al paziente; ma il riferimento alla bussola rimanda ad un approccio dirigista, quello cognitivo-comportamentale.
Della sua seconda terapia ci dice che vive "un transfert erotico molto più forte". Ho letto le sue richieste precedenti e mi chiedo se parla di questo con il suo curante, e quale strumento terapeutico, o chiarimento sulla sua vita sessual/sentimentale, ne abbiate tratto. Ma di questo non ci si può occupare al di fuori del setting terapeutico.
Per concludere il tema degli approcci terapeutici, lei scrive: "Non capisco inoltre la differenza tra la psicoterapia analitica, la psicanalisi, e terapia di indirizzo psicodinamico".
Diciamo che terapie psicodinamiche sono tutte quelle che ha citato, intendendo riduttivamente questo termine (il cui significato in realtà è più esteso) nel senso di metodo catartico atto a far riemergere dall'inconscio il "rimosso" in esso celato. Psicoanalisi è il nome dato da Freud al suo metodo; psicologia analitica ha chiamato Jung la propria psicanalisi, quando si trovò in disaccordo con Freud; esiste poi l'analisi adleriana, quella lacaniana, quella genericamente ispirata ad esse, etc.
Per convenzione si chiama psicoanalisi quasi esclusivamente quella freudiana, tuttavia molte scuole adottano questo termine, acuendo la confusione.
Sta al singolo curante chiarire qual è il suo approccio, che oggi può essere integrato, ossia usare strumenti derivati da approcci diversi e anche abbracciare alcuni presupposti teorici di vari approcci.
Lei scrive: "Il mio terapeuta attuale ha sottolineato più volte che è uno psicoterapeuta, non uno psicoanalista. Ma la psicanalisi non è la radice imprescindibile in una psicoterapia psicodinamica?"
Per la verità mi sembra che il suo curante abbia escluso di essere uno psicoanalista e affermato di essere uno psicoterapeuta; se ha detto di essere psicodinamico (ma lo ha davvero detto?) potrebbe essere, per esempio, uno junghiano. Oppure è lei che ci scrive che vuol considerare psicodinamici tutti i suoi curanti, o addirittura tutti coloro che curano la psiche?
Lo farebbe pensare la prima di queste sue domande: "Mi chiedo, nella psicoterapia di indirizzo psicodinamico, gli approcci di psicologo/psicoterapeuta e psichiatra/psicoterapeuta sono sovrapponibili? (escludendo le medicine) Cosa cambia nel percorso di formazione di una figura che sceglie l'uno o l'altro percorso per arrivare ad essere Psicoterapeuta?"
Nella prima domanda lei chiede se siano sovrapponibili gli approcci dello psicologo e dello psichiatra "nella psicoterapia di indirizzo psicodinamico". Perché lo chiede solo riguardo alla terapia psicodinamica? Perché non lo chiede riguardo alla terapia cognitivo-comportamentale, a quella funzionale-corporea, alla sistemico-relazionale? Provi a interrogarsi su questo.
Quanto alla seconda domanda, il percorso d formazione iniziale è la laurea in Psicologia per gli uni, quella in Medicina per gli altri; quanto poi alla specializzazione come psicoterapeuta, la legge che la regola (Legge 56/89) parla di quattro anni di formazione post-laurea per entrambe le categorie professionali, aprendo però la strada a infiniti equivoci, di cui fanno le spese anche gli utenti.
La raccomandazione, per lei e per tutti quelli che hanno l'opportunità di seguire una terapia, è quella di fruire al massimo dell'informazione e dell'aiuto che possono, o meglio devono, ai fini dello svolgimento della cura, ricavare dal proprio terapeuta.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza
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Gentile dottoressa Potenza,
La ringrazio della sua generosa risposta. Dei punti che mette in evidenza, ne riprendo alcuni di seguito, anche per rispondere alle domande:

"Nella seduta finale l'atteggiamento adulto e la sincerità professionale di lui La irrita, la delude (...)" professionale, Ethos, si, certo.
Mi irrita di più che lui non abbia colto, o voluto cogliere la domanda sottostante "Ma di me ti importa?" Poteva propormi una ulteriore seduta, non avrei detto di no, ma anche oggi penso che manca di Phatos.
Non avevamo posto rimedio. Non ero brava stavo provocando. Stavo abbandonando la terapia.
Non era forse un transfert? Non andava affrontato? Se non era un transfert, cosa è il transfert?

"Entrambi gli specialisti da cui è stata seguita, scrive, hanno un orientamento psicodinamico. Ma quale orientamento psicodinamico?"
Il primo specialista era di orientamento psicoanalitico junghiano, sì, me lo ha detto. Ma non stavo sdraiata su di un lettino, ero seduta di fronte, e lui interagiva con me portando in evidenza le contraddizioni, i meccanismi ecc. Evitava i consigli, dava delle letture riverse agli atteggiamenti. Questo mi confonde ancora di più sulle definizioni.

L'attuale, di orientamento psicodinamico freudiano, e sì, sono parole sue, e come avevo scritto, e Lei sottolinea come possibile, mi pare più flessibile sul approccio, integrato.
Ho letto gli articoli presenti su Medicitalia che riguardano le diverse scuole di psicoterapia, tuttavia sono tuttora confusa sulle differenze concrete tra le varie Psicoterapia analitica, la Psicanalisi, e terapia di indirizzo Psicodinamico.

In Treccani trovo Orientamento (detto anche psicologia dinamica), proprio di autori e correnti della psicologia del profondo, che antepone i processi alle manifestazioni osservabili della vita mentale, ricercandone cause e fini in fattori che si sottraggono al riconoscimento immediato della coscienza
Comprendo meglio questa definizione ,che parla di psicologia del profondo se anche non mi aiuta nel concreto a capire la differenza ai fini pratici.

"Oppure è lei che ci scrive che vuol considerare psicodinamici tutti i suoi curanti, o addirittura tutti coloro che curano la psiche?"
No, mi riferisco ai due curanti che ho avuto perché conosco loro, è inevitabile fare un paragone, e da qui nasce la curiosità sulla formazione specifica che riguarda la specializzazione come psicoterapeuta.
In riferimento al setting, concretamente, cosa cambia nella specializzazione quadriennale di Psichiatra e di Psicoterapeuta?
Nonostante i possibili equivoci, che confondono ulteriormente un utente come me, credo di aver capito che sono entrambe abilitanti alla pratica della psicoterapia (?).

Cari Saluti e grazie
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Gentile dottoressa Potenza,
La ringrazio della sua generosa risposta. Dei punti che mette in evidenza, ne riprendo alcuni di seguito, anche per rispondere alle domande:

"Nella seduta finale l'atteggiamento adulto e la sincerità professionale di lui La irrita, la delude (...)" professionale, Ethos, si, certo.
Mi irrita di più che lui non abbia colto, o voluto cogliere la domanda sottostante "Ma di me ti importa?" Poteva propormi una ulteriore seduta, non avrei detto di no, ma anche oggi penso che manca di Patos.
Non avevamo posto rimedio. Non ero "brava"! Stavo provocando. Stavo abbandonando la terapia.
Non era forse un transfert? Non andava affrontato? Se non era un transfert, cosa è il transfert?

"Entrambi gli specialisti da cui è stata seguita, scrive, hanno un orientamento psicodinamico. Ma quale orientamento psicodinamico?"
Il primo specialista era di orientamento psicoanalitico junghiano, sì, me lo ha detto. Ma non stavo sdraiata su di un lettino. Questo mi confonde ancora di più sulle definizioni. ero seduta di fronte, e lui interagiva con me portando in evidenza le contraddizioni, i meccanismi ecc. Evitava i consigli, dava delle letture diverse ai
miei atteggiamenti.

L'attuale terapeuta è di orientamento psicodinamico freudiano, e sì, sono parole sue.
Come avevo scritto, e Lei sottolinea come possibile, mi pare più flessibile applicando un approccio integrato.
Ho letto gli articoli presenti su Medicitalia che riguardano le diverse scuole di psicoterapia, tuttavia sono tuttora confusa sulle differenze concrete tra le varie Psicoterapia analitica, la Psicanalisi, e terapia di indirizzo Psicodinamico.

In Treccani alla definizione di Psicodinamico trovo :
"Orientamento (detto anche psicologia dinamica), proprio di autori e correnti della psicologia del profondo, che antepone i processi alle manifestazioni osservabili della vita mentale, ricercandone cause e fini in fattori che si sottraggono al riconoscimento immediato della coscienza"
Comprendo meglio questa definizione ,che parla di psicologia del profondo, se anche non mi aiuta nel concreto a capire la differenza ai fini pratici.

"Oppure è lei che ci scrive che vuol considerare psicodinamici tutti i suoi curanti, o addirittura tutti coloro che curano la psiche?"
No, mi riferisco ai due curanti che ho avuto perché conosco loro, è inevitabile fare un paragone, e da qui nasce la curiosità sulla formazione specifica che riguarda la specializzazione come psicoterapeuta.
In riferimento al setting, concretamente, cosa cambia nella specializzazione quadriennale di Psichiatra e di Psicoterapeuta?
Nonostante i possibili equivoci, che confondono ulteriormente un utente come me, credo di aver capito che sono entrambe abilitanti alla pratica della psicoterapia (?).


Cari Saluti e grazie
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Gentile utente,
la natura delle sue domande, che avrebbero come destinatario ideale il suo curante, fa pensare ad una certa ansia di controllo e ad altre "trappole mentali" (come le chiama la Schema Therapy).
In altre parole, se queste domande sono importanti per quale ragione non le rivolge alla persona che la ha in cura? Se invece non lo sono perché continua a rimuginarci e le rivolge a noi? Provi ad interrogarsi su questo.
Nel risponderle partirò dall'argomento che si trova alla fine: "formazione specifica che riguarda la specializzazione come psicoterapeuta" relativamente a due professioni: quella di psicologo e quella di medico.
Le ripeto che in base all'art. 3 della legge 56/89, detta "legge Ossicini" dal nome del suo promotore, occorrono quattro anni di specializzazione post-laurea per dichiararsi psicoterapeuta.
Gli psicologi fanno questo percorso tramite Scuole, o pubbliche (cioè universitarie) o private.
I medici ugualmente possono frequentare la specializzazione universitaria quadriennale in psichiatria, divenendo anche psichiatri, o iscriversi alle Scuole private, le stesse che accolgono gli psicologi, e diventare solo psicoterapeuti.
La formazione è la stessa? Certamente no, anche solo per il maggior rilievo dato alle nozioni mediche per gli psichiatri (per es. anatomia, fisiologia, patologia del cervello; composizione e funzione dei farmaci, etc.), e per gli approfondimenti sui meccanismi di funzionamento della psiche, i test, le tecniche del colloquio clinico etc. per gli psicologi.
Oggi però, a trent'anni dalla legge Ossicini e soprattutto dopo il gigantesco cammino delle Neuroscienze, campo ormai condiviso dagli Psy di qualunque origine, le differenze non sono più descrivibili in maniera categorica; a maggior ragione perché le Scuole di Specializzazione sono numerosissime, di orientamenti molto diversi, i programmi non confrontabili e molto dispari anche sul piano qualitativo.
Lei in particolare ci chiede quale differenza di formazione ci sia tra psichiatri e psicologi che hanno scelto di diventare psicoterapeuti psicodinamici. Le Scuole private ad orientamento psicodinamico sono molte, varie e diverse tra loro. Strutturate su programmi più coerenti sono invece quelle di altri orientamenti, la cui efficacia, non a caso, si definisce "evidence based". Ugualmente le specializzazioni universitarie in psichiatria sono di vario orientamento; alcune dedite alla psicodinamica, altre al cognitivismo comportamentale.
La sua domanda: "In riferimento al setting, concretamente, cosa cambia nella specializzazione quadriennale di Psichiatra e di Psicoterapeuta?" non trova quindi risposta se non nel colloquio con il curante. Lei potrebbe leggere anche tutti i programmi delle quattrocento Scuole private italiane e delle numerose Specializzazioni universitarie, senza per questo capire cosa succederà nel setting.
Aggiungo che ogni formazione, pur attuata meglio in una scuola seria e con buoni insegnanti, risente poi delle capacità, della cultura pregressa e dello studio personale del discente.
Direi dunque che mediante un discorso teorico sulla formazione sarebbe difficile selezionare a priori il proprio curante. Su questo tema si sono confrontati su questo sito psicologi e psichiatri anni fa, senza venirne a capo neanche tra addetti ai lavori: veda al link https://www.medicitalia.it/consulti/psicoterapia/23549-psichiatri-per-fare-psicoterapia-necessitano-di-specializzazione.html
Rimane dunque valido quello che ha scritto lei stessa: "Molto fa l'alleanza, la motivazione del paziente e la soggettività del terapeuta".
Vengo adesso alla prima parte della sua lettera, dove si lamenta che: "lui non abbia colto, o voluto cogliere la domanda sottostante "Ma di me ti importa?""
Gentile signora, io non so come si sia svolto l'intero iter terapeutico, quindi quali procedure abbia ritenuto il curante di dover adottare. Per esperienza posso dire che non sempre è opportuno rispondere alla domanda implicita del paziente, se questa continua a replicare proprio l'atteggiamento infantile che ci stiamo sforzando di curare.
A questo riguardo per lei potrebbe essere utile un approccio analitico-transazionale, anche solo poche sedute di informazione.
Ma a proposito della sua provocazione e della risposta del curante lei chiede: "Non era forse un transfert? Non andava affrontato? Se non era un transfert, cosa è il transfert?"
Ecco la definizione di transfert che trova anche in rete: "Il transfert è, in psicoanalisi, un processo di trasposizione inconsapevole per il quale l'individuo tende a spostare schemi di sentimenti, emozioni e pensieri da una relazione significativa passata a una persona coinvolta in una relazione interpersonale attuale".
Se il suo comportamento infantile era un transfert, perché mai un terapeuta avrebbe dovuto colludere con la sua richiesta implicita e non piuttosto curarla con professionale fermezza, facendole portare a compimento il processo di distacco che aveva innescato?
Altrimenti l'attuale terapeuta, verso il quale dice di nutrire un transfert erotico, dovrebbe accondiscendere ai suoi desideri? E lei, a parte altre considerazioni deontologiche, in che modo apprenderebbe da questo il principio di realtà?
In analisi Junghiana non si sta sdraiati su un lettino. Col secondo terapeuta, se fosse un freudiano classico, dovrebbe stare sdraiata e non vedere nemmeno il medico, seduto alle sue spalle. Tuttavia ogni curante sviluppa una propria metodologia. Lei infatti scrive del secondo che "pare più flessibile applicando un approccio integrato".
Infine riporto e commento quanto da lei tratto dalla Treccani per definire la "psicodinamica" intesa nel senso riduttivo di "psicologia del profondo": "antepone i processi alle manifestazioni osservabili della vita mentale, ricercandone cause e fini in fattori che si sottraggono al riconoscimento immediato della coscienza".
Chiosando, la Treccani dice che questa concezione della psicologia ritiene che ciò che della vita mentale è osservabile (gesti, mimica, parole, lapsus, paure, sogni) abbia cause non consapevoli, bensì inconsce, ignote al soggetto che ne è portatore.
Riportato alla psicopatologia, questo vuol dire che se per esempio ho la fobia dell'aereo sotto la mia paura evidente e dietro le parole con cui descrivo l'impossibilità di servirmi di questo mezzo, giacciono esperienze ed emozioni sommerse, censurate o rimosse per Freud, archetipiche per Jung, legate a limiti fisici per Adler e così via. L'analisi avrebbe lo scopo di fare emergere questo "rimosso" per liberarmene, col metodo catartico.
Tutto questo, e le ben diverse soluzioni adottate da altri tipi di terapia, ci rimanda però al fatto che lei cerca molte strategie per non abbandonarsi davvero al curante.
Cerchi di farlo. Stare meglio, essere padroni della propria vita, è un gran bene.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza
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Gentile Dottoressa Potenza,
La ringrazio degli ulteriori chiarimenti, senz'altro ancora più esaustivi.

rispetto a quanto scrive qui, mi ritrovo con la prima parte, ovvero: "La natura delle sue domande, che avrebbero come destinatario ideale il suo curante, fa pensare ad una certa ansia di controllo e ad altre "trappole mentali" (come le chiama la Schema Therapy)."
La cito ancora: "In altre parole, se queste domande sono importanti per quale ragione non le rivolge alla persona che la ha in cura? Se invece non lo sono perché continua a rimuginarci e le rivolge a noi? "
L'ho affrontato in parte, ma mi sono resa conto che il curante attuale è più propenso a valorizzare il proprio percorso, rispetto a quello di uno psicologo/psicoterapeuta.
Mi sembrava più "neutrale" o se vuole più equo, per approfondire le mie conoscenze, porre la domanda qui, dove ci sono professionalità con formazioni più eterogenee.

Su questo: "Se il suo comportamento infantile era un transfert, perché mai un terapeuta avrebbe dovuto colludere con la sua richiesta implicita e non piuttosto curarla con professionale fermezza, facendole portare a compimento il processo di distacco che aveva innescato?"
Se il mio comportamento infantile era un transfert, il collega non doveva colludere ma riconoscerlo ed evidenziarlo, magari nella prossima seduta.
Poi decidere insieme se, e in caso, come proseguire.
Invece il distacco mi lasciò la sensazione che lui "prese la palla al balzo" "si liberò di me" ecc. ecc. tutte cose che avevano a che fare con l'abbandono. Lo interpretai come una punizione, un modo di ferirmi. Io misi in atto appunto il solito schema di coazione a ripetere.
E prima di riprendere una terapia, sono passati davvero molti anni.

Sull'attuale terapeuta, "Verso il quale dice di nutrire un transfert erotico, dovrebbe accondiscendere ai suoi desideri? E lei, a parte altre considerazioni deontologiche, in che modo apprenderebbe da questo il principio di realtà?"
Certo che non dovrebbe accondiscendere. Indipendentemente dalle considerazioni deontologiche, sarebbe una delusione, un ennesimo abbandono, una disillusione dell'unico rapporto funzionale che ho al momento, anche se a pagamento. A maggior ragione perché a pagamento. Chiuderei la terapia all'istante.
Lui ha lavorato strategicamente per portarmi in questa direzione di transfert erotico (è il tema del post precedente appunto, e di questo sì, dovrò discutere più approfonditamente con lui) penso appunto per evidenziare gli aspetti che Lei nella prima risposta ha sottolineato, ovvero "quale strumento terapeutico, o chiarimento sulla mia vita sessual/sentimentale". Voleva smuovermi, va bene.
Cosa che però, per quando utile all'apprendimento del principio di realtà, al momento è un poco frustrante. E disturbante. Come dire: già lo sapevo, che se se faccio un giro sulle montagne russe, poi sto male, Perché mi hai invitato? La mia vita è tutto, tranne che un divertimento. E non è che non lo so.
E non è che ora che lo so meglio, diventa più divertente. Perché tra l'altro, per sostenere il costo della terapia devo rinunciare alle poche cose divertenti che potevo permettermi.
Capisce bene che il controllo è difficile da perdere.

Ma:
"Stare meglio, essere padroni della propria vita" Questa sì, è una bussola.
La ringrazio ancora Dottoressa.

Cari Saluti
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Prego, gentile utente. Sarò veramente contenta se le mie parole l'aiuteranno a strutturare la sua vita in maniera positiva, funzionale al maggior benessere.
Devo dirle che è stato un piacere accogliere le sue domande e leggere le sue risposte, perché hanno aperto anche per me degli spunti di riflessione.
Per esempio il fatto che al consenso del primo terapeuta alla chiusura della terapia lei abbia rivissuto sensazioni di abbandono, pur avendo in un certo senso "sfidato" questo abbandono, mi fa molto riflettere.
A volte la prassi terapeutica che riteniamo idonea andrebbe modulata ancora di più sui tempi e sui modi del paziente, e dovrebbero essergli esplicitate le motivazioni delle nostre procedure, anche se questo comporta un'anticipazione di diagnosi.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza
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