Disperata per mancanza prospettive

Non so se il titolo sintetizza bene la mia situazione.
Provo a raccontarla: ho 52 anni, ho ansia e depressione diagnosticate da alcuni anni ma trascinate da tanti, forse da sempre ("regalo" di un contesto familiare opprimente, repressivo, triste, negativo, teso e fortemente colpevolizzante in cui i ruoli erano ribaltati, perché i capricci infantili erano, casomai, prerogativa degli adulti).
Ho un compagno che, per sua fortuna, non sa neppure cosa sia la depressione.
Lui è affettuoso ma non sa comprendermi davvero e soprattutto non è abituato a parlare, per cui la comunicazione con lui rimane a un livello molto superficiale, tutt'al più giocoso dal momento che comunichiamo spesso scherzando (il che, tutto sommato, per me è meglio di niente!).
Ho un bel lavoro atteso a lungo e ottenuto attraverso grandi sacrifici in termini di impegno (più che altro per gratificare la famiglia, esigentissima).
Negli anni, ho perso la speranza di poter uscire dalla depressione.
Ho alti e bassi ma non se ne è mai andata del tutto e penso che mai se ne andrà.
Adesso poi è subentrata la disperazione per via di una consapevolezza che ora cerco di spiegare: dicevo all'inizio che ho 52 anni e non ho figli e nemmeno nipoti o simili.
Questo mi fa stare veramente molto male.
Cosa illuminerà la mia vita negli anni a venire?
Non ho mai avuto divertimenti, men che meno gioie... sono stata cresciuta e abituata a sacrifici e a sensi di colpa.
Come sarà la mia vita futura visto che io non ho nessun traguardo da raggiungere e non potrò essere felice nemmeno per i traguardi di figli o di altre persone giovani intorno a me?
Non riesco a confidarmi con nessuno.
Forse mi consiglierebbero di viaggiare ma io non sono il tipo che si dà alle avventure in giro per il mondo (non mi interessano) o di fare volontariato (ma io mi sono già ampiamente spesa per gli altri da quando sono nata e ho tanta rabbia dentro perché ho subìto anche ingiustizie, nel senso che mi è stato chiesto di fare enormi sacrifici per chi proprio non meritava nulla).
Di gratificazioni personali per quanto riguarda lo studio e il lavoro ne ho ricevute tante (più che altro sempre per far contenti gli altri) e ne ho le tasche piene.
Forse qualcuno mi consiglierebbe di trovarmi un hobby ma ho fatto anche quello, ho provato a dipingere e a scrivere... ma nessun hobby o attività di bricolage può dare alla vita il senso che cerco.
Non so se ho reso l'idea, sto cercando le parole ma sono stanca anche di pensare.
Come non sentirmi inutile e finita?
Cosa posso attendere io se non la pensione?
Probabilmente mi direte di andare in cura ma non voglio tirare avanti stordita dai farmaci e per quanto riguarda le parole... quando la seduta finisce io torno a casa più infelice di prima (l'ho sperimentato più volte e con più di un terapeuta, purtroppo!).
Non so proprio cosa fare...
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Gentile utente,
lei scrive ad un sito di professionisti la cui attività principale è curare ansia e depressione.
Avendo scelto l'ottimismo come linea-guida, preferisco credere che lo stia facendo perché qualcosa si è mosso dentro di lei nella direzione del desiderio/volontà di guarire.
Gli psicologi da lei consultati le hanno certamente spiegato che il nostro compito è offrire strategie professionali, le quali vengono applicate o rese vane dal paziente stesso.
Il colpo di bacchetta magica che trasforma in un lampo Cenerentola in una principessa non esiste, la trasformazione la determina il paziente attraverso una lunga e articolata ristrutturazione cognitivo-emotivo-comportamentale supportata dal professionista.
In caso contrario, l'effetto è inferiore a quello di una droga.
A lei i farmaci hanno dato solo stordimento (ma non ha cercato di far correggere la posologia?) e quelle che chiama "parole" le hanno fatto l'effetto che descrive in questi termini: "quando la seduta finisce io torno a casa più infelice di prima".
Forse non ha voluto sentire la spiegazione che i miei colleghi le hanno fornito: proprio il sentirsi "più infelice di prima" è l'inizio di quella ristrutturazione che può, se assecondata, portare al cambiamento.
Senza dubbio questo è doloroso per chi è abituato da sempre ad un certo genere di pensieri, di comportamenti e di risposte emotive, ma occorre prendere atto che questi hanno determinato ansia e depressione. E' naturale la resistenza al percorso terapeutico e al cambiamento che induce; a maggior ragione se il paziente è abituato a porre il focus of control all'esterno, con la conseguenza di non prendere la vita nelle proprie mani.
Le faccio due esempi soltanto: lei ha un compagno allegro e ottimista, ma lo definisce "superficiale", concludendo che per lei il genere di comunicazione che le offre è soltanto "meglio di niente".
Ha un lavoro "atteso a lungo e ottenuto attraverso grandi sacrifici in termini di impegno", ma ne sminuisce il valore dicendo che è stato ottenuto "più che altro per gratificare la famiglia, esigentissima".
L'intero suo scritto potrebbe essere la base per sei mesi di una terapia vincente; questo nel presupposto che la sua attuale fonte di sofferenza, la mancanza di figli, sia frutto di sfortuna, e non invece una sua scelta...
Le auguro di desiderare con forza la guarigione, e di scegliere di conseguenza la strada idonea.
[#2]
dopo
Attivo dal 2020 al 2021
Ex utente
Dott.ssa Potenza, innanzi tutto la ringrazio davvero tanto. Lei ha ragione quando positivamente si augura che dentro di me ci sia la voglia di cambiare/guarire. Io lo vorrei, ci spero, per questo ho scritto su questo sito ma razionalmente non capisco come questo possa succedere dal momento che i problemi che ho mi sembrano senza soluzione. Ho sempre sentito, fin da bambina, che gli affetti familiari per me erano il centro di tutto e, nonostante le difficoltà e le opposizioni che incontro quotidianamente (preferisco parlare di me, non riesco a parlare degli altri ma devo dire che ho sempre un contesto molto difficile intorno) io mi dedico a questi in una maniera quasi esclusiva. E mi accorgo che il mio aiuto è utilissimo, anzi insostituibile. Vorrei farlo anche con dei figli o dei nipoti (in ogni caso persone che amo profondamente, non estranei), da seguire, ai quali insegnare a riconoscere le cose belle della vita (le vedo, so che ci sono). Avrei voluto poter ballare con loro per casa, andare a passeggiare in un bosco, farli giocare con le matite colorate... anche aiutarli a superare i momenti difficili, anche sopportare inevitabili sofferenze e disagi per loro. Vorrei vivere di riflesso le loro gioie e dire a loro quello che nessuno ha mai detto a me: vivi, cerca di stare bene tu e fai il possibile per far stare bene anche gli altri ma tutto quello che succede non è colpa tua. Certo sarei stata una madre apprensiva e avrei detto diversi no per timore della loro incolumità, ma sempre cercando di compensare con motivazioni, giustificazioni, sorrisi e scambio di vedute...mai chiusura. I figli, come certamente avrà capito, non posso averli. La mia non è stata una scelta, anche se, devo ammettere che, per come ho sempre visto la vita, penso che non nascere possa essere un problema per i genitori, non per i figli. Io, per esempio, vista la situazione, avrei fatto ben volentieri a meno di venire al mondo.

Ieri, quando ho scritto per la prima volta, mi sentivo stanca e nello stesso tempo avevo un gran bisogno di chiedere aiuto. In alcuni punti sono stata sbrigativa, svogliata, ma era appunto solo la stanchezza data dal rimuginio. Per esempio, io non penso di sottovalutare l'aiuto che può arrivare dal mio compagno... anzi spesso e volentieri gli chiedo di parlare di sé, di noi, ma lui proprio non ci riesce... il più delle volte parla del lavoro. La modalità del gioco e dello scherzo penso appartenga più a me che a lui in questo senso... è il mio asso nella manica per comunicare con le persone che non hanno voglia di farlo... l'ho usata in passato anche quando vivevo in famiglia con i miei genitori anziani e ha funzionato. Funziona anche ora con il mio compagno. La uso anche con me stessa. Sono molto autoironica. E agli estranei appaio calma, tranquilla, timida ma serena ed equilibrata.

Per quanto riguarda i farmaci, mi sono espressa male, io in realtà non ne ho mai presi. A parte una sorta di analisi durata diversi mesi (ma anni fa quando ancora non avevo il problema della mancanza dei figli) ho poi tentato diverse altre volte di tornare da un terapeuta ma, dopo qualche seduta, ho sempre rinunciato (ma ho sempre ponderato tutto e potrei spiegare i motivi della rinuncia, caso per caso). Mi sono accorta che mi fa bene parlare con gli altri, con chi ha problemi simili ai miei ma faccio fatica a trovare un'amica con cui confrontarmi. In famiglia non posso essere sincera, c'è chi non capirebbe lontanamente e c'è chi capirebbe fin troppo e starebbe peggio di me. Sarebbe deleterio, innescherebbe delle reazioni che mi farebbero pentire di aver aperto bocca, questo è certissimo.

È vero che, irrazionalmente e in maniera infantile, cerco un miracolo, una magia, lo ammetto. Ma davvero non sono capace di immaginare una soluzione, se non con un miracolo. Cosa farò di bello tra dieci anni? Il massimo che immagino è l'arrivo della pensione. Anche ora, da tempo, sento di non avere nulla di veramente bello e gratificante da attendere. Zero emozioni. Starei bene se a me o a chi amo capitasse qualcosa di travolgentemente bello, di molto emozionante e invece il massimo che mi ritrovo ad attendere è una puntata della mia trasmissione preferita o una vacanza o una gita. E sono anche contenta, e so che c'è chi non può attendere nemmeno quello. Niente di che nemmeno per me (il mio "bel" lavoro è uno dei peggio pagati in assoluto) ma so che è già qualcosa. Però, non so se rendo l'idea, nella mia vita non c'è la luce che vorrei, e quel che è peggio non c'è mai stata perché fino a che io non sono cresciuta e maturata, tutto mi veniva fatto vivere dai miei genitori con grandi sensi di colpa. E inoltre c'erano grandi privazioni perché a casa mia vigeva la convinzione che ricevere un regalo a Natale, festeggiare i compleanni o fare una piccola vacanza fosse un lusso superfluo. Chiedevano invece tanto: serietà, sacrificio, irreprensibilità agli occhi degli altri, "della gente", gente che tra parentesi andava trattata bene, in qualunque modo si comportasse. Gli esami all'università andavano superati con la lode, anche se non serviva a nulla. So perfettamente che era una situazione problematica, roba da psichiatri, ma ho guardato in faccia la realtà solo a partire dalla tarda adolescenza. Ovviamente i danni di queste privazioni e di queste richieste su un bambino si vedono anche dopo mille anni. Ed eccomi qua! Ora che finalmente mi sono scrollata i sensi di colpa da dosso, non so più cosa potermi aspettare di bello. Non so cosa fare per vivere e non sopravvivere.
Basta, non scrivo più nulla, almeno al momento, perché è già pesante leggere fin qui e chiedo scusa per questo. Spero di aver reso davvero l'idea.
Grazie ancora per la pazienza!
[#3]
dopo
Attivo dal 2020 al 2021
Ex utente
Dott.ssa Potenza, mi scusi il disturbo, posso chiederle se alla luce di quello che ho aggiunto con il mio secondo post, lei ha qualche consiglio ulteriore. Grazie ancora
[#4]
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Gentile utente,
avevo concluso il mio consulto con le parole: "L'intero suo scritto potrebbe essere la base per sei mesi di una terapia vincente".
Ovviamente la mia era un'indicazione clinica.
Le avevo anche segnalato la presenza, nel suo atteggiamento verso le psicoterapie intraprese, di quelle che la psicologia chiama "resistenze".
Non le sembra che nel suo secondo scritto queste resistenze si manifestino con forza anche maggiore?
Per questo, dal momento che la vita è sua e lei non sembra disposta a lavorare sul cambiamento, ho ritenuto superfluo ribadire l'opportunità di una terapia per ristrutturare quelli che si chiamano "idee, emozioni e comportamenti disfunzionali".
Del resto lei aveva chiarito che non ha mai preso farmaci, e questo, unito al suo desiderio di emozioni, esclude che si trovi in uno stato depressivo. Altro è la noia, il malumore, la scontentezza, il risentimento, altro la depressione.
Se tuttavia può esserle utile, proviamo a rileggere qualche punto del suo secondo scritto.
Dice che certamente vorrebbe cambiare/guarire, ma "razionalmente non capisco come questo possa succedere dal momento che i problemi che ho mi sembrano senza soluzione".
Lei pensa che la guarigione dipenda dall'eliminare i problemi?
Quanto alla terapia, sembra equiparare il dialogo con un'amica al procedimento terapeutico, forse intendendo quest'ultimo come uno sfogo in cui si continua incessantemente a ripetere che la mamma è stata cattiva.
Una psicoterapia ben condotta è cosa diversa, cara utente. Certo, se lei ha conosciuto solo "una specie di analisi", forse non ha mai intrapreso il cammino certamente doloroso che richiede volontà di cambiamento e fiducia nel terapeuta e nei suoi strumenti professionali.
Lei scrive, a proposito del cambiare/guarire: "non capisco come questo possa succedere" e poi: "non sono capace di immaginare una soluzione, se non con un miracolo".
In pratica, lei disconosce la specifica competenza dello psicologo, quindi pensa di poter sapere a priori, in due parole, quello che si accinge a fare.
Mi chiedo se avrebbe lo stesso atteggiamento nel caso le diagnosticassero un'insufficienza della valvola aortica e le prescrivessero un intervento sostitutivo.
Direbbe forse al cardiochirurgo: "Dottore, non capisco proprio come potrebbe tagliarmi lo sterno con una sega, arrestare il battito del cuore, tirarlo fuori dal petto, far arrivare al mio corpo l'ossigeno in circolazione extra-corporea, etc." per concludere con le parole: "Non sono capace di immaginare una soluzione, se non con un miracolo".
Riguardo alla procedura di uno psicoterapeuta, pensa che sia più facile sapere tutto prima?
La differenza è nella partecipazione attiva del paziente al processo di cambiamento. Se manca questa disponibilità, considero inutile parlarne, anzi controproducente. Lo ritengo una specie di alibi perché il paziente possa dire a sé stesso: "Ho fatto tutto quello che potevo", mentre in realtà non ha nemmeno cominciato.
Molti auguri.
[#5]
dopo
Attivo dal 2020 al 2021
Ex utente
Dott.ssa Potenza, grazie per avermi risposto ulteriormente, dopo la mia richiesta. Ora più che mai cerco di chiarire anche io quello che intendevo punto per punto, perché per me è molto importate questo supporto offerto dal sito, sia in assoluto sia in relazione alla possibilità di capire quale eventuale azione terapeutica intraprendere.

È vero, lei aveva concluso con queste parole ("L'intero suo scritto potrebbe essere la base per sei mesi di una terapia vincente") però lo aveva fatto fraintendendo (ho ipotizzato per colpa mia) due o tre punti che lei aveva citato come esempi che l'avevano portata a quella conclusione, punti che io ho chiarito nel secondo post: il primo è l’atteggiamento di mio marito, che di suo comunica poco e col quale sono io a cercare una comunicazione scherzosa; il secondo è l’impegno eccessivo riposto nello studio, che non serviva tanto a trovare un lavoro quanto ad accontentare i miei; il terzo è che lei aveva pensato che mi fossero stati dati farmaci con una posologia sbagliata quando invece non ne ho mai presi.
Tutto questo mi ha spinto a pensare che la sua valutazione dei sei mesi di terapia vincente potesse essere variata e mi interessava saperlo.

Non ho capito invece quest’affermazione:
<<Del resto lei aveva chiarito che non ha mai preso farmaci, e questo, unito al suo desiderio di emozioni, esclude che si trovi in uno stato depressivo>> . Ecco, tanto per spiegare: io ho in famiglia persone a cui dovrei nascondere di prendere farmaci, altrimenti sarebbero guai e siccome dipendo emotivamente fortemente da queste persone, io farmaci non ne ho mai presi perché ho paura di avere anche un piccolo malore e non sapere a chi rivolgermi perché soffrendo di sensi di colpa fortissimi andrei nel panico (perché ci vado per un nonnulla) e verrei sgamata in un batter d’occhio e solo io i drammi che potrebbero derivarne. Per cui, anche se spesso avrei voluto chiederli o accettarli, non l'ho mai fatto.

Le emozioni che cerco (quelle che secondo lei dovrebbero comprovare che io sono solo annoiata e risentita), inoltre, non sono quelle di una vita spericolata, sono semplicemente quelle di una vita degna di essere vissuta perché ora come ora mi sento, ben che vada, anestetizzata e, di conseguenza, non riesco ad accorgermi nemmeno delle poche cose gradevoli che mi capitano. La depressione, inoltre, mi è stata purtroppo diagnosticata da terapeuti, non si è trattato di un’autodiagnosi!
Se devo fidarmi dei terapeuti, allora perché non dovrei fidarmi anche di questa diagnosi. Inoltre perché non fidarmi, visto che mi sento da schifo? Lei davvero non pensa che ci siano i presupposti per essere depressi, alla luce di quella parte, se pure piccola, di vissuto che ho raccontato?

Inoltre non ho mai paragonato un percorso terapeutico al dialogo con un'amica, affermazione che lei mi attribuisce. Controlli, se vuole, ho solo detto che mi sono accorta che mi fa bene trovare persone che hanno le stesse problematiche e dialogare con loro.
Né io ho intenzione di continuare a rimuginare sul passato, anzi vorrei concentrarmi sul futuro.

Riguardo al fatto di aspettarmi un miracolo, l’ho ammesso e intendevo presentarlo come uno scoglio, per assurdo che ad altri possa apparire, che la mia mente non riesce a superare. Mi dispiace che non si sia capito! Era su questo, soprattutto, che chiedevo aiuto: come fare a credere che io posso stare bene anche senza un miracolo! Questo è il punto su cui chiedo aiuto! Per utilizzare anche io una metafora come ha fatto lei con l’esempio del cardiochirurgo, è come se io mi sentissi come uno che ha una gamba rotta e tutti gli consigliassero di andare uno psicoterapeuta per risolvere. Per lei è un errore, per la mia mente è una convizione e questo è la mia dannazione. Su questo io chiedo aiuto!

E, infatti, spiegato tutto ciò, pongo questa domanda: potrebbe, a suo parere, suggerire che tipo di terapia io dovrei seguire?

Mi dispiace, scusi la sincerità, per la sua decisione consapevole, da lei dichiarata all'inizio, di non rispondere nemmeno con un semplice cenno di lettura al mio secondo (lunghissimo) post che per me doveva servire per spiegarle meglio la mia situazione, perché a me è pesato molto scriverlo (faccio molta fatica a raccontare le cose che mi riguardano) ma mi ero forzata certissima anche solo di un cenno di risposta.

In ogni caso, grazie
[#6]
dopo
Attivo dal 2020 al 2021
Ex utente
Dottoressa, cercando di sintetizzare, io ho molta paura per il futuro.

Provo a immaginare di riprovare a rivolgermi a un terapeuta ma a parte che non so a quale genere, comunque la mia mente mi dice che è inutile, tempo perso perché non potrà farmi trovare quel piacere di vivere che non ho mai conosciuto e perché inoltre il mio problema, da ora in poi, è quello di una mancanza che niente e nessuno potrà colmare e con la quale, volente o nolente, io mi ritroverò sempre a fare i conti.

E non so come risolvere! Per questo la cosa migliore che io riesco ad augurarmi è conoscere persone che si trovino in una situazione analoga alla mia. Penso che parlando con loro magari potrei trovare comprensione e, magari perché no, energie e idee per affrontare il problema. Mi farebbero sentire meno sola, potrei coltivare delle amicizie per condividere i pensieri. Ma dove trovarle queste persone che siano in sintonia con me? E poi a un certo punto arrivo a concludere che, tutto sommato, anche questo non sarebbe risolutivo e che, se sono infelice ora che ho cinquant'anni, tra dieci o vent'anni lo sarà molto di più... e questo pensiero mi fa una paura indescrivibile.