Crescita e scelte

Salve,
Sono giovane vivo in famiglia.
Ho un buon rapporto con i miei, a volte fin troppo amichevole, ed ho sempre pensato di essere in alcuni casi un po' dipendente da loro che mi hanno sempre messo nelle condizioni di scegliere quello che volevo e forse accontentato troppo.
Questo fatto mi ha portato a sentire che nelle cose che si fanno c'è sempre un'alternativa.

Per quanto ciò renda critici sulle proprie scelte, non permette nemmeno di vivere bene quelle che si compiono perchè si ha sempre l'idea di aver un po' sbagliato.

In pratica ha sviluppato in me la tendenza a cercare spesso di "tornare indietro", anche in situazioni più semplici.

La situazione descritta mi ha portato ad impegnarmi sempre al massimo con l'università poiché sarebbe stato il mio biglietto vincente per finire tutto in tempo e riuscire ad andare via, magari all'estero.

Facevo biotencologie, che avevo scelto come ripiego, la quale peró mi è sempre piaciuta molto da studiare ma della quale non avevo mai amato troppo le opportunità lavorative sia di ricerca che "aziendali" e questa cosa spesso mi preoccupava e creava disagio.

Alla fine nonostante dovessi affrontare solo l'ultimo anno, a settembre ho deciso di cambiare e mi sono iscritto alla facoltà che avrei voluto fare sin dal liceo.

Non riesco a togliermi dalla testa l'idea di aver fatto un errore.
Mi piace ciò che sto studiando, ma nonostante per mesi sia stato convinto di cambiare, ora mi pesa addosso tutto ciò che ho descritto precedentemente e l'idea di trovarmi ancora per anni sotto l'ala della mia famiglia mi mette a disagio.

Magari il lavoro con l'altro studio non era quello dei miei sogni, ma a volte penso che nella vita non esista solo questo.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Gentile utente,
la sua email, che tra l'altro è molto bella, sembra a prima vista l'esempio di quello che può succedere in una realtà senza punti fermi. Ma rileggendola si ha l'impressione che non dica tutto.
Alla prima lettura lei fa venire in mente tutti gli studi, tutte le intuizioni sociologico-filosofiche sui disagi giovanili che sorgono in assenza di confini a cui aggrapparsi e contro cui combattere: dal classico ancorché recente "La fatica di essere se stessi" di A. Ehrenberg alla teoria del suicidio nella "società anomica" di E. Durkheim agli studi di psicologia sui cuccioli che hanno bisogno di una gabbia solida su cui arrampicarsi e da cui, al momento opportuno, evadere.
Lei si è trovato a vivere nell'assenza di questi elementi solidi contro cui cimentarsi... sembra. Ogni sua fantasia ha avuto più peso del riscontro con realtà concrete, ossia il denaro, il tempo, l'impegno, che non dovrebbero mai avere, come bilancio consuntivo, il nulla.
Vediamo punto per punto ciò che scrive.
Lei valuta i suoi genitori come propensi ad accontentarla troppo (a proposito: sono molto ricchi?), poi parla della natura delle scelte, che per lei si pongono in aut-aut, facendole sentire perduta la scelta che non ha fatto.
Ma questa è la disperante visione di Kierkegaard, mentre nel pensiero di Hegel le cose si presentano invece in et-et: ogni scelta è una sintesi che supera e conserva le alternative, senza perdere nulla.
Quanto a lei, dalla constatazione che in ogni scelta ci sia una parte anche piccola di errore, non ricava l'idea di lasciarsi sempre una porta aperta, ma "la tendenza a cercare spesso di "tornare indietro", anche in situazioni più semplici".
Ossia, butta tutto ogni volta, nella fiducia che le capacità, la voglia, il tempo e le condizioni favorevoli ci saranno sempre?
Il suo sembra un modo per eludere lo scorrere del tempo e il mutare delle situazioni, ossia la realtà.
Si percepisce sempre bambino, sempre fermo alla prima possibilità, o meglio sempre pronto a quel "ritornare al punto di partenza" che nel Gioco dell'Oca è una punizione e nella vita semplicemente è impossibile?
Scrive di aver provato il sano desiderio di emanciparsi dai genitori (ossia la normale aspirazione alla crescita), poi scrive qualcosa che contrasta con la grande libertà di scelta di cui ha parlato in generale: ha scelto la sua facoltà "come ripiego".
Perché mai? Nella grande libertà, da cosa ha creduto necessario salvaguardarsi, fino a spingerla ad una scelta di cui non ha mai apprezzato gli sbocchi professionali?
Sembra una scelta fatta proprio con l'obiettivo di poterla abbandonare.
E difatti, lei lascia la sua facoltà quando le manca solo un anno alla laurea, per tornare alla prima preferenza del liceo. Perché non la seguì allora? E perché adesso non ha concluso la prima, per poi affrontare da una posizione adulta anche la seconda laurea?
Naturalmente, inutile dirlo, non è convinto nemmeno adesso, e appena le sarà possibile tornerà ad interrompere quello che sta facendo, sempre con elucubrazioni che cercherà di credere razionali sugli sbocchi professionali, di cui in realtà sa ben poco.
Potrei farle molte domande, ma una è fondamentale: perché ha tanta paura di crescere?
Ci rifletta.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile dottoressa,
La ringrazio moltissimo per la sua disponibilità, la sua risposta mi ha dato una prospettiva totalmente nuova sulla quale rifletterò.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Sono contenta di esserle stata utile. Ci tenga al corrente.
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dopo
Utente
Utente
Buongiorno.
Volevo dire che alla fine ho deciso di continuare per questo percorso. Almeno provare per un anno e capire se questa è davvero la mia ppassione. In caso contrario finirò la mia laurea precedente.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 183
Gentile utente,
ottima cosa... se non vorrà darsi solo il termine di un anno come meta, ma punterà invece a quel traguardo naturale che è costituito dalla laurea, oggi anche triennale, per andare incontro alla velocità dei nostri tempi.
Altrimenti non farà altro che fare per disfare, come sempre. Non sia come Penelope, la sua situazione è diversa!
Auguri.