Che rapporto dovrebbe esserci tra terapeuta e paziente? (rapporto ideale)

Ma che rapporto dovrebbe esserci tra terapeuta e paziente, nel senso di fatto tra terapeuta e paziente non possono esserci rapporti di amicizia, e comunque non possono esserci rapporti troppo forti che travalichino i confini professionali, però vorrei capire una cosa, il discor del provare un minimo di emozioni e di "interesse reciproco", ci deve essere, oppure chi va da un terapeuta deve limitarsi a seguire in maniera "militare" (o comunque in maniera scrupolosa), le prescrizioni comportamentali impartite, dire e parlare solo di quello che è strettamente "rilevante" e collegato al "problema" che si è manifestato all'inizio?
Cioè detto in parole povere si può essere un minimo emozionale, o deve almeno in linea teorica il paziente essere di ghiaccio, e quindi di fatto parlare con un professionista privato dei propri problemi deve essere serio e rigoroso come quando si parla con i carabinieri e con il pubblico ministero, quindi massima professionalità ed emozioni zero da parte del paziente, cioè qual'è l'interesse del terapeuta nel curare i suoi pazienti?
Perchè lo fa?
E' solo una questione di soldi?
(Del fatto che i pazienti, non contino molto, ma i loro soldi sono sempre buoni per farsi una famiglia, magari stigmatizzando pure i pazienti, ma usando "le loro esperienze per migliorare i loro figli" dandogli al contempo a loro e solo a loro tutto l'affetto e il voler bene, mentre ai pazienti ciò viene negato categoricamente, nonostante la stessa mancanza di affetto potrebbe essere la causa dei problemi sviluppatasi che ti ha condotto in terapia), Di disturbo narcistico?
Oppure c'è un fondo di umanità che fa ben sperare e per cui il terapeuta è contento / gli fa piacere di curare una persona, che magari poteva sviluppare problemi più seri e al peggio commettere reati?
Cosa ne pensate di ciò?
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Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 579 67
Gentile utente,

partiamo da un dato di fatto:
tra Psicoterapeuta e paziente esiste una *relazione di aiuto*; quella - asimmetrica - in atto tra un curante (del corpo, della psiche, ecc.) e la persona che si è rivolta a l*i per guarire, per stare meglio.
Le nostre (di noi Psy) basi teoriche condivise da tutti gli orientamenti direi, sottolineano l'importanza dell' *alleanza terapeutica* che deve crearsi tra i due poli della relazione; una alleanza che fa sì che i due siano una squadra unita e complice che lotta contro il problema.
Lei come la immagina tale squadra, perchè possa essere veramente efficace?
Secondo Lei è più efficace allo scopo un team che abbia al proprio interno anche rapporti emozionali finalizzati all'obiettivo, oppure un team congelato?

Un secondo punto riguarda le motivazioni di chi sceglie una professione di aiuto.
Esse sono strettamente personali, e dunque sono varie;
ma sempre hanno alla base il voler "portare aiuto". Anche perchè - francamente - a fronte di un iter studiorum fino a 30 anni e oltre, l* studente avrebbe potuto scegliere altro (e talvolta maggiormente remunerativo).
E in ogni caso, a fronte della fatica, della pesantezza, delle resistenze dei curandi,
*resiste* nel tempo (negli anni) esercitando una professione di aiuto
unicamente l* professionista che utilizza non solamente il proprio 'sapere' o 'saper fare', ma anche il *saper essere*; quell'insieme armonioso di caratteristiche umane e tecniche che lo rendono efficace attraverso la relazione. Altrimenti cade preda del burnout. Tale motivazione - di portare aiuto - è quella che porta noi specialisti di MedicItalia ad essere in linea di domenica, di festa, di giorno e di notte, spesso dopo una giornata di lavoro in Studio, in presenza.
E in assoluta gratuità.
(Ho dedicato a ciò un intero libro, rivolto ad una differente professione di aiuto: https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6231-il-tempo-della-relazione-salva-l-assistito-ma-anche-chi-cura-e-assiste.html )



La Sua domanda però, dietro alla richiesta di una risposta teorica, sembrerebbe provenire da qualche delusione al proposito.
"Che rapporto dovrebbe esserci tra terapeuta e paziente? (rapporto ideale)", titolo.

In sintesi vorrei risponderLe che non esiste un "rapporto ideale", ma che è ideale quello che fa sì che i due si sentano bene ed efficaci nella relazione; e che tale relazione asimmetrica *curi*; riesca cioè ad avere gradualmente la meglio sul disturbo.
Relazione nella quale *ognuno dei due fa la propria parte*, con convinzione, determinazione, con fatica o passione a seconda dei giorni come del resto in tutte le vicende umane veramente importanti.



Nel risponderLe mi sono ispirata alle centinaia e migliaia di volumi che sono stati scritti sull'argomento nei decenni
e alla mia quotidiana non breve esperienza professionale di Psicoterapeuta.
E' ovvio che una risposta online non rappresenti che una goccia nell'oceano di quello che si potrebbe aggiungere.

Saluti cordiali.
dott. Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/