Co-dipendenza: la famiglia e le dipendenze

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

L'articolo illustra le modalità con cui le reazioni delle famiglie alla presenza di una persona dipendenze possano essere inutilmente dolorose o controproducenti, e di come il trattamento debba anche considerare questi aspetti.

La dipendenza, o tossicodipendenza, in cui è compresa l’alcol-dipendenza e anche le dipendenze non chimiche, è una malattia che si sviluppa e si svolge nel cervello dell’individuo per effetto di uno stimolo che rompe un equilibrio biologico, e non permette che sia recuperato in maniera automatica.

Le persone con dipendenza presto producono intorno a sé un ambiente conflittuale, come conseguenza della loro malattia. Solitamente il primo ambiente coinvolto è la famiglia, naturale o acquisita.

Le reazioni dei familiari possono essere varie, dettate dal carattere dei singoli individui, però va tenuto presente che a guidare queste reazioni è la malattia della persona dipendente, che invece risponde a meccanismi standard.
Anche l’adattamento della famiglia alla dipendenza di un familiare risponde ad alcuni schemi prevedibili, e solitamente si tratta di modalità che tendono a contenere o riparare le singole conseguenze del comportamento del familiare, senza riuscire però a fargli cambiare “rotta”.

Anzi, a volte accompagnare la persona nei suoi dissesti e disastri significa semplicemente assecondare la direzione presa dalla malattia, e fornire disponibilità, risorse e canali per nuovi dissesti e disastri.
Nel tempo, la famiglia può organizzarsi con ruoli stabili intorno al problema della persona dipendente, in cui ciascuno riconosce un senso e una funzione, per quanto inutile o addirittura controproducente.

Questa situazione è denominata co-dipendenza, è un termine che si usa nel caso delle dipendenze per il gioco di parole, ma potrebbe essere usata in qualsiasi situazione in cui le persone circostanti, nel tentativo di aiutare o contenere il problema, finiscono per essere soddisfatti o coinvolti più che dai risultati (assenti o controproducenti), dai ruoli assunti.

I familiari in altre parole non riescono a rinunciare alle loro posizioni perché almeno in queste trovano un senso, mentre la dipendenza procede tra ricadute, illusioni, promesse, fiducia tradita e declino.
La co-dipendenza viene fuori nel momento in cui si tenta di curare una persona dipendente, perché i familiari, anziché assumere i ruoli eventualmente richiesti per far funzionare la cura (spesso semplicemente controllare la somministrazione di una terapia e la frequenza alle visite), rimangono convinti e impegnati nel sostenere i propri ruoli, come se la guarigione dovesse dipendere da loro.
Più che sperare vagamente di poter fare qualcosa, in questo caso i familiari desiderano che la guarigione sia legata al ruolo che si sono presi, e in questo modo antepongono questo ruolo al funzionamento scientifico della cura.

Una persona dipendente, per sua natura, tenderà a rifuggire le cure come se dovessero togliergli la libertà che ritiene di avere (e che ha perduto) di utilizzare la sostanza, e cercherà di manipolare anche i familiari, anzi per primi i familiari, in maniera da convincerli che in realtà non c’è bisogno di cure, non c’è malattia, e con il loro aiuto ne potrà uscire.

La persona dipendente cioè richiama i familiari a ipotetici ruoli di salvataggio, sostegno, supporto morale, appoggio economico, e quant’altro, come se da questo dipendesse il destino della malattia. I familiari forniranno soldi, aiuto, si adopereranno per trovare un lavoro, una sistemazione etc perché questo gratifica loro, fa loro pensare di poter essere decisivi, pensiero comprensibile di chi vuole sacrificarsi sperando che ne valga la pena.

Tuttavia, questo tipo di movimenti intorno alla persona dipendente altro non fanno che assecondare le spinte della persona dipendente, che fa intendere in un modo per agire invece in un altro.
Nella co-dipendenza vera i familiari si sentono traditi e ingannati, per poi tornare immediatamente a ripetere gli stessi tentativi, anche decine di volte, comportandosi come se all’ennesimo tentativo la probabilità di successo finalmente fosse alta, anziché pensare esattamente il contrario.

In questo girotondo in cui “persona dipendente” e familiari si tengono per mano, ballando sulla musica suonata dal cervello dipendente, si perdono i connotati fondamentali della malattia e si fissano idee sbagliate sulla natura della malattia:

a) che le ricadute sono episodi a sé stanti, ognuna con i suoi perché e le sue dinamiche;

b) che si può sempre tornare indietro e annullare la malattia o presunta tale con un colpo di coda, uno scatto di orgoglio, o toccando il fondo;

c) che la cosa più importante è dimostrare di essere “puliti” o di “ripulirsi”, e non di riuscire a proseguire un trattamento che prevenga le ricadute.

Si possono descrivere alcune situazioni:

Famiglia che para e nasconde

E’ un comportamento tipico di famiglie con collocazione sociale medio-elevata e discreti mezzi economici, intaccati ma non consumati per effetto della dipendenza. In questi casi le famiglie reagiscono alternando momenti più drammatici con ricoveri, disintossicazioni e condanne/estromissioni da casa a momenti di rientro, di pentimento e “seconde possibilità”. Solitamente la famiglia spende sia nella prima fase (in cliniche, ricoveri) sia nella seconda fornendo di nuovo alla persona auto, moto, soldi, appartamenti, vacanze, rendite etc. come se questo tipo di “iniezione” economica dovesse prevenire la ricaduta. L’effetto è esattamente l’opposto. Inoltre, nella prima fase, in cui teoricamente la persona si è curata, la cura è guidata dalla persona, che sceglie quelle più rapide e quindi meno utili e affidabili, o per niente indicate. Di fatto, la persona percepisce che la famiglia vuole fornirgli nuovamente fiducia e mezzi se accetta di sottoporsi a qualche “prova” che cotruisca un’illusione di guarigione: non secondo quanto dicono i medici specialisti, ma un trattamento qualsiasi, che decida la persona stessa quello che accetta, piuttosto che niente, basta che dimostri di fare uno sforzo. Dal punto di vista della dipendenza, è semplicemente la persona dipendente che sta guidando la situazione da un momento di esaurimento di mezzi ed energie verso una nuova ricaduta, con nuovi mezzi e nuova fiducia.

 

Famiglia che rimette sulla retta via

E’ un comportamento più conflittuale, più tipico di famiglie con valori legati al contribuire tutti al reddito, ostile a qualsiasi forma di parassitismo o lassismo, anche in presenza di mezzi che lo consentirebbero. La famiglia pensa che toccando il fondo la persona dipendente si rimetta in riga, e focalizza la sua attenzione su dimostrazioni pratiche di indipendenza economica, di attitudine al lavoro, e soprattutto sulla misurazione dell’astinenza come fosse un dato indipendente dal resto. La richiesta tipica è quella di poter accertarsi quotidianamente dell’uso di droghe, perdendo di vista il fatto che nelle persone dipendenti l’uso di droghe o alcol “si vede” sicuramente dal tipo di vita che uno conduce, dalle capacità di adattamento e di relazione. Per favorire questo le famiglie trovano lavoro alla persona, di solito subito, cioè quando è prematuro e spesso deludente, e non riescono a concepire la gradualità del passaggio dalla dipendenza alla normalità, attraverso ricadute sempre più brevi e lievi. Di solito il lavoro prende il posto della cura, cosicché la persona ricade in quanto priva di cura e la famiglia reagisce con un rigetto e un atteggiamento di biasimo totale. Di fatto, questo tipo di dimostrazioni, sforzi ed espiazioni sono inutili nella prevenzione delle ricadute, e anzi possono bruciare risorse che sarebbe meglio utilizzare quando la persona è in grado di dare dimostrazioni, cioè dopo i primi mesi di cura.

 

Famiglia che investe in rispetto e fiducia

E una modalità incentrata sul rapporto personale con la persona dipendente, che vorrebbe ostacolare la tendenza alla bugia e alla manipolazione facendo leva sul rispetto e sulla fiducia. Le persone forniscono in genere mezzi, ma soprattutto li concepiscono come una dimostrazione di amore, di fiducia, per poi ritenersi traditi e offesi quando la ricaduta puntualmente si verifica. E’ un comportamento tipico del partner, che vorrebbe recuperare la situazione tramite il suo ruolo, quindi a livello emotivo-affettivo, ovvero secondo l’idea “se mi ami devi smettere”. In questi casi si arriva al trattamento già tardi, quando cioè i rapporti sono logori, o minati, ma i familiari continuano a desiderare che la guarigione, stavolta con l’aiuto del dottore, si realizzi all’interno della famiglia, cioè come funzione dell’affetto per il familiare, e per ripagarne gli sforzi. I familiari di questo tipo non riescono ad esempio ad accettare la gradualità della risposta, per cui le ricadute, anche se in singoli giorni, sono vissute come tradimenti totali. Il cambiamento negli atteggiamenti “bugiardi” e “clandestini” della persona non è concepito come un processo graduale, poiché è riferito alla qualità morale della persona, e non alla malattia, per cui il familiare ritiene che se la persona volesse essere “buona” lo farebbe da un giorno all’altro, mentre se comunque ogni tanto ricade significa che non ha preso alcuna decisione morale.

 

Famiglia che si sente in colpa e ripaga

Situazione più rara, e più tipica di famiglie con membri unici (madre) che in qualche modo si sentono in colpa per la situazione della persona dipendente, ritenendo che almeno in parte la sua infelicità dipenda da loro scelte sbagliate. In questa visione la persona dipendente “non ha colpa”, ma in realtà è un modo per risolvere la questione della colpa da dare a qualcuno, cosa che se ci fosse una corretta idea di malattia non sarebbe necessaria. Anziché dar la colpa alla persona, e attendersi che la ripaghi, atteggiamento comune a tutti gli altri modelli, in questo caso la dipendenza è vista come la conseguenza di un errore della famiglia: la persona è stata trascurata, abbandonata, non compresa e come conseguenza cerca aiuto nella droga o nell’alcol. E’ una visione che di solito fa capo a sensi di colpa già presenti nella famiglia, e su cui la persona fa leva perché capisce che in questo modo avrà nuove risorse e fiducia. E’ tipica di famiglie in cui c’è storia di depressione o di disturbi dell’umore in generale. E’forse la forma più innocua e passiva di co-dipendenza, se non per il fatto che comunque le risorse “ripagate” dalla famiglia quasi come indennizzo ad una situazione di cui è responsabile finiscono per alimentare la dipendenza stessa.

 

In un programma terapeutico per le dipendenze, da alcol o droga, le famiglie sono spesso coinvolte già prima dell’inizio della cura, per un meccanismo di adattamento “patologico” alla malattia della persona cara.
Un aspetto importante è quello di riorganizzare la famiglia intorno alla cura, evitando che certi ruoli inutili o controproducenti rimangano a ostacolare le regole scientifiche del programma.

Inoltre, è necessario evitare che la sofferenza dei familiari persista o aumenti seguendo vie che sono di per sé inutili o addirittura controproducenti. Il ruolo di co-dipendenza va quindi sostituito con un ruolo di anti-dipendenza, costruito intorno ai meccanismi e risultati della cura e non alle ideologie o ai ruoli emotivi dei singoli.
La famiglia, rinunciando a pensare di essere la fonte del problema o della soluzione, può invece dare un contributo più costruttivo e misurabile alla soluzione del problema.

Data pubblicazione: 04 luglio 2011

Autore

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 presso Università di Pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 4355.

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