Adolescenza rapporto genitori figli.

Incomprensione tra genitori e adolescenti: prospettiva psico-sociale e possibilità di intervento

Prospettive psico-sociali dell'adolescenza: come intervenire nei casi di incomunicabilità, incomprensione e lontananza nel rapporto tra adulti e adolescenti.

Nota: Nel presente articolo verrà usato il maschile per indicare sia gli adolescenti che le adolescenti.

Cos'è l'adolescenza?

L’adolescenza è la fase di transizione che si colloca tra l’infanzia e l’età adulta; inizia con la preadolescenza, intorno ai 10-12 anni nelle ragazze e tra gli 11-13 nei ragazzi, che è una fase di assestamento nella quale la personalità comincia a strutturarsi e si creano i fondamenti per una definizione di sé.

Il preadolescente comincia ad affrontare problemi inediti, differenti da quelli dell’infanzia, correlati al cambiamento corporeo e all’identità personale e sessuale. Dal punto di vista fisico, cominciano a manifestarsi alcune modificazioni corporee, che fino al termine dell’adolescenza diverranno sempre più accentuate.

Nei ragazzi le modificazioni corporee implicano in particolare:

  • l’aumento della massa muscolare e della statura,
  • il cambiamento della voce.

Mentre nelle ragazze i cambiamenti riguardano:

  • l’arrotondamento del seno e dei fianchi,
  • la comparsa del menarca.

Spesso, tali cambiamenti, fanno il loro ingresso prima che dispongano delle risorse psicologiche e sociali per poterli affrontare ed elaborare.

Dai 14 anni in poi, l’individuo transita nell’adolescenza, che termina più o meno intorno ai 17-20 anni, durante la quale acquisisce gradualmente competenze cognitive, psicologiche, sociali e relazionali, che favoriscono il progressivo stabilizzarsi della personalità.

L’adolescenza non è un periodo unitario, ma un processo organizzativo all’interno del quale avviene un rimodellamento del cervello, della corteccia, delle connessioni sinaptiche, che produce dei profondi mutamenti biologici, cognitivi, psicologici, sociali e relazionali.

Le trasformazioni in adolescenza

I vissuti del figlio

L’adolescenza in quanto fase di passaggio, dal lato dell’adolescente implica una trasformazione che spesso avviene nella paura, nel disorientamento, nell’incertezza, e che quindi può essere vissuta come una violenza. Essa può essere accettata o rifiutata; spesso accettazione e rifiuto coesistono, generando una forte ambivalenza ed un conflitto interno causato da bisogni, emozioni e desideri contrastanti.

Infatti, è accettata nella misura in cui comunica all’adolescente che sta diventando adulto, che non è più un bambino; pertanto, può sfoggiare con orgoglio un corpo che mostra i segni di ciò. Tuttavia, tali segni si prestano ad essere anche una rappresentazione concreta ed innegabile del suo cambiamento, glielo impongono, mettendolo di fronte alla necessità di doversi confrontare con un corpo nel quale non si riconosce più e di cui deve riappropriarsi.

L’adolescente deve fare i conti con la perdita, la perdita di perfezione del proprio corpo infantile, la perdita dell’illusione di bisessualità, la perdita del bambino che era e la conseguente identità che gli apparteneva per andare incontro allo sconosciuto.

I vissuti dei genitori

Dal lato dei genitori tale trasformazione comporta ugualmente paura e smarrimento, perché devono confrontarsi con nuove sfide educative, verso le quali non si sentono preparati e sono a loro volta chiamati ad affrontare la perdita e il cambiamento che la crescita del figlio impone.

Infatti, l’adolescente sconosciuto subentra al posto del bambino conosciuto e appare loro estraneo, diverso da quest’ultimo per molti aspetti, uno dei quali è la sessualità. L’adolescente, infatti, fa la sua comparsa in un corpo sessuato, colpendo i genitori nel profondo, non solo nell’intimo pudore della loro sessualità, ma nell’illusione di purezza che attribuivano al proprio figlio in quanto bambino. Il loro figlio adolescente, presentendosi nel corpo sessuato, li obbliga a riconoscerlo come essere inserito nella sessualità, provvisto di organi per la riproduzione sessuale.

Questi ultimi, inoltre, devono confrontarsi non solo con la perdita del bambino, che attraverso la propria condizione di dipendenza li poneva nella posizione degli accudenti, ma anche con nuovi bisogni dell’adolescente, con nuovi desideri, con la separatezza che egli gli impone. Infatti, l’adolescente, oltre che sessuato appare separato, cioè attraverso i suoi modi, il suo atteggiamento a volte incomprensibile, il suo linguaggio, i suoi vestiti, mostra l’incolmabile distanza dall’adulto.

Per approfondire:Ginecologia dell'adolescenza in pillole

Distanza ed incomprensione nel rapporto tra genitori e figlio

Per l’adolescente i genitori cessano di essere dei riferimenti importanti e lasciano tale posto ai coetanei. Si sentono così scacciati via dalla posizione che occupavano e confinati in un’area grigia indefinita, quella delle persone irrilevanti, messe in discussione per la bontà o la sensatezza delle loro scelte, dei loro comportamenti e punti di vista.

L’adolescente non percepisce in genere il dolore dei genitori, in quanto, da un lato si rifiuta di farlo, dall’altro, loro lo nascondono dietro alla rabbia, alla disapprovazione o alla delusione.

In particolare, quest’ultima genera in lui rabbia, alimentando così un circolo vizioso di recriminazioni più o meno esplicitate, in quanto, gli rimanda la colpa e il senso d’indegnità nell’aver disatteso le loro aspettative e il loro inconsapevole mandato.

Oltre a ciò, il ragazzo si ritiene in diritto di rivolgersi al gruppo dei pari, che in adolescenza ha una funzione fondamentale, in quanto funge non solo da supporto emotivo e affettivo, ma da strumento di crescita e rifornimento narcisistico, in grado di validare la propria immagine.

I genitori spesso si spaventano di fronte ai tentativi di separazione che il figlio attua da loro e vi rispondono con paura, rifiuto, opposizione, cercando di esercitare un controllo su di lui, nel tentativo di limitarne l’indipendenza.

Mentre l’adolescente, nel tentativo di costruirsi una propria identità ed esistere come persona al di là dei genitori, attua volontariamente dei movimenti di separazione/individuazione da loro, seppur alternandoli ad altri di regressione, scaturiti dalla paura e dall’incertezza; i genitori, spesso, subiscono tale separazione, in quanto per loro è difficile pensare al proprio figlio come completamente separato, così come pensarsi totalmente divisi da lui.

Per approfondire:Generazione Z a rischio dipendenze

Il bisogno di custodire il proprio sé

Un altro aspetto del figlio che i genitori non comprendono o che rifiutano è il bisogno di segretezza, in quanto si sentono messi da parte; avvertono la distanza che questi inserisce tra sé stesso e loro come un’imposizione, una volontà di tenerli ai margini della propria vita, rimandandoli che da essenziali sono divenuti inessenziali, come un troppo.

In alcuni momenti sono quasi un peso o un impedimento al soddisfacimento dei propri bisogni, della propria libertà ed indipendenza.

La segretezza si esprime attraverso il bisogno di tutelare la propria intimità emotiva e il proprio spazio dal loro sguardo indiscreto.

Nel tentativo di fare ciò, l’adolescente diventa spesso oppositivo, evasivo di fronte a domande dei genitori, o a loro tentativi di scoprire cosa fa, dove va, con chi sta. Diventa a volte anche bugiardo, per proteggersi dall’invasione dei genitori e custodire il proprio Sé.

La bugia mina la fiducia di un rapporto già difficoltoso, inserendosi in esso e creando una rottura, mentre l’evasività pone i genitori in uno stato d’allerta e preoccupazione; li spinge a diventare ancora più incalzanti, a domandare di più, a pretendere risposte.

Conflitti interni dell’adolescente

L’adolescente oltre al bisogno di segretezza, ha quello di comprensione e riconoscimento, anche dai genitori. Tali bisogni contradditori lo portano a desiderare comprensione e al tempo stesso non desiderarla.

Infatti, se non ricevere comprensione significherebbe non essere capito, accolto, non trovare un proprio posto nella mente dei genitori, riceverla significherebbe essere privato del suo segreto, della sua verità più intima, essere violato, invaso, quindi divenire nudo ai loro occhi.

L’adolescente si muove dunque, nell’ambivalenza di bisogni e desideri contrastanti; ambivalenza che lo rende incomprensibile ed esaspera i genitori.

Lui è colui che vuole e non vuole, cerca e rifiuta, chiama ma poi non vuole che gli si risponda.

Per questo è abitato dal conflitto interiore, che si esprime non solo tra desiderare e non desiderare comprensione, ma anche tra dipendenza ed indipendenza, desiderio di esibire la propria nuova individualità e desiderio di custodirla, spinta all’autonomia e spinta alla regressione, desiderio di essere considerato un adulto e desiderio di essere considerato un bambino, desiderio di rimarcare la propria sessualità e desiderio di negarla.

Per approfondire:Adolescenza: periodo confuso e contradditorio

La caduta dei genitori

I genitori per l’adolescente decadono dalla loro posizione; passano dall’essere mitizzati, considerati onnipotenti, all’essere messi in discussione. Anche la loro parola subisce un declassamento; da verità assoluta ed inconfutabile diviene un punto di vista relativo, discutibile, che può essere messo in forse.

I genitori si rivelano persone che possono fare scelte discutibili, che possono avere comportamenti differenti da quelli che lui si aspetterebbe, che commettono errori e che deludono. Insomma, persone.

L’adolescente può attribuire ai presunti sbagli dei genitori il desiderio di separarsene, non riconoscendolo come un desiderio inevitabile, che prescinde da tutto.

Lo svelamento dei genitori come persone, se da una parte libera l’adolescente dalla soggezione nei loro riguardi, aprendo dinanzi a lui un mondo che si affaccia su molteplici relazioni e possibilità, dall’altra provoca in lui rabbia e risentimento perché lo fa sentire tradito. Gli rimanda la percezione che i genitori abbiano voluto mostrargli un’immagine falsata della propria persona.

I genitori, d’altra parte, si sentono spodestati ingiustamente dal loro ruolo, rimossi dalla posizione di chi non solo esercitava l’autorità, ma aveva un posto insostituibile.

Aspetti sociali dell’adolescenza

Le ripercussioni sul rapporto genitori-figli

Se nella pubertà avviene il passaggio dalla condizione fisiologica di bambino a quella di adulto, nell’adolescenza avviene l’attraversamento dallo status sociale di bambino a quello di adulto.

Di conseguenza, a differenza della pubertà, ha delle caratteristiche che la rendono soggettiva e non generalizzabile, in quanto determinata anche dal contesto familiare, sociale e culturale.

Margaret Mead, un’antropologa, ha condotto uno studio sulle adolescenti dell’Isola di Samoa, che si differenziano in maniera sostanziale da quelle occidentali, mettendo in luce che l’adolescenza è anche un prodotto culturale e sociale e pertanto gli sconvolgimenti della stessa sono determinati in buona parte dal contesto.

Infatti, le adolescenti da lei osservate e analizzate, appartenevano ad un contesto sociale che si discosta molto da quello occidentale, in particolare per il modo di intendere la vita e le relazioni, per l’atteggiamento casuale rispetto all’una e alle altre e per un approccio privo di significati complessi e carichi di aspettative ed emotività rispetto alla realtà e alle varie situazioni.

È quindi plausibile ipotizzare che la società occidentale odierna, in quanto estremamente complessa, contribuisca a generare un’adolescenza problematica e tumultuosa.

I bambini nascono e crescono in un contesto - essendone plasmati - dove, da un lato c’è la promessa di una vita ricca di possibilità, dall’altro, il prezzo da pagare, che col trascorrere del tempo si rileva sempre più caro ed inesorabile, incastrandosi perfettamente con la complessità della vita, con la concezione di essa, fatta di numerosi interrogativi, questioni, scelte difficili e sofferte sulla scuola, il lavoro, dilemmi come partire o restare, legarsi od essere svincolati dal legame e molto altro.

Nella società occidentale odierna tutto è caricato di significati importanti, dai quali dipende fortemente l’immagine dell’individuo e il valore che questi si attribuisce.

Al contempo, essa è contraddistinta dalla ricerca del successo, del prestigio sociale, del merito ad ogni costo. È progettata per premiare i meritevoli e lasciare indietro coloro che mostrano di non esserlo, condannandoli anche alla disapprovazione o ad un’esistenza vissuta ai margini.

Già da piccoli i bambini imparano a dover essere bravi; la scuola è richiedente, sono oppressi dalle responsabilità e dal mostrarsi capaci. Imparano che sono amabili e apprezzabili a condizione che rispondano a certi requisiti: essere bravi, belli, talentuosi, brillanti, simpatici.

Ciò genera in loro una pressione che li porta a muoversi tra il desiderio di riuscire e la paura di non rivelarsi all’altezza. Tale pressione può generare difficoltà nell’adattamento sociale, psicologico e familiare che vengono riattivate in adolescenza a causa dell’incertezza e dello smarrimento che essa suscita. 

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Internet e nuove tecnologie: risorse e criticità

Spesso i genitori perdono il contatto con la propria infanzia e adolescenza e ciò, da un lato li porta ad imputare ai cambiamenti sociali i comportamenti da loro disapprovati dei figli; dall’altro, e forse anche come naturale conseguenza, acuisce la lontananza tra gli uni e gli altri.

In questa società, uno dei cambiamenti più significativi è stato introdotto con l’avvento di Internet e delle nuove tecnologie, che da progresso sono entrate nel quotidiano, divenendo normalità.

I genitori quindi, che in quanto adulti hanno assistito a tale cambiamento gradualmente, tendono a volte a guardare con turbamento i loro figli che appartengono alla generazione internet, essendo nati in un mondo digitalizzato, e non solo sono naturalmente rivolti alla tecnologia, ma spesso la vivono come una protesi, una propria estensione.

Spesso i genitori stessi, per esigenze personali e lavorative, indirizzano i bambini verso la tecnologia, concedendo loro di giocare al telefonino e di navigare su Internet. Ciò può portare i figli, una volta divenuti adolescenti, a percepire come un voltafaccia la disapprovazione dei genitori rispetto all’utilizzo eccessivo di internet, al distacco e al ritiro in sé stessi, vivendola come un tradimento.

Inoltre, le tecnologie vengono spesso percepite dai genitori come disfunzionali e negative al percorso di crescita. Questi ultimi sono legati a quella che era la loro adolescenza, rispetto alla quale hanno sviluppato risposte educative conformistiche che però non sempre si adattano agli adolescenti di questa generazione. Inoltre, le nuove tecnologie forniscono un’immagine dei ragazzi di oggi come superficiali, distaccati dalla realtà e privi di quei valori ai quali erano affezionati le generazioni che li hanno preceduti.

Tuttavia, i genitori, anziché guardare alle nuove tecnologie come a ciò che sta minando la crescita dei propri figli, potrebbero considerarle anche alla luce di un’opportunità in grado di far acquisire ai ragazzi nuove competenze e abilità sociali, fornendo loro molteplici prospettive presenti e future.

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Da internet alla pandemia

La pandemia, generando una situazione emergenziale difficoltosa che si è concretizzata in scelte adattive e compensative per far fronte alle necessità e alla quotidianità, ha acuito ulteriormente l’allontanamento tra genitori e adolescenti, entrambi presi nel fare i conti con le proprie difficoltà ed esigenze, nel combattere una battaglia silenziosa, all’altro sconosciuta.

I primi hanno a volte tralasciato il malessere dei loro figli, perché risucchiati nella spirale di distruzione del virus, che diffondeva paura, dolore e morte. Perché richiamati a provvedere a necessità economiche e a cercare di risollevarsi da penose consapevolezze. Consapevolezze sulla transitorietà della vita, sulla vulnerabilità, sull’eventualità della malattia e l’ineluttabilità della morte.

I secondi hanno dovuto rinunciare alla loro gioventù, collocarla in un’incerta parentesi, in attesa di una possibile ripartenza.

Il cambiamento inaspettato della pandemia, le chiusure, la didattica a distanza, se da un lato sono stati vissuti come un’occasione per sottrarsi alla scuola, dall’altro hanno avuto il sapore delle occasioni mancate e perdute.

Ai ragazzi, infatti, sono stati negati gli incontri, le prime volte, le amicizie e gli amori vissuti nella spontaneità, nell’immediatezza, al di fuori del rigido controllo esercitato dalle restrizioni.

Alcuni di loro hanno cominciato a manifestare gravi sintomi di sofferenza psichica, quali atti autolesionistici, depressione, tentativi di suicidio, disturbi del comportamento alimentare, magari già presenti e aggravati, che, come conseguenza li hanno portati a riempire le corsie di reparti psichiatrici e di ospedali.

Questi ragazzi sono state vittime di un dolore non riconosciuto, rimasto inespresso e inascoltato, che in un certo senso, ha fatto di loro dei dimenticati.

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L’approccio con l’adolescente

Nell’approcciarsi agli adolescenti, i genitori dovrebbero riconoscerli come individui con dei propri bisogni e desideri, conferendo valore ad essi.

Al tempo stesso dovrebbero muoversi sapientemente tra autorevolezza ed indulgenza, in quanto quest’ultima è fondamentale nella misura in cui, i ragazzi, per crescere hanno bisogno di separarsi, di inciampare, di trovare sé stessi, il proprio posto nel mondo.

Al tempo stesso però, necessitano anche di regole, ed in realtà, sebbene apparentemente le rifiutino e cerchino di oltrepassarle, le domandano, perché esse infondono in loro sicurezza e tranquillità; fungono da direzione tracciata in un percorso incerto, a tratti buio e tortuoso.

I genitori dovrebbero essere sempre sinceri con i loro figli, in quanto questi ultimi fiutano la menzogna; hanno in genere l’abilità di arrivare direttamente nel loro intimo, penetrando all’interno delle loro concezioni profonde, di punti nevralgici dolorosi, di aspirazioni più segrete, paure più sconfessate.

Oltre a ciò, la trasparenza è fondamentale nel rapporto con gli adolescenti anche per divenire in prima persona l’esempio di ciò che a loro si domanda.

I ragazzi, infatti, prestano molta più attenzione ai comportamenti degli adulti piuttosto che alle loro parole.

Il setting psicologico o psicoterapeutico con l’adolescente e la famiglia

Aspetti psicologici e difese

Nel lavoro con l’adolescente e la famiglia, lo psicologo dovrebbe accogliere ogni membro, comprendendo la sua particolare difficoltà, riconoscendogli un suo posto. Quindi, così come l’adolescente dovrebbe trovare il proprio posto, tale posto dovrebbe essere riservato anche ai genitori, i quali dovrebbero essere capiti, aiutati a comprendere emozioni non riconosciute, ad elaborare la delusione connessa alle stesse e al fare i conti con la verità che il figlio è altro rispetto a sé.

Tale verità attraverso la propria evidenza, può cogliere i genitori impreparati, lasciandoli nello sconcerto e nella delusione. Essi, infatti, dopo aver investito sul figlio, averlo ritenuto parte di sé e maturato aspettative e desideri, spesso nati da propri desideri insoddisfatti riposti in lui, devono fare i conti con l’amara rinuncia degli stessi.

Al tempo stesso, i genitori, dovrebbero essere aiutati ad esplorare nuove modalità di interazione col figlio, fondate su movimenti interni di individuazione-separazione che sono chiamati a compiere anche dalla propria posizione.

Tale cambiamento dovrà essere il frutto di una consapevolezza e un’accettazione profonda, che può portarli a riconoscere il figlio come individuo con dei propri bisogni e desideri, nelle sue difficoltà e fragilità, tipiche dell’età, per instaurare con lui una relazione di rispetto e comprensione reciproca.

L’adolescente dovrebbe essere ugualmente accolto e supportato dallo psicologo; aiutato a tollerare i conflitti interni, la rabbia, la paura e le altre emozioni che fanno il loro ingresso in maniera inaspettata e tumultuosa. 

Lo psicologo non dovrebbe cedere alla lettura colpevolizzante e riduttiva che inquadra i genitori come coloro che hanno sbagliato, che non hanno saputo fare o essere.

Tale lettura può essere in parte plausibile, in quanto i genitori hanno delle responsabilità educative verso il figlio e spetta a loro guidarlo, sostenerlo, proteggerlo, insegnargli a vivere; mentre il figlio è ineluttabilmente assoggettato a loro, soprattutto negli anni di sviluppo.

Tuttavia, rischia di inchiodare i genitori nella posizione dei colpevoli, senza possibilità di scampo, inducendoli a difendersi da ciò, a vivere la genitorialità come qualcosa di mortificante.

È fondamentale discostarsi dalla colpa, in quanto, oltre che evocare la condanna, può produrre un dolore insopprimibile che aderisce alla propria persona, e avvicinarsi alla responsabilità, domandarla con fiducia e attesa, perché capace di promuovere ciascun soggetto come agente del proprio cambiamento e come conseguenza, in parte, anche di quello degli altri membri.

È altresì importante riconoscere all’adolescente le difficoltà che vive o il disagio di cui è portatore, utilizzando una lettura globale che interpreti l’adolescenza come una crisi familiare, nella quale, ciascun membro è, dalla propria posizione, disorientato, spaventato, costretto a confrontarsi con la perdita.

In alcuni casi, il disagio dell’adolescente può essere così insopportabile da sconfinare in condotte devianti, in comportamenti lesivi per gli altri o per sé stess, compromettendo gravemente l’armonia e l’equilibrio familiare. In tali casi è possibile intraprendere una terapia familiare con uno psicoterapeuta sistemico- relazionale al fine di riparare le relazioni tra adolescente e genitori, vissute come dolorose o insostenibili, intervenendo sulle dinamiche familiari disfunzionali.

L’orientamento sistemico-relazionale infatti ridefinisce il sintomo del figlio, considerandolo non più alla stregua di un malessere individuale, ma come l’espressione profonda e complessa di un dolore irriducibile che affligge l’intero nucleo. Tale orientamento, infatti, nasce come terapia del legame, dall’assunto che l’individuo è inserito in esso. Quindi il legame è qualcosa che fa parte intrinsecamente di egli, da cui non può slegarsi o svincolarsi.

Oltre ai casi in cui l’adolescente si discosta dalla domanda dei genitori, dai loro desideri e aspettative, generando con ciò lontananza, dolore, rabbia e delusione da parte degli stessi, vi sono casi nei quali è presente un iperadattamento nella relazione. L’adolescente in tali casi può aderire completamente alle aspettative dei genitori, assumendo su di sé i loro desideri come se fossero i propri.

In molti casi il figlio non è consapevole della discrepanza che intercorre tra i suoi desideri e quelli dei genitori, mentre in altri, tale consapevolezza è presente ma negata. Ciò avviene come difesa dall’angoscia di deludere, di perdere l’amore genitoriale. L’adolescente iperadattato sceglie più o meno consapevolmente di combaciare perfettamente con il mandato genitoriale, perché si percepisce troppo vulnerabile e al contempo si sente minacciato dalla separazione, così cerca di contenerla facendo coincidere quanto più possibile i suoi genitori a sé stesso, al fine di limitare l’inevitabile scarto dovuto alla differenza.

In altri casi sono i genitori ad adattarsi al figlio, ai suoi desideri e comportamenti, come difesa dall’angoscia di perdere il suo amore.

Anche i genitori, e forse soprattutto loro, possono vivere come una minaccia o un attentato al rapporto la separazione del proprio figlio, cercando di limitarne gli effetti attraverso la compiacenza, l’eccessiva indulgenza o tolleranza, svestendosi di ogni autorevolezza. Possono così spogliarsi del loro ruolo, vissuto come troppo scomodo e minaccioso, per mettersi nella posizione degli amici, al fine di ridurre la lontananza tra loro e il figlio.

Anche in tali casi è presente un malessere, un dolore più silenzioso e meno visibile che si cela nell’eccessivo adattamento, il quale può essere erroneamente ritenuto una positiva conformazione, un giusto adeguamento che favorisce un buon rapporto d’intesa, mentre in realtà è la manifestazione di un’angoscia inelaborabile dovuta alla paura della perdita del legame o del cambiamento.

Lo psicologo in tali casi dovrebbe saper riconoscere tale malessere ed intervenire per favorire l’espressione di desideri, aspettative, comportamenti sia del figlio che dei genitori, rassicurando sia gli uni che l’altro sulla sicurezza che la separazione non implica la perdita del legame d’amore, ma un passaggio, per lo più inevitabile, che si affaccerà su una crescita del rapporto.

Nel lavoro con i genitori e l’adolescente, lo psicologo dovrebbe riconoscere le difese messe in atto dagli uni e dall’altro. L’adolescente spesso tende a difendersi ponendosi in netto contrasto con lo psicologo, che in quanto adulto rappresenta ciò nel quale egli non si riconosce e pertanto rifiuta. Inoltre, non crede nella parola, vuole mettere le distanze non solo tra sé e lo psicologo, ma anche tra sé e il proprio mondo interno, che gli appare doloroso, spaventoso, ingovernabile. 

Quindi, anche rispetto al supporto psicologico, può porsi in atteggiamento di rifiuto, opposizione o sfida, manifestandolo mediante la riluttanza e la squalifica, ma anche attraverso una passività che lascia poco spazio alla collaborazione.

I genitori invece, possono difendersi sminuendo le manifestazioni di malessere del figlio a causa di un bisogno insopprimibile di svuotarle dei loro significativi più drammatici. Spesso, quindi, si rifiutano di riconoscere la realtà, ma non perché non vogliono, ma perché non possono; non riescono cioè a sopportare il pensiero che il proprio figlio stia soffrendo.

Infatti, la sofferenza del figlio, per i genitori, può essere così dolorosa da non trovare un posto nella loro mente, divenendo irrappresentabile.

Spesso si riscontrano delle differenze tra adolescenti maschi e femmine nell’espressione delle emozioni dolorose, che contribuiscono a diversificare il percorso psicologico.

I maschi tendono a sviluppare per difendersi dall’angoscia un’autostima ipertrofica, che cela una vulnerabilità profonda. Esprimono per lo più la rabbia attraverso l’aggressività rivolta all’altro, che quindi si può tradurre anche in litigi violenti con i genitori.

Lo psicologo in tali casi dovrebbe per lo più fare un lavoro di contenimento ed espressione della rabbia in un contesto protetto, che aiuti ciascun membro ad esprimerla costruttivamente e accettarla dall’altro senza viverla come un assalto o esserne distrutto.

Le femmine dirigono l’aggressività generalmente verso la propria persona, abbandonandosi a vissuti depressivi e al ripiegamento su di sé. A volte, quando sono in preda di un dolore insopportabile, ricorrono ai tagli sul corpo, come tentativo di esteriorizzare la sofferenza, o come richiesta d’aiuto più o meno esplicita.

Il corpo per le adolescenti diventa il luogo del dolore e dell’espressione di angoscia e vissuti intollerabili. Infatti, anche i Disturbi del comportamento alimentari (come bulimia nervosa, binge eating, anoressia), che tendenzialmente insorgono durante l’adolescenza, costituiscono un attacco al corpo, un attacco alla sessualità, alla femminilità. Un attacco al proprio sé, a quello situato tra l’infantile e l’adulto.

Lo psicologo dovrebbe aiutare la figlia ad esprimere questa sofferenza mediante la parola e i genitori a riconoscerla, nominarla, accettarne l’esistenza, non solo per lei e nella sua realtà esterna ed interna, ma anche dentro di loro, conferendole un posto.

Il lavoro con gli adolescenti è incentrato sull’espressione dell’emozione anche nei casi di passaggio all’atto. Il passaggio all’atto può essere definito un insieme di azioni e comportamenti impulsivi e aggressivi, attuati per la difficoltà a gestire emozioni spiacevoli quali rabbia, frustrazione e sofferenza, che vengono così evacuate.

L’evacuazione si costituisce come una difesa che consente loro di estromettere emozioni dolorose, che costituiscono qualcosa su cui non riescono a riflettere e che è difficile da trattenere, di cui pertanto cercando di liberarsi.

Lo psicologo dovrebbe aiutare l’adolescente ad esprimere le proprie emozioni, favorendo il passaggio dall’azione alla parola e mostrandogli al contempo che è possibile tollerare le emozioni dolorose. Mostrandogli che né le proprie emozioni dolorose, né quelle degli altri, possono distruggerlo.

Negli adolescenti spesso il dentro e il fuori si mescolano, divenendo un tutt'uno indivisibile. I loro processi di pensiero sono investiti da sconvolgimenti, turbamenti, disorientamento e confusione e pertanto finiscono col riversarsi ineluttabilmente sui genitori.

Gli adolescenti sono rinchiusi nel proprio egocentrismo; oscillano tra la tendenza a concepire il mondo come un luogo che deve nutrire il proprio Io e l’altro come qualcuno che deve rispondere ai loro bisogni, e la tendenza a percepire il mondo come un luogo frustrante e l’altro come un estraneo, con bisogni diversi.

Lo psicologo dovrebbe muoversi sapientemente tra il riconoscere le emozioni e i vissuti dell’adolescente e il tentativo di favorirne la relativizzazione, aiutandolo a ridimensionare il proprio punto di vista per includere quello dell’altro e quindi del genitore.

L’adolescente dovrebbe essere responsabilizzato ma non troppo. La responsabilità domandatagli, infatti, dovrebbe essere proporzionata alla maturità, al carattere e alla misura in cui può tollerarla. Tale responsabilità dovrebbe riguardare il comportamento, le scelte, ma anche la responsabilità verso l’altro, e quindi verso il genitore.

Non bisognerebbe pensare che solo ai genitori spetti il compito di comprendere il figlio, ma anche quest’ultimo, con i mezzi e le risorse interne di cui dispone, deve cercare di comprendere i genitori. Comprendere dunque le loro preoccupazioni, difficoltà, responsabilità.

La comprensione che l’uno maturerà verso l’altro potrebbe essere funzionale non solo a costruire un rapporto e una sintonizzazione emotiva, ma anche a favorire un incontro autentico, fondato sulla conoscenza profonda e libero, per quanto possibile, da recriminazioni, colpevolizzazioni e tutte quelle parole divenute così opprimenti proprio per essere state pronunciate troppe volte, o nessuna.

L’adolescente attraverso il suo rapporto con i genitori potrà essere sostenuto da questi e dallo psicologo, nel processo di costruzione della propria identità personale, e rassicurato sulla certezza che potrà tornare al nido familiare, a quel porto sicuro da cui si allontana.

 

Bibliografia

  • Adolescenza in Samoa, Margaret Mead (Giunti Editore, 2007)
  • L’età tradita, Matteo Lancini (edizioni Erickson, 2021)
  • Adolescenti navigati, Matteo Lancini (edizioni Erickson, 2015)
  • Aprire il discorso. Supervisione psicoanalitica, istituzioni e clinica dell’adolescente, Francesco Giglio (Franco Angeli, 2018)

 

 

Data pubblicazione: 08 marzo 2023

Autore

mariateresaditaranto
Dr. Mariateresa Di Taranto Psicologo

Laureata in Psicologia nel 2020 presso Università Uninettuno.
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Marche tesserino n° 3432.

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