L'abuso di peperoncino potrebbe arrecare danno alla memoria

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Dr. Mauro Colangelo Neurologo, Neurochirurgo

La demenza è ben noto quanto sia una malattia con effetto devastante sulla qualità della vita delle persone anziane e la cui frequenza tende ad un preoccupante aumento; nel 2010 ne è stata stimata un’incidenza nella popolazione mondiale pari a 35.6 milioni, cifra che dovrebbe raddoppiare nel 2030 in ragione di 7,7 milioni di nuovi casi ogni anno.

Nel nostro Paese, secondo le stime più recenti del Ministero della Salute, sono circa 1 milione le persone affette da demenza.

La comunità scientifica internazionale è pertanto costantemente protesa ad individuare efficaci modalità di prevenzione, mettendo a fuoco attraverso indagini epidemiologiche i fattori di rischio per la demenza sinora identificati e costituiti da dieta, basso livello culturale, ipertensione, obesità, fumo, depressione e inattività fisica.

Un team internazionale di ricercatori, condotti da Ming Li, Professore di Epidemiologia delle malattie croniche alla School of Health Sciences, University of South Australia in Adelaide, ha di recente pubblicato su Nutrients 201911(5), 1183; https://doi.org/10.3390/nu11051183 un nuovo studio cooperativo, dal titolo High Chili Intake and Cognitive Function among 4582 Adults: An Open Cohort Study over 15 Years, nell’ambito dei fattori dietetici implicati nella demenza.

Contrariamente ai risultati di indagini precedenti, che esaltavano gli effetti benefici del peperoncino ponendolo anche come fattore di stimolo della funzione cognitiva, da questa nuova ricerca emerge che un suo elevato apporto dietetico sarebbe associato ad aumentato rischio di declino cognitivo.

Il peperoncino è una delle spezie più usate al mondo e la sua componente attiva è la capsaicina, responsabile del suo gusto piccante, che esplica un’azione complessa inibendo lo stress ossidativo vascolare ed attivando il metabolismo dei grassi; è inoltre dotata di effetto antidolorifico ed è per questo utilizzata nella preparazione di creme analgesiche.

Per questa ricerca sono stati utilizzati i dati della China Health and Nutrition Survey (CHNS), basato su una coorte di 4582 adulti (età 63.4 ± 7.7), seguiti dal 1989 al 2011, che sono stati sottoposti ogni 3 anni a test cognitivi, utilizzando uno score di memoria e di calcolo nell’intervallo da 0 a 27.

Nell’intero periodo di osservazione, durato 15 anni, è stato calcolato il quantitativo totale di peperoncino consumato dai partecipanti sia fresco che secco. Scopo dello studio è stato di stabilire l’associazione longitudinale fra l’assunzione cumulativa di peperoncino e la funzione cognitiva, anche in relazione al BMI ed all’ipertensione, raggruppando i soggetti in relazione al suo consumo quotidiano: 1-20 grammi, 20-50 gr. e >50 gr. (50 gr. corrisponde a due cucchiai).

I dati della ricerca hanno evidenziato che i consumatori del terzo gruppo (peperoncino >50 gr/die) presentavano rispetto ai non-consumatori un coefficiente di regressione per la funzione cognitiva globale pari a −1.13 (95% confidence interval [CI], −1.71 - 0.54; P =. 001).

Aggiustando i risultati in relazione ad età, sesso, attività fisica, apporto di grassi, alcool, tipologia di dieta, BMI, diabete, ipertensione e fattori sociali (livello culturale, economico e collocazione geografica) l’associazione fra assunzione di peperoncino e cognizione non è variata.

Nel complesso, i soggetti >50 gr./die hanno esibito un rischio doppio di impoverimento della memoria rispetto ai non-consumatori (rapporto di probabilità [OR], 2.12; 95% CI, 1.63 - 2.77), rischio maggiore fra coloro con un peso corporeo normale comparato con quello di soggetti con un alto BMI.

Benché studi precedenti abbiano illustrato che l’assunzione di peperoncino sia inversamente proporzionale al rischio di ipertensione e di aumento del peso corporeo, questo beneficio non si traduce secondo Ming Li in un miglioramento della funzione cognitiva.

Il nuovo studio, oltre il dato epidemiologico, non fornisce una plausibile spiegazione del meccanismo, che potrebbe risiedere in un’azione neuro-tossica della capsaicina sui fattori neuro-trofici di derivazione cerebrale (BDNF), che esplicano un ruolo importante nella sopravvivenza dei neuroni e pertanto sulla memoria di apprendimento.

Amy Loughman, del Food & Mood Centre, Deakin University, Melbourne, Australia, appare scettica sui risultati della ricerca, che ritiene siano da interpretare con molta cautela e senza generalizzare, anche considerando che il gruppo più esposto al rischio era caratterizzato da una assunzione straordinariamente alta di peperoncino e che debbano maggiormente essere considerate altre co-varianti rappresentate da altri fattori.

 

Data pubblicazione: 04 agosto 2019

11 commenti

#1

Caro Mauro, plaudo al tuo impegno nel divulgare argomenti di ricerca scientifica sempre interessanti.
Su l'argomento trattato mi sento però di essere d'accordo con la Amy Loughman e con le ragioni del suo scetticismo.
L'assunzione del peperoncino è vastissima nella popolazione mondiale e, a parer mio, lo studio di cui ci dai notizia non è sufficiente a "colpevolizzare" il peperoncino .come fattore di rischio per le demenze, anche perché la quantità che si assume con la dieta è davvero irrisoria.
Un caro saluto

#2
Dr. Mauro Colangelo
Dr. Mauro Colangelo

Caro Giovanni,
grazie del commento appropriato e...salace. Sono anch'io dell'opinione della Loughman e comunque credo che noi Europei siamo ben lontani da un uso così esagerato di peperoncino, che invece nei popoli dell'Est asiatico tende ad essere infinitamente più generoso. Ho ritenuto di propagare l'articolo, con la debita avvertenza critica al suo epilogo, principalmente per indicare quanto alta sia l'attenzione della ricerca nel cercare di individuare i fattori che possano essere implicati, anche in misura non determinante, nei processi di coinvolgimento del potere cognitivo.
Un caro saluto

#3
Ex utente
Ex utente

https://www.giovanigenitori.it/tutto_food/capsaicina/

Buongiorno Dr. Mauro Colangelo, vorrei aggiungere il mio commento riguardo al meccanismo di azione della spezia peperoncino.
Per prima cosa devo dire che è davvero strano la mancata indicazione nello studio della proprietà principale attuata dalla capsaicina, la quale è la sostanza che rende piccante il peperoncino.
La capsaicina, come altre sostanze presenti nei vegetali, agisce nella Vasodilatazione, dunque assumendo giornalmente pochi grammi, per esempio massimo 5-10 gr. di peperoncino, aumentiamo la circolazione Cerebrale e Globale, determinando quindi un Beneficio per il Cervello e per gli altri Organi del Corpo.
Però, se come indica lo studio la Persona esagera mangiando 50 grammi di peperoncino quotidianamente, invece della Protettiva Vasodilatazione può insorgere la molto rischiosa VASOCOSTRIZIONE CEREBRALE,
provocando in questo modo la riduzione del flusso di sangue e ossigeno al Cervello, causando conseguentemente la Neurodegenerazione, in seguito alla quale si riscontra l'impoverimento progressivo della Memoria e delle altre Facoltà Cerebrali.
Può essere vera questa mia indicazione Dr. Mauro Colangelo?
Cordiali Saluti
Pino Fronzi

#4
Dr. Luigi Laino
Dr. Luigi Laino

Concordo con Giovanni ed aggiungo.
Continueremo ad usare i buonissimi peperoncini calabresi, prodotto pieno di anticianosidi, antiossidanti, capsaicina (antinfiammatorio naturale) vitamine e caratteristica imprescindibile della dieta mediterranea..
Grazie Mauro per questa news che ci fa ben capire come su tanti temi della salute e dell'alimentazione spesso si possa creare confusione.
Luigi Laino

#5
Ex utente
Ex utente

https://www.bioblog.it/2009/07/30/vasocostrizione-cerebrale-nel-morbo-di-alzheimer/20097782

La Vasocostrizione Cerebrale probabile causa della Malattia di Alzheimer insorge soprattutto a causa delle Inattività Mentale e Fisica, e, nel caso dello studio sopra indicato, la Vasocostrizione Cerebrale può verificarsi anche alimentandosi eccessivamente con la spezia peperoncino, che contiene la capsaicina, la quale agisce nella vasodilatazione.
Dunque, l'eccessivo apporto di capsaicina, per esempio, come indica lo studio 50 grammi o più, può determinare la Contrazione dell''Endotelio dei Vasi Sanguigni del Cervello, causando in questo modo la Vasocostrizione Cerebrale e conseguente Neurodegenerazione.
Questa probabile realtà si può dimostrare con un'analisi del sangue per riscontrare la possibile presenza in quantità importante della Endotelina, la quale è un peptìde Biomarcatore delle Vasocostrizioni.
Saluto e Ringrazio MedicItalia e il quotidiano LA STAMPA
Pino Fronzi

#6
Dr. Mauro Colangelo
Dr. Mauro Colangelo

Grazie caro Luigi del tuo gradito commento, che condivido...con gusto! Grazie anche a lei, sig. Pino, che continua in ogni occasione a asserire le sue pittoresche quanto fantasiose interpretazioni patogenetiche.

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