Christiane F dopo lo zoo di Berlino – miti popolari e vere cure nella dipendenza da eroina

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

È uscita da poco l’intervista a Christiane F., la persona oggi adulta che ispirato un film epocale sulla dipendenza da eroina, allora dipinta in forma apocalittica, come un tunnel senza ritorno, a meno di un miracolo. All’epoca dei fatti l’eroinismo, come epidemia, era qualcosa di teoricamente noto (già come morfinismo nei decenni precedenti), ma assunse proporzioni dilaganti, e soprattutto colpì la fascia giovanile.

In quegli anni la droga era una “peste” contro cui si ci profuse in sforzi educativi e pubblicità progresso, ammettendo anche la diffusione di film crudi e realistici come Christiane F – noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, ispirato all’omonimo libro-autobiografico.

Una ragazza tredicenne diviene tossicodipendente nel contesto della sua adolescenza, e dopo cicli di tentativi fallimentare per uscirne, si conclude con l’uscita dall’eroina e la comunità. L’autrice lascia in sospeso, augurandosi che la cosa finisca lì.

Era l’unica nota stonata in un libro che, per il resto, descrive in maniera realistica la dipendenza da eroina. All’epoca dei fatti le cure per la dipendenza da eroina esistevano, messe a punto alla fine degli anni ’60 in USA. Per primi i tossicodipendenti “criminali” da tener fuori dal carcere, che affollavano e in cui tornavano nonostante qualsiasi sforzo riabilitativo. Dopo furono trattati i tossicodipendenti in generale, con la messa a punto di uno schema di trattamento metadonico noto come “blocco narcotico”.

http://www.rockefeller.edu/labheads/kreek/pdf/S2_Dole_TransAssocAmPhy_1966.pdf

Purtroppo invece è solo nei tardi anni 80 che in Europa iniziano i primi trattamenti, e iniziano in maniera confusa, contaminata da credenze e pregiudizi che ancora reggono, e spesso imperano. La cura metadonica è messa a punto come trattamento a lungo termine. Non consiste in disintossicazioni, e non vi sono disintossicazioni indicate come terapie per bloccare il destino della tossicodipendenza. L’approccio “vado in comunità” rientra in una di quelle risposte ai bisogni psicologici delle famiglie e della società, che vuole pensare ad un problema ambientale, che si risolve con amore, educazione e rigore, diversamente miscelati.

La ricerca medica ha invece negli anni documentato in maniera sempre più dettagliata le alterazioni persistenti che l’eroina, così come altre sostanze, produce nel cervello umano, così da spiegare i comportamenti degli eroinomani, e la tendenza cronica alle ricadute dopo intervalli lunghi o brevi di quiete.

Nel frattempo ci fu anche l’epidemia di HIV/AIDS. Chi a quei tempi era già in trattamento metadonico risultò protetto. Studi condotti anni dopo mostrano un effetto “scudo” del trattamento sul rischio infettivo, non solo HIV. Non era uno scudo contro l’infezione in sé, che si sappia, ma semplicemente il fatto che chi si curava si drogava meno, o per niente, e smetteva una serie di comportamenti a rischio, finché rimaneva in cura.

La stessa cosa, per inciso, avviene per l’overdose. Questo evento, meno probabile in chi è in fase di uso continuo, è ancora meno probabile in chi è in cura a dose efficace (per un effetto farmacologico del metadone che ostacola gli effetti dell’eroina – da qui l’espressione “blocco narcotico”). Lo stesso rischio invece impenna in chi smette le cure, o esce da ambienti protetti (carcere, comunità, ospedale) senza la protezione della cura, perché al momento della ricaduta (preannunciata) l’organismo è pienamente sensibile agli oppiacei, e il desiderio torna in maniera prepotente.

Christiane F rispecchia esattamente il punto di vista di un eroinomane curato più o meno bene, anche se tardi, che si è fatto un’idea non corretta della sua malattia. O comunque, che al momento di raccontarla, non può fare a meno di mettere in evidenza la parte meno rilevante, e invece in fondo quella fondamentale.

Dopo la fine del libro, Christiane F non ne uscì assolutamente, ricadde. La sua tossicodipendenza non è andata via, semplicemente ad un certo punto ha iniziato a “usare metadone”, come dice nell’intervista. Non specifica a che dose, o altri dettagli tecnici. Tutto il succo della storia è qui. Il problema si ferma per la cura metadonica. Per raggiunti limiti i età succede invece un’altra cosa, e cioè il passaggio all’alcol. Molti lo affiancano all’eroina, poi finiscono soltanto alcolisti.

Le ultime due domande sono la sintesi di ciò che manca allo standard per curare la tossicodipendenza. La prima cosa è la consapevolezza del problema.

http://www.vice.com/it/read/intervista-christiane-f-zoo-berlino

Perché non hai mai smesso di drogarti?

Non ho mai voluto smettere, non conoscevo altro nella vita. Ho deciso di vivere una vita diversa dagli altri. Non ho bisogno di un pretesto per smettere.”

 La risposta è molto più semplice. Christiane F ha smesso di drogarsi quasi subito. Da lì è divenuta tossicodipendente, che è diverso dal “drogarsi”, e riguarda una determinata droga, non in generale “le droghe”. Curarsi non significa sviluppare un odio per le droghe, questo è un problema culturale o personale, non la cura di una malattia. Non ha smesso di drogarsi di eroina in quanto tossicodipendente da eroina.

In che condizioni di salute sei adesso?
Uso il metadone. A volte mi faccio una canna. Bevo troppo alcol. Il mio fegato mi sta per uccidere. Ho una cirrosi causata dall'epatite C. Morirò presto, lo so.

Ha quindi smesso invece. Da quando si cura, verosimilmente anche quando in passato si era curata, magari poi smettendo di prendere il metadone. Verosimilmente, stando ai dati sulle dosi, assume dosi basse (le dosi medie italiane sono 50-60 mg/die per esempio), inefficaci a estinguere il desiderio. Tanto che nel tempo questo in parte è ridotto, ma in parte prosegue come legame con l’alcol. Questo legame purtroppo produce danni progressivi, fino alla cirrosi.

In conclusione, la storia di Christiane F è una parabola che descrive benissimo l’eroina, e quello che accade dopo il libro non è raccontato perché fa meno clamore, e non è ben capito. E’ la storia di una cura, che andrebbe spiegata e applicata bene, perché fortunatamente funziona. E’ anche la storia di tante credenze o pratiche diffuse quanto ingiustificate, che vanno soltanto dietro alla dipendenza, senza accorgersene. Finte cure che semplicemente usano gli spazi tra le ricadute, come se la riabilitazione tenesse lontana la ricaduta, che poi invece si verifica.

La riabilitazione conosciuta passa attraverso la cura farmacologica (adesso non soltanto con metadone) e non è una cura morale. Così come non lo sono la cura della depressione, del panico, del diabete e dell’appendicite. Sconfiggere la dipendenza non significa disintossicarsi, cosa che Christiane fa mille volte da sola nel libro. Significa prevenire il decorso, le ricadute, e l’effetto che hanno sulla vita della persona.

Si è in tempo fino in fondo. Anche in cirrosi e con un fegato trapiantato, perché anche su quello ci sono dati che indicano come le cure siano fattibili. Il primo passo è stare a lungo dentro la fascia protettiva della terapia, che fa da scudo contro tutto ciò che il destino della malattia altrimenti ha in serbo per il malato.

Data pubblicazione: 07 dicembre 2016

42 commenti

#1
Utente 430XXX
Utente 430XXX

Buongiorno, ho letto volentieri questo articolo molto interessante e scritto in maniera ineccepibile.

#2
Ex utente
Ex utente

Buonasera DR,
Condivisibile parola x parola tranne le ultime tre rigo,sono e sostengo la scienza ma ricordo e sottolineo , parafrasando Einstein, che l'uomo ha inventato la bomba atomica ,ma nessun topo al mondo costruirebbe una trappola x topi.
Buona serata.

#3
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Allora non ha capito niente dell'articolo. Se considera la cura una trappola, non ha capito niente dell'articolo, della cura e soprattutto della malattia.

#4
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Il problema è che tutti condividono tutto, si compiacciono, ma poi quando arriva il punto fondamentale, cioè dare le medicine, e prenderle, allora iniziano i problemi. L'unica ragione per cui una malattia curabilissima rimane invece difficile da gestire è che i malati sono per loro natura resistenti a prendere le cure (e fin qui si può capire, perché è in parte dovuto al loro stato), che i medici sono resistenti a darle (e questo non si può capire), e che gli altri sono favorevoli a non farle fare e a farle smettere, in buona o in cattiva fede. E credono che sia in questo la soluzione. Nell'errore la soluzione.

#5
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Quindi o uno sostiene la scienza, o dice che le cure sono una trappola per topi. Questo modo di fare di dire "io condivido" per poi dire esattamente il contrario, come se niente fosse, è privo di senso. Perché se il suo pensiero è che dalla cura non si esce più, peggio che dalla malattia, ripeto, non ha proprio idea di cosa sia la malattia (e non importa se parla per esperienza, anche Christiane F della sua malattia non ha capito granché, anche sapendola raccontare benissimo).

#6
Ex utente
Ex utente

Innanzitutto buongiorno ,l'errore sta nel presupporre più di quanto nn sia necessario.dico soltanto che la cura e' necessaria fino ad un certo punto per nn rischiar che si confonda la cura con la malattia .perché molti persone entrano al sert nell'adolescenza e nn ne escono più ,why? Perché utilizzeranno le medicine come sostituti delle droghe e ne escono dipendenti .molto probabilmente saran i sert che nn funzionano come dovrebbero ed ha ragione quando dice che nn comprendo.... l 'esperto e' lei io mi limito ad osservare la realtà.

#7
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

La malattia è cronica-recidivante per definizione.
I sert non funzionano come dovrebbero, è questo il punto, e infatti lo scrivo. Dosi insufficienti e terapie brevi. Migliaia di persone che passano la vita a cercare di togliersi il metadone e non riprenderlo, anziché cercare di prenderlo il prima possibile, a lungo e a dose efficace.
Purtroppo quando anche molti medici non operano secondo questi principi di scientificità, le cure non possono che essere inesistenti, raffazzonate.
La dose di 50 mg media non è casuale, è quella che i malati scelgono da soli, se devono decidere loro. Quanto basta per l'astinenza, o per stare in equilibrio senza rendersenen neanche conto di come funziona, e quando basta per poter sentire ancora l'eroina se vogliono, anche qui come se fosse questo il problema (per loro non è più questo).

Quelle che lei descrive ai sert, non sono le cure così come sono state messe a punto. Sono cure mediamente fatte male. E si vede.

#8
Ex utente
Ex utente

Nn esiste un protocollo che i medici dovrebbero seguire e gli interessati sapere ?

#9
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Certo che esiste, come per tutte le altre malattie. Esistono le linee guida dell'organizzazione mondiale della sanità, le linee guida delle società scientifiche, manuali dedicati alla cosa (di un paio sono co-autore), e migliaia di articoli ormai, anche italiani. Tanto è vero che gli studiosi italiani sono anche invitati a esporre i propri dati all'estero.
Il problema è che la Sanità non è sempre organizzata per dare il meglio. In psichiatria sicuramente non è così. Se intendeva se esiste un protocollo vincolante per i medici che fanno questo mestiere...no, ognuno fa sostanzialmente come gli pare. Si va dalle terapie ben fatte, all'omissione totale della terapia.
Deve tener conto che i pazienti psichiatrici non sono come altre categorie, non è detto che vadano a chiedere la terapia fatta bene, anzi a volte le soluzioni proposte sono né più né meno quelle che propongono i pazienti, che quindi sono anche convinti di chiedere cose sensate. Dosi insufficienti, metadone per poco, se si usa è per l''astinenza, comunque è solo un aiuto e niente più etc, il problema te lo risolvi quando decidi davvero e così via... insomma tutto il compendio di sciocchezze che da essere una distorsione data dalla malattia arriva ad essere anche quello che pensano i non addetti ai lavori, e quello che spesso propongono e incoraggiano anche gli addetti ai lavori.

#10
Ex utente
Ex utente

Una realtà che vista coi suoi occhi da medico risulta ancor più raccapricciante che vista coi miei. Dichiararsi malato vuol dire pure attendersi una serie di prestazioni se ciò nn avviene significa una sola cosa che nn sempre e' cosa buona seguire una "vocazione"ci son medici che amano il malato e desiderano guarirlo e ci son medici che amano la malattia e desiderano conoscerla.bisognerebbe ricordar quanto il padre della medicina diceva" la cosa più importante in medicina ?nn e tanto la malattia di cui il paziente e' affetto quanto la persona che soffre di quella malattia.


Grazie .

#11
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Infatti la situazione è in un certo senso raccapricciante. Almeno sul piano della corrispondenza tra scienza e pratica,
Bisognerebbe cominciare a considerare i medici e i malati degli esseri umani, e quindi come tali non rifugiarsi in inutili idealizzazioni. Inutili perché aspettandosi il meglio si prepara il peggio.
L'umanità è tutta così, c'è il meglio e c'è il peggio. Non esiste la vocazione a fare del bene o cose del genere, non più nel medico che nell'idraulico. Non esiste la competenza innata, né le persone escono con chissà quali nozioni solo perché hanno seguito un corso di studi.
Le cose vanno costruite sempre e in continuazione, i sistemi vanno costruiti non contando sul fatto che vengano su da soli.
La produzione della salute è la cosa meno quantificabile, e purtroppo chi produce salute è in un sistema che anziché produrre per l'esterno, produce per sé, cioè per chi ci lavora, con il grande mercato parastatale delle strutture sedicenti "terapeutiche" (un'etichetta che chiunque si prende con più facilità di un titolo nobiliare), centri vari, programmi riabilitativi e quant'altro che in realtà non contengono alcun elemento di riconosciuta efficacia, anzi a volte lo escludono a priori (vedi comunità senza medicinali).

#12
Ex utente
Ex utente

Esatto bisognerebbe pure ricordar che l'opulenza fa più danni dell'indigenza questo credo che valga sia x alcuni medici che nn ammettono confronti sia x alcuni utenti che pensano di saperne più dei medici .

#13
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Sa, in tema di confronti, a volte il confronto non sussiste. E il paziente non cerca un confronto, vuole imporre una visione delle cose che al limite non importerebbe, ma importa se è una decisione sulla cura. Le giuste cure non è detto che siano percepite come tali quando le si iniziano, e a volte neanche dopo aver ottenuto i risultati.
Il confronto umano deve esserci, quello tecnico invece non c'è mai. Si spera che il medico sappia quello che fa, come del resto chiunque quando gli chiedi qualcosa.
La cosa poco chiara è che ad un paziente col mal di stomaco serve sapere come prendere la medicina, al paziente psichiatrico a volte serve prenderla. La terapia della tossicodipendenza è semplice, ma è difficile, perché è difficile far arrivare il paziente alla cura, e farcelo stare il tempo sufficiente perché veda i risultati, e poi farcelo rimanere per evitare che li perda quando sta bene convinto che la cosa è finita lì salvo imprevisti o cattiva volontà.
L'informazione in sé è neutra. Un paziente legge cosa vuole, e si convince di ciò che vuole. Poiché la sua malattia lo porta a determinate convinzioni, e ancor prima a determinate decisioni, si convincerà che quello che va a fare è anche la cosa migliore. E in rete troverà chi prende queste sue convinzioni e fa finta che siano un metodo terapeutico. Tipo: disintossicarsi e poi cercare di restare astinenti, un tipo di idea che è il classico "ce la faccio da me", che in alcuni ambienti è visto come il massimo della maturità per uscirne, e invece è il massimo del pensiero indotto dalla tossicodipendenza. Trattare un sintomo come fosse una via d'uscita è un punto morto, ed è la media di quel che accade rispetto a questo tipo di condizioni.

#14
Ex utente
Ex utente

"trattare un sintomo come fosse una via d'uscita e' un punto morto" ...molto probabilmente ,mettendola su un piano più facile da comprendere sarà come nella lingua italiana ,la differenza che esiste tra un complemento di causa e di fine o scopo ,molti lo confondono perché difficili da distinguere cosi come lo si può avere difficoltà nel cogliere la differenza fra mezzo e modo ...e' una linea sottile che fa la differenza sul risultato della guarigione per questo credo che bisogni incoraggiare sia nel diffondere i giusti protocolli per nn incappare in continue convinzioni errate.

#15
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

In letteratura è documentata una cosa. Le convinzioni sono rimaste le stesse. La buona pratica è a macchia di Leopardo.
Basterebbe che sostanzialmente che qualunque medico potesse gestire i pazienti, sulla base di un rapporto fiduciario, e non solo i pazienti in determinate strutture. Le strutture offrono un servizio, non devono monopolizzare il rapporto col paziente.
Quando le questioni sono tecniche le regole purtroppo rendono difficile l'organizzazione, e ignorano la sostanza.

#16
Ex utente
Ex utente

Sa la fiducia normalmente si regala difficile e' mantenerla ,monopolizzare i pazienti e' una pratica che indegna ma purtroppo diffusa ,un po come dire che si puo restare seduti parecchie ore incrociando le gambe ,nella stessa posizione quando si sa che tutto impedisce di cambiar posizione ,ma se una persona sa che dovrebbe rimaner seduto cosi ,con le gambe incrociate gli verranno i crampi ,le gambe si stireranno e si stringeranno in quel punto dove vorrebbe allungarle.i medici che danno il loro contributo in queste strutture dovrebbero ritrovar la passione x il loro lavoro e i pazienti d'altro canto dovrebbero metterci del loro x ritrovar la voglia di vivere e quindi di guarire.

#17
Utente 162XXX
Utente 162XXX

Salve, il suo articolo mi interessa per quanto riguarda il concetto di cura che propone, anche se non sono d'accordo con il fatto che fra le cause della dipendenza lei elimini l'aspetto ambientale. Credo che nel libro quando Christiane F. racconta delle sue vicende personali sta espondendo parte della causa del problema e anche questi aspetti vanno tenuti in considerazione. Non è una questione di morale o di sentimentalismi, ma della salute di una persona fanno anche parte la salute mentale, e per stare bene tutti hanno bisogno di validi legami affettivi. La comunità serve anche a questo, non per soddisfare i bisogni psicologici di una famiglia, ma forse a dare qualcosa che la famiglia non è stata in grado di dare, in alcuni casi, e a investire anche sulla socialità di una persona che isolata non avrebbe possibilità di cura perché abbandonata a se stessa e alla sua dipendenza.
Le sto scrivendo per chiederle se quindi una dipendenza da eroina si può curare soltanto con l'uso a vita del metadone, e se questa si può considerare effettivamente cura, in quanto si passa dall'eroina a un'altra sostanza sostitutiva e che crea danni come qualsiasi altra droga. Per quanto rigarti i sert quindi lei pensa che sbaglino a indirizzare il paziente a scalare le dosi? Le terapie psicologiche e psichiatriche quanto sono efficaci su una dipendenza che dura da più di dieci anni? Vorrei saperne di più e ci tengo a confrontarmi con uno specialista perché vorrei capire meglio dato che un mio caro amico si trova in queste condizioni, oltre a qualche altro amico e conoscente sempre con problemi di dipedenza, e se c'è qualcosa di utile che si può dire sull'argomento che non siano moralismi piuttosto che tacere completamente ed evitarlo a prescindere o evitare in generale di socializzare con persone dipedenti.
La ringrazio.

#18
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Scusi, forse non è chiara una cosa, come non è chiara a moltissime persone. Non "propongo" nessun modello di cura. Questa è la cura che funziona da quando ne hanno messa a punto una, e nei decenni è rimasta valida. Non la vengo a ipotizzare o scoprire io nel 2017, l'hanno messa a punto nel 1968 e confermata negli anni successivi. Ora si studiano altri aspetti, si cerca di migliorare tutta una serie di aspetti tecnici. Il problema principale rimane che in pochi la fanno, e in pochi la fanno presto.
Il fattore ambientale è l'eroina, perché venga la malattia. Perché guarisca, non sono noti fattori ambientali di alcun tipo.
Laddove le politiche sanitarie si sono orientate sul fattore ambientale, come in Russia, le terapie sono sostanzialmente "rieducative", psicoterapiche, riabilitative etc. Risultato: mortalità e HIV in costante aumento.
Mai esistita la terapia "a scalare". La terapia psichiatrica della tossicodipendenza è il metadone o la buprenorfina in un regime a lungo termine: che cosa sono se non terapie psichiatriche ? La tossicodipendenza è una malattia cerebrale, si esprime con sintomi mentali-comportamentali, il metadone o buprenorfina che siano vanno ad agire su aree cerebrali e normalizzano il funzionamento di queste, da qui la loro azione terapeutica.
Altre terapie psichiatriche ? Non ne risultano.
Per fortuna funzionano bene quelle disponibili, il problema è che non sono applicate, e le politiche dei sert e della sanità tendono, alla fine, ad adeguarsi al pensiero dei tossicodipendenti e dell'opinione pubblica.
Il modello terapeutico dominante non è mica quello che funziona, è quello che le persone hanno in testa. Anche in psichiatria tende ad essere così, non solo nelle dipendenze.
La psichiatria è medicina senza che le persone ne siano convinte realmente, da qui tutta una serie di equivoci e di mancate pratiche terapeutiche.

#19
Utente 162XXX
Utente 162XXX

Salve, la ringrazio per la risposta.
Infatti il problema dall'altra parte è proprio questo, tutto quello che si dice (o almeno buona parte) del sert nell'ambiente delle persone che fanno uso di sostanze o di chi gli gira intorno è che non serve a niente, che non disintossica e non guarisce, i tossicodipendenti usano il metadone o il suboxone per rivenderseli ecc... insomma non è una buona immagine e almeno a me, creò molta confusione. Ricordo questo mio amico che aveva questa necessità (...) di scalare il metadone o il suboxone e ricordo che lamentava il freddo alle ossa, brividi ecc... dopo esserci stato per forse anche più di un anno a una dose bassa, finito di prenderlo nel giro di pochi mesi ha ricominciato con le vecchie sostanze. Ma anche mentre lo prendeva comunque faceva uso di cannabis e alcool. Nel frattempo ho letto altri suoi articoli e quello che più contrasta con i miei ricordi è proprio questo, il fatto che si è convinti che il metadone serva per non sentire l'astinenza a livello fisico e basta. Si è certi, che lo si debba eliminare e non la si vede come una cura, ma come una specie di sintomo della malattia che è ancora in corso, e ci si sente malati proprio perché lo si deve prendere. Tutto questo mio interesse deriva fondamentalmente da questa amicizia, non ci pensavo praticamente più perché il soggetto in questione è andato a vivere all'estero da qualche anno ma ultimamente l'ho sentito e mi ha detto che ha perso l'ennesimo lavoro e anche la casa, così adesso è un senzatetto tossicodipendente. Penso che anche all'estero ci siano servizi come il sert, ma se lui aveva deciso di andarci di sua spontanea volontà per curarsi non so perché adesso non lo faccia. Secondo lei c'entra qualcosa l'idea della malattia che prevale? Voglio dire, anch'io se mi dicessero che per curarmi devo prendere un farmaco e poi piano piano smettere di prenderlo, e vedessi nel frattempo che non riesco a stare pulita penserei che per me non c'è speranza, e se devo decidere cosa fare allora è probabile che continui per la mia strada senza più intenzione di migliorare la mia condizione perché già ci ho provato e ho fallito.
L'approccio dei sert italiani con dosi basse a breve termine è lo stesso anche dei servizi in altri paesi o cambia qualcosa, che lei sappia?
La ringrazio ancora,
buona giornata

#20
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Capisco, ma sarebbe come immaginare che una persona depressa abbia una visione corretta della propria depressione. Di solito non la ha per niente. Neanche dopo esser guarito. Neanche sapendo come ha fatto a guarire, si racconta una storia diversa. Lei consideri per esempio tutte le storie di personaggi famosi che "ne sono usciti", testimonianze etc. Sono tipicamente distorte sia sulla diagnosi che sul come uno ne è uscito, ammesso che ne sia uscito e non sia semplicemente tra due ricadute.
Tutto qui sostanzialmente, se ci piace pensare che si risolva pregando, lo Stato finirà per metter su delle chiese in cui si prega per restar lontani dalla droga (e in parte è così), altrimenti se vogliamo una cosa che funzioni, c'è già ma va applicata. Nessuno deve educare nessuno, le persone vanno curate e gestite. Invece si aiutano in mille modi, si rieducano, si salvano, ma non si curano, e quindi il loro destino è deciso dalle leggi della loro malattia.

#21
Utente 413XXX
Utente 413XXX

questa perentorietà nel definire la sola e vera cura il metadone in mantenimento pare nn suffragata al cento per cento. Conosco alcuni tossici, non certo tutti per carità, che una volta fatta una comunità non hanno più fatto uso. Molti operatori di comunità anche, entrati da tossici di eroina, fatto il programma sono rimasti a lavorare lì, messo su famiglia, e sono puliti. Così come ho conosciuto certi frequentatori assidui del sert che imbottiti di metadone in effetti non usano più, poi però se ne stanno a girovagare per le strade con una birra doppio malto in mano nel primo pomeriggio. e intendo conosciuti bene, per davvero, nn per sentito dire. E se in primis molti sert e medici sono riluttanti ad adottare la linea che sposa lei un motivo magari ci sarà? o sono tutti degli idealisti? non è che magari anche lei tende a essere ideologico nel suo punto di vista? anche l'oms, in realtà, non dice certo che il meta a mantenimento è l'unica vera cura, dice solo che detiene la percentuale più alta di gente che non ricade... si, che non ricade nell'eroina, poi se fa altro... ma sempre l'oms riconosce delle percentuali di successo anche ad altri trattamenti.Insomma, come in altre cose della vita, fare di tutta l'erba un fascio a priori è un errore. E non si può neppure paragonare la TD con una banale infezione.. perchè è chiaro che per quest'ultima basta e serve unicamente un certo antibiotico, mentre non è dimostrato che sia così per l'altro problema

#22
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

AH beh, allora se Lei "conosce alcuni tossici...." la scienza va rifondata. Si legga un po' di letteratura.

""non dice certo che il meta a mantenimento è l'unica vera cura, dice solo che detiene la percentuale più alta di gente che non ricade..."

Toh, ed è una malattia cronica-recidivante. E la cura non la fa più essere tale, elimina le ricadute.

Ma per Lei non significa niente, chissà cosa ci capisce di tutto questo discorso, con la sua supponenza. L'oms dice chiaramente che la cura è quella a base di agonisti, migliorata da altri interventi. Ma la cosa ancora più importante sono i dati scientifici, che dicono ancora di più, e ancora più nel dettaglio.

Lei li ignora o li snobba,o li schifa. O non li capisce, che forse sarebbe la posizione più naturale e dignitosa, visto che non si pretende che nessuno comprenda delle questioni tecniche, ma cerchi di comprenderle con calma, non andando in giro a dire "io però ho visto dei tossici...".

Ci faccia il favore, si vede che è nella fase dell'incontinenza di commenti. Per fortuna c'è gente che fa commenti più costruttivi, e per fortuna c'è chi pubblica dati, anziché fare grandi riflessioni per poi approdare a dei luoghi comuni agghiaccianti. E sbagliati, per inciso.

#23
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

"imbottiti di metadone in effetti non usano più, poi però se ne stanno a girovagare per le strade con una birra doppio malto in mano nel primo pomeriggio. "

Certo carissimo, e su questo abbiamo noi stessi pubblicato dati originali spiegando perché. Non "imbottiti di metadone" se mai, ma con poco metadone comunque. Imbottiti di alcol.

Ma a Lei non interessa chiedere e approfondire, nel qual caso le avrei fornito spiegazioni e riferimenti bibliografici, comunque disponibili in rete senza problemi, ma scrive solo per far polemica e millantando una conoscenza delle basi della materia che non ha, e un'osservazione di fenomeni, che poi equivoca come le pare senza fondamento.

#24
Utente 572XXX
Utente 572XXX

"Christiane F ha smesso di drogarsi quasi subito. Da lì è divenuta tossicodipendente, che è diverso dal drogarsi ,"
Buongiorno, non ho capito la sua affermazione, potrebbe chiarirla? Grazie

#25
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Certo. Nella storia la protagonista, dopo una prima fase di uso crescente di eroina, si disintossica da sola a casa insieme al ragazzo, con l'intenzione di uscire dal problema. Subito dopo riprendono, accorgendosi poi che una volta disintossicati possono anche reiniziare con meno soldi, e promettendosi di farlo in maniera moderata, al fine di evitare di finire di nuovo "a ruota". Questo tipo di ragionamento indica che sono già tossicodipendenti, il che è evidente a disintossicazione completata.
I tossicodipendenti sono in grado di smettere. in genere lo fanno molte volte e lo hanno fatto già dopo un primo periodo di uso, quindi "presto". Ciò che non sono in grado di fare non è infatti "smettere", ma controllare l'uso. Infatti riescono a smettere i due protagonisti, e lo rifaranno anche, ma non riescono a tornare ad usare come vogliono, cioè non acquisiscono esperienza, ma acquisiscono perdita di controllo, ogni volta peggio.
Quindi il senso di quella frase era che la tossicodipendenza non è non riuscire a smettere, è non riuscire a proseguire in un certo senso, se coglie il paradosso apparente. E' ricaduta, senza possibilità di uso controllato, che va avanti per fasi di uso, interruzioni, e ricadute.

#26
Utente 162XXX
Utente 162XXX

Lei è un medico specializzato proprio in questo e rispetto totalmente la sua preparazione ed esperienza in merito, perciò spero di non risultare fuori luogo se torno a commentare sotto questo articolo per esprimere le mie idee su un tema che mi sta a cuore perché coinvolge sempre tanta sofferenza. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa.

Penso che il solo approccio scientifico non basti. A distanza di qualche anno, vorrei confermare quello che pensavo e che ho scritto nei commenti precedenti. Nella tossicodipendenza ci sono cause sociologiche che devono essere prese in considerazione, senza eliminare le cure su base medico scientifica e anzi integrarle con gli interventi a livello sociale e politico, che sono da migliorare oppure da cambiare totalmente. Ho letto il libro inchiesta Chasing the Scream di Johann Hari, in cui si studia il tema confrontando i dati di diversi sistemi sanitari che seguono diverse politiche e si studiano le storie reali delle persone coinvolte, seguendo quella che negli anni è stata ed è la guerra alla droga.

In Svizzera da più di 25 anni si somministra eroina legalmente in cliniche controllate, eliminando i rischi dell’HIV, i rischi delle sostanze con cui viene tagliata l’eroina nel mercato illegale e quelli legati alla criminalità. Le persone non essendo più criminalizzate per la loro tossicodipendenza possono lavorare e avere una vita normale grazie a questo sistema. Oggi, in Italia, i soggetti con questo tipo di problema si trovano spesso a compiere reati e ad essere così tagliati fuori da ogni possibilità di ottenere un lavoro e vivere una vita normale. In Svizzera si è visto che tutti i soggetti in cura in un lasso di tempo più o meno variabile consumano sempre meno per poi uscirne totalmente, perché riescono a costruirsi una vita. I casi più difficili diminuiscono comunque l’uso e possono avere una vita dignitosa perché non vengono considerati come rifiuti umani criminali dalla società. Ci sono altri Paesi che hanno improntato dei sistemi al di fuori del proibizionismo, come il Portogallo e l’Uruguay. C’è l’esempio della città di Vancouver dove anche esiste una clinica/albergo dove vengono fornite le condizioni igieniche per fare consumare la sostanza in sicurezza, eventualmente assistenza medica e le stanze per i tossicodipendenti senzatetto. Qui i soggetti possono senza obbligo o pena di esclusione manifestare la volontà di smettere e da lì vengono presi in carico e inseriti in un programma apposito.

La tossicodipendenza è una malattia sociale, le persone che sviluppano una dipendenza spesso hanno avuto traumi GRAVI che nessuno li ha aiutati a superare. Vissuto situazioni in cui sarebbe strano non cercare qualcosa con cui drogarsi.

Chi si droga per divertirsi con gli amici, come con l’aperitivo con il bicchiere di vino, non sviluppa una dipendenza. Le sostanze sono tutte diverse ma non è la sostanza in sé il problema principale. Chi diventa tossicodipendente è chi ha bisogno di fuggire dalla propria realtà e dal proprio dolore. Quando si pensa al tossicodipendente isolato nella sua stanza o per strada a drogarsi, si pensa che sia isolato perché si droga. La verità, però, è l’opposto. Si droga perché già era isolato ed emarginato. E se cerca una sostanza dagli effetti narcotici potenti è perché ha una grande sofferenza da narcotizzare.

Partendo dal presupposto che si tratta di soggetti che hanno bisogno di una mano e che invece vengono criminalizzati per questo, quanta sofferenza si potrebbe risparmiare loro e a chi gli vuole bene se tutte le droghe fossero legalizzate e regolamentate diversamente e attentamente? Come può una persona dipendente curarsi in carcere?

Lo stato perseguita i cittadini che fanno uso di droghe e la mafia gode.

#27
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

No, purtroppo queste sono scientificamente sciocchezze. Vede, il rispetto non è che lo deve a me e ai miei discorsi, se mai alla scienza delle dipendenze, che ha ormai decenni di studi e dati. Purtroppo su questo tema tutti vogliono continuare a sostenere le tesi che fanno comodo ideologicamente.
Lei ha ragione nel dire che i programmi di eroina controllata "statale" funzionano, quel che le è sfuggito, perché non si è interessato alla parte scientifica ma solo a quella ideologica, è che la differenza tra questi programmi e la malattia non sta nella legalità e nel costo zero. C'è una differenza macroscopica tra un soggetto che prende tutti i giorni una dose da iniettarsi fornita dallo stato e in maniera legale, e un tossicodipendente da eroina per via endovenosa "in natura" (droga illegale e con un costo). La modalità del programma terapeutico NON è la tossicodipendenza, è una modalità artificiale, che mantiene una condizione invece utile a fini terapeutici. Forse questo non lo si immaginava all'inizio, ma nei dati finali è evidente. Forse si riteneva solo di fare riduzione del danno, o di fare qualcosa di "politico", invece si è riprodotto un trattamento mediante eroina, che è diverso dal farsi da tossicodipendente. Se uno crede che un tossicodipendente si riconosca dal fatto che per anni si fa in continuazione tutti i giorni, non è esatto. Un tossicodipendente è colui che accumula disintossicazioni, questo è il segno più affidabile del problema, rispetto ad altro. Con questo indizio, se vuole approfondisca. Dati alla mano.

Che non sia una malattia ma una condizione sociale che induce malattia, no. E' una malattia indotta dalla sostanza (solo in certe vie di somministrazione e per certe sostanze), con sintomi uguali indotti dall'intossicazione, e in larga parte con rischi di tipo sociale. La legalizzazione elimina alcuni eventi, non la malattia individuale. Quella resta e pesantemente. Anzi, se da un punto di vista del rischio l'abbattimento dei costi è un modo per tenere al sicuro il malato, per l'aggravamento della malattia no. L'aumentata disponibilità di sostanza induce malattia nella misura in cui induce un uso più intensivo.

Personalmente, feci a suo tempo la tesi a proposito del fatto che la dipendenza fosse una complicazione di altre malattie mentali, cioè la teoria della automedicazione. E' la stessa cosa che dice Lei, ma al posto della società ci metta un disturbo mentale.
La tesi risultò falsa. E anche in questo caso è opinione corrente tra gli psichiatri che i dipendenti si "auto-curino" la depressione o l'ansia, mentre i dati non indicano assolutamente questo, e in alcuni casi lo smentiscono in maniera diretta.

Quindi il concetto è che, se vogliamo continuare a sostenere che la dipendenza in sé non esiste, ebbene questa è la base che ha prodotto il mancato intervento per anni, a terapia già potenzialmente disponibili dal 1970, e tutt'oggi alimenta queste politiche sanitarie errabonde, in cui si vaga alla ricerca di tutti i possibili fattori, senza stringere il bullone laddove si può e si sa. Nel cervello dell'ammalato tramite la terapia disponibile, la quale spegne il desiderio patologico della sostanza, lasciando due cose: quello fisiologico e la libertà di scelta finalmente ritrovata, che così può tenere fermo il desiderio fisiologico come in qualunque persona che valuti se fare o no qualcosa.

mettiamo pure in dubbio i dati, per carità, non esiste un'ufficialità inattaccabile, ma quelli che ha elencato sono luoghi comuni di cui ci si è innamorati fin troppo. C'è di meglio: i pazienti, visitarli, capire da loro come funziona il loro cervello, valutarli, discutere i dati, confrontarsi con le esperienze di altri colleghi nel mondo etc. In questo modo qualcosa si conclude di molto poco ideologico e di molto soddisfacente, quando si riesce a ricostruire una vita.

#28
Utente 162XXX
Utente 162XXX

In base al libro di cui parlavo, che è stato scritto sul materiale di interviste di medici e politici coinvolti in questi programmi e sui relativi studi, i dati mostrano risultati positivi e cioè che l’avere libera disponibilità della sostanza non ne incentiva o incrementa l’uso (un leggero aumento si è avuto solo con i consumatori moderati di cannabis, a fronte di una diminuzione nel consumo di alcol -in estrema sintesi-). I dipendenti da eroina nel caso svizzero manterrebbero le loro abitudini invariate e lentamente diminuirebbero l’uso autonomamente fino ad uscirne. Non ho consultato personalmente i dati ma a meno che non siano falsati alla fonte, i risultati sono positivi. Certamente se sapessi che questi approcci portino ad incentivare l’uso non li considererei validi se non per quanto riguarda l’aspetto criminalità. Questi risultati però sono collegati proprio a una situazione di legalizzazione e non criminalizzazione.

La terapia che descrive, è intesa quindi per durare? Dalla dipendenza non si considera possibile una guarigione (con i suoi tempi) oltre la cura?

Io credo che la dipendenza in sé esista, soltanto non riesco a non credere che non abbia anche e soprattutto fattori sociali a causarla. Fattori sociali che portano a malattie mentali e poi alla dipendenza come diceva in riferimento alla sua tesi. Per esempio maltrattamenti non per forza fisici e abusi da parte di genitori e/o fratelli durante l’infanzia, negligenza, assenza e abbandono in minore età da parte di figure genitoriali e importanti difficoltà economiche che portano a traumi e depressione che approda poi nella dipendenza.

Per ora continuo a vederla così, ma sono sempre interessata ad approfondire, mettere in discussione e comparare. Non ho mai avuto modo di guardare ai risultati delle terapie in Italia oppure di altri Paesi con lo stesso metodo nel dettaglio. Se vuole consigliarmi alcuni studi in particolare li leggerei volentieri, soprattutto quelli che smentiscono questa visione delle cose.

Non ho dubbi che la qualità del suo lavoro e dei suoi colleghi possa riuscire a ricostruire vite, ma mi viene da pensare che magari i pazienti si affidino a lei e trovino nel rapporto medico-paziente la forza, perché il solo fatto che ci sono medici che sono lì per curarli è di per sé qualcosa che ha un valore umano e sociale oltre che scientifico.

La ringrazio per il confronto.

Un saluto e buon lavoro.

#29
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

I dati ! I pazienti !
Altro che interviste ai medici e testimonianze. Il mondo è pieno di gente che scrive libri pieni zeppi di sciocchezze. Non sono quelli che purtroppo aiutano a capire. Ci sono congressi, ci sono studiosi che non scrivono niente e producono dati, e ci sono pazienti da visitare e curare.
Molto più interessante che teorie, che poi, ripeto: sono sempre le stesse, sempre con gli stessi ormai noiosissimi errori.
Purtroppo fa più danni chi vuole aiutare o redimere che la malattia stessa a volte. Perché farlo nel modo sbagliato significa costringere dei malati a delle odissee inutili e a volte paradossalmente più rischiose (come nel rischio di overdose, aumentato dalle disintossicazioni forzate o rapide, o da quelle anche richieste appositamente in centri ultrasupermega da tossicodipendenti di famiglia abbiente o ricchi e famosi loro stessi.

Qui il punto è che nessuno si sogna di dire ancora che i batteri si producono per generazione spontanea. Perché è una nozione ormai assodata da secoli. E invece, quando si parla di "cose" psichiatriche, si fa sempre finta che non ci sia il cervello. Tutto inizia dalla società, dai valori, e da non so cosa. Invece tutto inizia dal cervello e ripassa dal cervello, e spesso termina sul cervello. Come in questo caso.
L'eroinismo ha un suo inizio, che è fisiologico, un suo tramite, che è dettato da una proprietà della sostanza nel cervello umano, e da un effetto, che si esplica sul cervello umano. Il resto sono varianti di una malattia, che malattia rimane perché fa star male chi ce l'ha, al netto della legge e della cultura.

#30
Utente 413XXX
Utente 413XXX

la cosa triste è che nonostante la medicina abbia avuto quasi mezzo secolo di "esperienza" per progredire nello studio (e relativa cura) della tossicodipendenza da eroina, non sia stata in grado di andare oltre alla proposta del metadone il cui concetto terapeutico è semplicemente sedare il malato 24 ore su 24 in modo che non faccia danni, crimini, e cose simili. E pazienza se poi tale soggetto vivrà una vita "a metà", con il cervello ( e il cuore) annacquato da questo miracoloso sciroppo!

#31
Utente 413XXX
Utente 413XXX

Ancor più triste è l'arroganza e la presunzione, fortunatamente solo di una parte della classe medica, con cui si difende questa terapia gettando fango su qualsiasi altra ipotesi di cura. ma sta cambiando qualcosa però, molti sert oggi se non altro offrono più strade per combattere questo demone che si chiama dipendenza da eroina, dalla comunità di recupero, alla semplice disintossicazione rapida con o senza metadone, a un percorso psicoterapeutico ambulatoriale, a un supporto farmacologico relativo a disturbi psichiatrici che spesso purtroppo affiancano la tossicodipendenza, in un rapporto di causa effetto ancora poco chiaro ma molto interessante. Insomma si cerca di modulare la cura, per quanto possibile, sulla base della singola persona, guardata più a 360 . D'altra parte lo richiede proprio la malattia. quello che finalmente si comincia ad ammettere è che il metadone a mantenimento è l'ultima delle spiagge! figlio della vecchia mentalità, oramai superata in ambiente scientifico, che cercava di generalizzare il disturbo della TC e pretendeva di risolverlo con una pillolina, come si suol dire.

#32
Utente 413XXX
Utente 413XXX

dico per ultimo che (poi ho finito): ovviamente l'intervento che garantisca al 100 per cento la non ricaduta non c'è. ma quando la persona trova la strada terapeutica giusta per lei, si dilatano i tempi tra le possibili eventuali ricadute, e nel frattempo ha costruito, ha lavorato, ha vissuto, senza la sedazione metadonica che ti fa andare avanti al 20% delle proprie funzionalità, e quindi reagisce meglio all'inciampo, più efficace e più tempestiva, si rialza e riparte.
Certo, in quei momenti soffrendo. come in tutte le malattie che tendono alla cronicità, quando e se riacutizzano, recano dolore. Viceversa non si può dire lo stesso di tanti di quelli in mantenimento con metadone, magari anche a dosaggi alti, come alcuni Sert (sempre di meno, però) consigliano. Basta fare un giro nell'orario di apertura ambulatoriale per capirlo.

#33
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Senta, queste sciocchezze sul metadone sono stanco di sentirle dire, per poi vedere invece i pazienti, che non hanno niente di quel che lei dice.

Ha detto tutte le solite sciocchezze, luoghi comuni che producono solo morte e ritardo delle cure. Dalla personalizzazione delle cure (concetto antiscientifico: prima la cura standard, poi la personalizzazione, non il contrario !) dalle bugie sugli effetti di un farmaco degni della peggiore propaganda finalizzata all'attività di psicosette e trattamenti truffaldini.

I Sert sottodosano mediamente il metadone (50 mg) cioè lo usano a dosi spesso inefficaci per resistenza di medici e pazienti alla cura adeguata. I dosaggi "alti" non esistono, e chi parla di dosaggi alti non ha studiato, non consoce la farmacologia e sopratutto la clinica.

Lei o scrive in malafede, o non ha capito niente. Si vergogni delle sciocchezze che scrive, una dietro l'altra, che è possibile soltanto se uno, in maniera dolosa, evita di documentarsi su qualsiasi aspetto della questione.

Ripeto, si vergogni non per l'ignoranza che esprime, ma per la tracotanza con cui fa finta che queste considerazioni siano risulta di chissà quale saggezza o esperienza "di strada". Un tossicodipendente alterato dalla sua malattia ragiona tendenzialmente come Lei, per fortuna poi quando si cura diventa lucido e più funzionale al suo benessere.

Adesso veramente basta con gente come Lei che è allergica alla scienza. Viva la sua allergia lontanto da questo blog.

#35
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Lei ha ragione ad avere una cattiva impressione di alcuni Sert in base al giro che c'è fuori, anche se chiaramente se va in un reparto di pneumologia sentirà gente che tossisce.
Ma l'osservazione è giusta. Spesso non sembrano e non sono pazienti curati e fuori dalla droga.
La ragione è che prendono poca cura (metadone o buprenorfina) e per poco tempo.

Il fatto che Lei equivochi completamente la cosa, credendo che ne prendano tanto e che il metadone renda "zombi" esprime, le ripeto, una ignoranza totale della materia e dell'esperienza ragionata su tali conoscenze.

Insomma, chi non ne sa niente non dice cose a caso, magari con dentro qualche osservazione centrata: dice sempre le stesse cose. Bisogna curare la persona, come se il metadone non la curasse.... E come se la malattia non affliggesse la persona. Curare la malattia è il modo di curare le persone ,quando si può. Non disegnare un percorso personalizzato che non riusciranno mai a completare perché ricadono.

Che venga qui a insegnare a me la materia passi, vediamo cosa ha da dire. Magari potevano essere spunti interessanti. Ma queste banalità e questo concentrato di non conoscenza è la solita perdita di tempo. Mi pento di questo inesistente scambio. Non aggiunga altro perché lo cancello, forse anche quello di prima, le sciocchezze alla fine è bene che non abbiano spazio.

#36
Utente 162XXX
Utente 162XXX

"Non aggiunga altro perché lo cancello, forse anche quello di prima"
Volevo solo dire che se per "quello di prima" intende i commenti del 15 e 16 giugno, non siamo la stessa persona ad aver scritto.
Io ho scritto nel 2017 e ora. L'altro utente nel 2019 e ora.
Per quanto mi riguarda penso che abbiamo esaurito la conversazione per quel che era possibile perciò non tornerò a commentare.
Un saluto e buona giornata a lei e all'altro utente.

#37
Utente 413XXX
Utente 413XXX

bene, perfetto. mi permetto solo di osservare che se le cose fossero come dice lei, NESSUN sert e NESSUN psichiatra si sognerebbe di assegnare terapie a scalare del metadone e proporre programmi in comunità, o in generale non avrebbe un approccio così vario alla cura. proporrebbero semplicemente il metadone e basta. qua non centrano le mie competenze gentile signore, io osservo solo la realtà delle cose. mi lascia basito e sconfortato la sua fermezza nel condannare certi punti di vista e fare passare il suo come una certezza, su un argomento che, lo ripeto per la centesima volta, divide tutto il mondo della scienza e anche i servizi dello stato non sempre, anzi quasi mai, seguono la sua filosofia.Non potevo tacere davanti a questi commenti. mi piacerebbe seguire un confronto tra lei e il direttore del sert della mia città, o con uno dei tanti psichiatri che conosco che operano nelle comunità. qua si dovrebbe parlare di scienza, e uno dei rischi principali è che essa venga contaminata da visioni ideologiche. non spetterebbe a me, ma mi costringe a farle presente anche una marea di studi e ricerche che documentano tutti i vari effetti del metadone a lungo termine, e in molti si chiedono se anche solo in base a essi valga la pena di curare la gente in quel modo, così come ormai sembra evidente che, ripeto, poi magari a lei da fastidio riconoscerlo, ma la terapia a mantenimento metadonica è sempre meno utilizzata, vorrà pure dire qualcosa anche solo questo fatto! mi dispiace, ma la questione qui va al di là dei suoi fastidi o delle mie competenze... è troppo importante per chi ha bisogno in questo momento

#38
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

I commenti ultimi, quelli contenenti sfondoni sul metadone.

All'altro rispondo visto che siamo in tema: chiedeva se sono solo i SerT Italiano a dare poco metadone come tendenza. No. C'è una ragione precisa. Se il metadone è gestito come fosse un farmaco antiastinenziale (e allora sarebbe strano continuarlo a lungo) allora l'uso non è quello corretto, e il paziente (specie se lasciato a decidere da sé) lo mantiene a dosi basse, perchè basta per l'astinenza iniziale, mentre salendo non sente più l'eroina se la fa. Per questo lo tiene basso. La terapia metadonica si basa sul meccanismo del blocco narcotico: chi si fa non sente oltre certe dosi, oltre ad avere anche meno voglia di per sé, e soprattutto non può smettere facilmente la cura in tempi rapidi, cosa che tedine a fare chi ha ancora voglia di drogarsi e non riesce più a farlo bene perché il metadone "blocca" l'eroina. Se questa fase di mezzo non è superata, ed è la fase più delicata, la grande maggioranza dei tossicodipendenti si ritrova con il metadone "metti e leva" a dosi basse, e l'eroina che va e viene con quantità variabili, ma sempre con un peggioramento della dipendenza. La dose media dei sert è 50 mg. Non a caso il blocco inizia sopra i 60 mg, mediamente.
All'Estero è la stessa cosa, anzi in alcuni paesi anche peggio, come era da noi prima degli anni '00, cioè credenze in libertà, tipo quelle che esprime l'utente di prima, che hanno accompagnato intere generazioni alla morte puntando il dito contro il trattamento. Lo stesso accade in tutta la psichiatria, ma almeno nei tempi recenti che la depressione si cura è una cosa accettata, sulla tossicodipendenza ci si permette ancora di partire da zero, anzi da sottozero, con discorsi che sono peggio dei discorsi da bar, perché sottendono la volontà di rifiutare il dato scientifico, o di ignorarlo per sostenere che la realtà deve essere diversa.
In ogni caso ci sono nazioni del terzo mondo in cui i trattamenti sono guardati invece con rispetto, poiché si sa bene che soggetti altrimenti incontrollabili sono resi funzionali e pro-sociali attraverso una terapia. Del resto, anche negli USA il movente iniziale a trattarli con terapie metadoniche fu l'immediato beneficio in termini di carcerazione, ordine pubblico e violenza carceraria.

#39
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

No, Il suo ragionamento è sbagliato e ingenuo. C'è pieno di cure non corrette. Perfino le linee guida dellOMS su questo si esprimono in maniera chiara, devono pagar pegno e dire che gli interventi sono utili se finalizzati alla riabilitazione ma sostanzialmente la cura è quella.
Il fatto che esistano centri, professionisti etc che indicano terapie a scalare c comunità è un conto, il fatto che queste pratiche abbiano senso è un altro. La terapia metadonica si fa in comunità anche. Le comunità che prevedono di toglierlo per entrare le definisco anche nel manuale "anti-terapeutiche", perché è come ricoverare i tubercolosi in un sanatorio togliendo però l'antibiotico. Lo scopo della cura della dipendenza non è dimostrare che è bella la comunità o è bello il metadone, lo scopo è ottenere dei risultati scientificamente prevedibili e riproducibili.
Lei di questa materia non sa niente. Se vuole sapere deve documentarsi non con l'ideologia che le piace, ma con un po' di gusto del sapere.
La medicina è piena di pratiche sbagliate, di leggi addirittura paradossali, e gli scaffali delle farmacie sono peraltro piene di zucchero e acqua venduti legalmente come fossero medicinali, salvo poi mettere una precisazione sul fatto che non lo sono.
Se quello che la gente fa fosse garanzia di scienza e di correttezza, si vivrebbe nel mondo delle favole. Lei continui pure a viverci nelle sue fantasie, i malati vivono nel mondo reale con le loro storie e hanno bisogno di star bene. Ovviamente neanche loro sanno le cose e quindi vanno dietro a chi li guida: una guida è la malattia che distorce i loro pensieri su come si ci debba curare, e poi trovano persone che assecondano queste loro convinzioni mettendo a disposizioni appunto tutta una serie di interventi omissivi delle cure vere. In pratica, portare a giro un tossicodipendente per disintossicazioni e riabilitazioni senza farmaci specifici significa organizzare e facilitare il decorso della malattia, che magari spontaneamente è più difficile. Questo modello altro non è che la porta girevole della dipendenza (disintossicazione/scalaggio metadone-astensione-ricaduta), e non è parte delle possibili soluzioni, ma parte del problema.

#40
Utente 413XXX
Utente 413XXX

piccola postilla poi lascio questo spazio triste, lo prometto. mi sorprende che le sia consentito darmi del truffatore o addirittura di un seminatore di morte e ritardi nelle cure, oltre che gli insulti ma quello fa lo stesso, non sono uno permaloso. il fatto è che io riporto solo dei fatti, non lavoro in tale campo quindi non c'è nessuna correlazione tra me e la morte di qualche paziente (sic!) . Insomma accuse e frasi un pò fortine, e solo per aver esposto idee condivise da interi reparti, talmente sciocchezze sono! ho finito cmq, non scriverò più per la sua gioia, e potrà cancellare quello che più la aggrada, l'importante è aver rimesso al centro dei fatti

#41
Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Nessuno le dà del truffatore. Lei si limita a dire cose non vere, però le propaganda purtroppo come se ne avesse contezza. Purtroppo chi legge cose del genere segue a volte segue strade sbagliate, si cura male o non si cura. Lei non ammazza nessuno, non si preoccupi. Ma purtroppo le idee che esprime sono fonte di disinformazione medica, e terminano sulla salute delle persone. Non capisco perché abbia questa vocazione a consigliare e indicare ad altri cose che non sa.
Le cose forti sono le idee espresse da interi reparti, visto che la scienza dice l'opposto. Non le pare ? Oppure hanno la stessa dignità le "idee" che si basano su centinaia di studi dal 60 ad oggi, e quelle di chi porta avanti delle vere e proprie crociate "omissive" delle cure ?
Forti o meno, sono le cose che dice l'OMS anche, intere società scientifiche internazionali, centinaia di autori. Poi sa, se Lei va ad esempio in Russia, le sue idee trovano fortuna: ci si cura con la spiritualità, con l'etica, l'educazione...e soprattutto con alti tassi di mortalità e di diffusione dell'hiv, come risultato dell'assenza totale di cure scientifiche,.
Se è per quello, le ricordo che non molti anni fa lo Stato ha autorizzato senza alcun razionale scientifico cure anticancro soltanto per contentare l'opinione pubblica, con esiti che sono facili da immaginare. E ancora oggi operano medici che insistono con dette cure, naturalmente in assenza di dati, neanche scritti e pubblicati da soli, oggi è anche facile.

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