Reflusso sintomi

Tutto sul reflusso gastroesofageo: sintomi, cause e cura

Revisione Scientifica:

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Dr. Felice Cosentino Gastroenterologo, Chirurgo apparato digerente, Chirurgo generale, Colonproctologo

Per reflusso gastroesofageo si intende quella condizione, molto comune, in cui il contenuto dello stomaco risale in esofago. Una piccola quota di reflusso, liquido e gassoso, lo si può avere anche in condizioni normali, soprattutto dopo i pasti. Nei soggetti sani si possono avere in media 1-4 episodi/ora durante le tre ore successive al pasto.

Cos'è il reflusso esofageo

Per reflusso gastroesofageo si intende quella condizione, molto comune, in cui il contenuto dello stomaco risale in esofago.

Una piccola quota di reflusso, liquido e gassoso, si può manifestare anche in condizioni normali, soprattutto dopo i pasti. Si tratta di un reflusso poco acido, breve e poco avvertito proprio in quanto poco acido: nei soggetti sani si possono avere in media 1-4 episodi/ora durante le tre ore successive al pasto.

Quando, al contrario, il fenomeno diventa più frequente o si accompagna a sintomi, allora si hanno di disturbi e si parla di “Malattia da Reflusso Gastroesofageo” (MRGE).

tutto su reflusso gastro esofageo

Chi colpisce

Il reflusso gastrico ha uguale prevalenza sia nel sesso maschile che in quello femminile e si manifesta preferenzialmente attorno ai 30 - 50 anni. In Italia questa malattia colpisce una persona su 3, in generale nel mondo occidentale incide sul 40 % della popolazione. La probabilità di comparsa del reflusso aumenta con l'aumentare dell'età ed è molto comune anche nelle donne in gravidanza e nei neonati.

Le manifestazioni atipiche

Le manifestazioni atipiche della MRGE comprendono tosse cronica, faringodinia, disfonia (distretto ORL), asma, tosse (distretto polmonare) e il dolore toracico non di origine cardiaca (distretto cardiologico). I pazienti che presentano i sintomi sopra descritti devono arrivare al gastroenterologo solo dopo che gli specialisti del settore abbiano escluso malattie di loro esclusiva competenza. É quindi sempre auspicabile che la diagnosi di reflusso (e di conseguenza la terapia) venga gestita dallo Specialista Gastroenterologo.

Le manifestazioni atipiche del reflusso esofageo hanno certamente una genesi gastroenterologica se si accompagnano ai sintomi tipici del reflusso (bruciore e rigurgito). Pertanto vanno trattate con farmaci antisecretivi, spesso a dose doppia, e per tempi lunghi. Particolare attenzione invece si deve prestare quando i sintomi atipici sono l'unica manifestazione del reflusso. In questi casi, anche in termini di farmacoeconomia, è preferibile sottoporre il paziente a studi di fisiopatologia (manometria e pH-impedenzometria) per arrivare alla diagnosi più corretta, invece che impostare terapie spesso a lungo termine con gli IPP, di scarsa efficacia terapeutica.

Per approfondire:Reflusso gastroesofageo o extraesofageo: quali differenze?

Ernia iatale

L’eventuale presenza di ernia iatale associata al reflusso non modifica i criteri di trattamento delle manifestazioni cliniche legate a questa malattia. Come già detto precedentemente non sempre l’ernia iatale si associa al reflusso come non tutti i pazienti con reflusso hanno un’ernia iatale. In definitiva, ciò che indirizza alla terapia (medica o chirurgica) sono i sintomi da reflusso gastro-esofageo patologico e non l’ernia iatale.

Helicobacter pylori

Quando si parla di patologie acido correlate del tratto digestivo superiore inevitabilmente si parla anche di Helicobacter Pylori. È bene noto che questo tipo di infezione costituisce un cofattore nello sviluppo di tre importanti malattie gastrointestinali: l’ulcera gastrica o duodenale, il cancro gastrico e il linfoma gastrico. L’eradicazione del batterio viene quindi indicata in presenza di ulcere gastriche e/o duodenali, linfoma gastrico, nei familiari di I grado dei pazienti con cancro gastrico e nei pazienti operati di cancro gastrico superficiale. Non c’è, invece, alcun ruolo dell’HP nei pazienti con reflusso gastroesofageo, il quale è legato ad altri meccanismi (ernia iatale, ecc.), per cui l’eradicazione del batterio non deve pertanto far parte dell’abituale schema di trattamento della malattia da reflusso gastro esofageo.

Cause del reflusso

L’esofago ha alle sue estremità, prossimale e distale, due “valvole” (sfinteri) che si aprono al passaggio del bolo, mentre esternamente è avvolto da una tunica muscolare che si contrae e si rilascia ritmicamente (peristalsi) e che facilita il movimento del cibo verso lo stomaco.

Se la valvola inferiore (sfintere esofageo inferiore) si rilascia quando non dovrebbe (rilasciamenti inappropriati) si può avere reflusso gastroesofageo.

Anche la scarsa motilità dell’esofago, che non consente di rimuovere velocemente il liquido refluito, rientra nel meccanismo patogenetico del reflusso.

Il materiale refluito in esofago è in gran parte composto da acido cloridrico, ma a volte può associarsi alla bile di provenienza duodenale.

A volte alla base del reflusso vi è un’ernia iatale che è uno scivolamento dello stomaco in torace attraverso il diaframma. 

Per approfondire:I consigli alimentari per chi soffre di reflusso

Altri fattori che possono favorire in modo diverso il reflusso gastroesofageo sono:

  • Predisposizione familiare e genetica
  • Sovrappeso e obesità, in particolare la deposizione di grasso al “giro-vita”, ovvero alla circonferenza addominale
  • Diabete mellito (a causa del rallentato svuotamento gastrico)
  • Fumo: il fumo favorisce il reflusso con un chiaro effetto-dose: chi ha fumato più di 20 anni ha un rischio del 70% rispetto ai non fumatori
  • Gravidanza: il feto aumentando di volume aumenta la pressione addominale e va a comprimere direttamente lo stomaco.
  • Dieta alimentare squilibrata e scorretta: cibi con grassi animali che rallentano lo svuotamento gastrico. Pasti abbondanti prima di coricarsi. Abuso di alcol, caffe, tè, cioccolato, menta, bevande fortemente acide.
  • Farmaci che infiammano l’esofago, come gli antiinfiammatori non steroidei (FANS), Sali di ferro, di potassio; farmaci che favoriscono l’apertura dello sfintere esofageo inferiore come alcuni ipertensivi, ossia beta-bloccanti e calcio antagonisti; farmaci contro l’ansia e l’insonnia come le benzodiazepine; i broncodilatatori a lunga durata (LABA) usati per asma e bronchite cronica; la terapia ormonale sostitutiva estro progestinica in menopausa.
  • Abitudini di vita: impiego di cinture e abiti troppo stretti. Sport che richiedono sforzi in inspirazione “bloccata” (come il sollevamento pesi).

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Sintomi

I sintomi più frequenti del reflusso gastroesofageo, definiti “tipici”, sono il bruciore (o pirosi) e il rigurgito acido. Il bruciore è riferito alla parte alta dell’addome (anatomicamente definita “epigastrio” e comunemente chiamata “bocca dello stomaco”) ed a livello restrosternale. Il bruciore, che si può accompagnare a scialorrea (aumentata secrezione salivare), si manifesta tipicamente nelle ore dopo i pasti, ma può presentarsi anche di notte quando il paziente è supino. Altre volte tale disturbo può esssere accusato come “dolore” che fa subito pensare ad una causa cardiaca.

In alcuni soggetti, soprattutto nei soggetti anziani, può essere presente una sintomatologia non specifica, solitamente riferita come "cattiva digestione" (dolore-fastidio-tensione nella parte alta dell'addome, sazietà precoce, senso di ripienezza dopo mangiato, nausea, vomito), definita con il termine medico di dispepsia.

Poiché il reflusso può anche superare la valvola superiore dell’esofago (sfintere esofageo superiore) e interessare faringe, laringe, polmoni ne consegue la possibilità di una sintomatologia extraesofagea. I sintomi extraesofagei, definiti “atipici”, possono essere:

  • faringite (mal di gola ricorrente);
  • laringite cronica ed altre affezioni delle corde vocali o delle aritenoidi (polipi, granulomi, ecc.);
  • sensazione di nodo alla gola (sensazione di corpo estraneo e di contrazione alla gola);
  • bronchiti croniche ed asma bronchiale;
  • patologie del naso e del rinofaringe;
  • russamento abituale ed apnee notturne;
  • laringospasmo;
  • dolore toracico non cardiaco;
  • alitosi;
  • erosione dello smalto dentario.

In assenza di sintomi tipici è difficile, a volte, associare tali disturbi al reflusso gastroesofageo e per tale motivo i pazienti non si rivolgono allo specialista per cui la diagnosi è spesso tardiva.

Per approfondire:Reflusso e fibrillazione atriale: esiste una relazione?

Complicanze

Il passaggio continuo di questo liquido in esofago può provocare un danno alla mucosa che si esprime con delle erosioni, ulcere, sanguinamento (con conseguente anemizzazione) o con complicanze più gravi come la stenosi (restringimento del lume) e l’esofago di Barrett.

Esofagite

L’esofagite rappresenta la complicanza tipica della malattia da reflusso e la sua gravità viene definita sulla base della classificazione di Los Angeles, universalmente riconosciuta, che prevede 4 stadi di severità:

  • Grado A. Presenza di una o più lesioni  
  • Grado B. Almeno una lesione mucosa, >5 mm, localizzata nelle pliche mucose, ma senza continuità tra gli apici di due pliche mucose.
  • Grado C. Almeno una lesione mucosa continua tra gli apici di due o più pliche, ma non circonferenziale
  • Grado D. Lesioni mucose estese fino a coinvolgere almeno il 75% della circonferenza esofagea

La maggior parte dei pazienti con sintomi da reflusso gastroesofageo ha un quadro endoscopico negativo (Non Erosive Reflux Disease: NERD) e solo meno della metà dei pazienti presenta un quadro endoscopico di esofagite erosiva (Erosive Reflux Disease: ERD). Una possibile spiegazione di questo è dovuta dal fatto che i Pazienti si sottopongono al controllo endoscopico (peraltro non indispensabile, soprattutto se in giovane età) dopo o durante un trattamento antisecretivo cheè in grado di controllare il danno mucoso nel 70-90% dei casi.

Lo stadio evolutivo delle erosioni sono le ulcere e la stenosi. La stenosi si forma quando le pareti esofagee vengono sostituite da tessuto fibroso diventando non distendibili. Tale reperto oggi si riscontra raramente perché è difficile che un paziente con sintomatologia importante non ricorra agli accertamenti idonei e alla successiva terapia altamente efficace.

Esofago di Barrett

Una complicanza, invece, che si può riscontrare con una relativa frequenza, rispetto alla stenosi, nel reflusso cronico è l’esofago di Barrett. Tale condizione consiste nella sostituzione dell’epitelio squamoso esofageo cellule con caratteristiche più simili a quelle dell’intestino. In pratica è un meccanismo di difesa dell’esofago che si “copre” con una mucosa che è resistente all’acido. Pertanto la diagnosi non può essere solo endoscopica (evidenza di risalita a fiamma di mucosa rosea oltre la giunzione squamo colonnare) ma necessita anche della conferma istologica con evidenza di epitelio colonnare di tipo intestinale cioè con presenza di cellule caliciformi (metaplasia intestinale).

L’Esofago di Barrett, anche se con un’incidenza relativamente bassa (circa nel 2-5% dei casi), può predisporre al tumore esofageo, per cui è una condizione patologica da tenere sotto stretto controllo.

Per tale motivo i pazienti con sintomi da reflusso gastroesofageo di lunga data dovrebbero eseguire almeno una volta una gastroscopia per valutare la severità dell'infiammazione e l’eventuale presenza appunto di un Barrett.

Per approfondire:Cos'è l'Esofago di Barrett?

Diagnosi

La diagnosi della malattia da reflusso è prevalentemente clinica basandosi sulla presenza dei sintomi tipici (pirosi e/o rigurgito) e dopo aver escluso altre patologie con sintomi simili. Sono disponibili comunque alcuni esami specifici per la diagnosi di reflusso gastro esofageo che il medico specialista indicherà per la conferma della diagnosi o per lo studio delle complicanze.

L’esofago-gastro-duodenoscopia

L’esplorazione endoscopica ci consente di valutare lo stato della mucosa esofagea (erosioni, ulcere) ed eventuali complicanze (stenosi, Barrett). Le biopsie possono essere utili per definire le caratteristiche del Barrett, ma anche per escludere altre forme di malattia esofagea (esofagite eosinofila, ad esempio). Raramente è possibile riscontrare un pemfigoide dell’esofago che può simulare un’esofagite da reflusso (con erosioni e fibrina). La gastroscopia, ovviamente, è l’esame che tutti i pazienti devono assolutamente effettuare prima di una eventuale valutazione di correzione chirurgica del reflusso.

La manometria esofagea stazionaria

Studia la peristalsi esofagea, valutando ampiezza durata e coordinazione delle onde motorie esofagee allo stimolo deglutitivo. Valuta inoltre la capacità di rilasciamento riflesso dello sfintere esofageo inferiore. È una metodica fondamentale per escludere patologie motorie dell’esofago, quali l’acalasia e la sclerodermia che possono a volte simulare un reflusso e che costituiscono delle controindicazioni ad una gestione chirurgica del reflusso.

La pH-impedenzometria esofagea/24 ore (pH-IIM 24)

Valuta in modo dinamico nelle 24 ore sia la composizione (acida e non acida) che la natura del reflusso gastroesofageo (gassoso, liquido, misto). È una nuova metodica che ha progressivamente sostituito la pH-metria esofagea/ 24 ore, nella diagnostica del reflusso, divenendone il nuovo gold standard migliorando sensibilmente l’entità del reflusso, la correlazione tra reflusso e sintomatologia, e l’estensione del refluito in esofago prossimale. Per questo ultimo aspetto è di capitale importanza in tutte le manifestazioni atipiche del reflusso, in particolar modo nella sintomatologia polmonare e otorinolaringoiatra da possibili eziologia gastro-esofagea. Permette inoltre di identificare quei pazienti con una cosiddetta ipersensibilità esofagea all'acido. Sono soggetti cioè con un reflusso in esofago ancora nei limiti di normalità ma con un'eccellente corrispondenza tra sintomi e refluito. L'identificazione di questo tipo di soggetti ne consente un miglior approccio terapeutico e gestionale.

La radiografia con bario

Può essere utile per valutare lo stato anatomico esofago-gastrico soprattutto nelle grosse ernie. Tale esame viene richiesto soprattutto in previsione di un intervento chirurgico.

La terapia

L’obiettivo primario della terapia medica per il reflusso gastro-esofageo è il pieno controllo dei sintomi (pirosi con o senza rigurgito) accompagnato dal miglioramento della qualità di vita del paziente.

I farmaci

Per contrastare il reflusso gastroesofageo oggi abbiamo disponibili dei farmaci particolarmente efficaci in grado di ridurre la secrezione acida da parte dello stomaco. Dai più blandi anti-secretivi di un tempo, come gli H2-antagonisti (ranitidina) si è passati oggi ai più potenti inibitori di pompa protonica (IPP): lansoprazolo 15mg e 30mg; omeprazolo 10mg e 20 mg; pantoprazolo 20mg e 40 mg; rabeprazolo 10 mg e 20 mg; esomeprazolo 20 mg e 40 mg. Tali farmaci, in linea generale equivalenti come efficacia fra di loro, riducendo la quantità di acido gastrico disponibile per il reflusso nell’esofago, alleviano i sintomi e permettono la guarigione delle lesioni esofagee, qualora siano presenti. Tali farmaci vanno presi a stomaco vuoto, 30-60 minuti prima dell’assunzione del pasto (si ricorda che è importante non frantumare o masticare le compresse).

Per quanto concerne i farmaci procinetici non c’è alcuna comprovata efficacia a meno che non ci sia anche un’alterata motilità gastrica (svuotamento rallentato). Gli antiacidi e l’alginato, spesso assunti dal paziente sotto forma di automedicazione al bisogno, sono senz’altro utili nell’ottenere un rapido sollievo sintomatico in situazioni occasionali.

Nell’impostare la terapia bisogna tenere conto che è una scarsa correlazione tra intensità dei sintomi e gravità delle lesioni endoscopicamente riscontrabili sulla mucosa esofagea. Nella maggior parte dei casi, quando sussistano lesioni mucose, il pieno controllo dei sintomi si accompagna alla risoluzione delle lesioni, che invece tendono a persistere qualora non si raggiunga l’asintomaticità.

Per approfondire:Reflusso: cosa fare quando la terapia non funziona?

Gli schemi terapeutici

È uno dei capitoli più interessanti e più importanti non sempre correttamente seguito da medici e pazienti. Lo schema terapeutico è diversificato da paziente a paziente in base alla sua sintomatologia, alla presenza di esofagite o di complicanze, oppure per la presenza di disturbi atipici.

Pazienti con sintomatologia recente

Per un paziente con sintomatologia tipica di recente insorgenza di età non superiore ai 50 anni, che presenti disturbi tipici di MRGE (pirosi, rigurgito acido), ma senza sintomi o segni d’allarme quali disfagia, calo ponderale, sanguinamento ecc, è consigliabile iniziare un trattamento con IPP a dosi piene (ossia la dose massima per ogni farmaco), per 4-8 settimane, da ridurre alla dose minima efficace una volta conseguito il pieno controllo dei sintomi.

Questo tipo di trattamento (schema “a ribasso” o “stepdown e che si differenzia dallo schema “al rialzo o “step up” che inizia invece con la dose minima di terapia e che viene aumentata in caso di mancanza di controllo dei sintomi ) che inizia con la dose massima del farmaco è quello maggiormente indicato e seguito in quanto consente una rapida risoluzione dei sintomi (e dell'eventuale esofagite) offrendo i risultati migliori in un tempo più breve ed evitando ulteriori indagini.

Una volta che i sintomi sono completamente regrediti, il trattamento può essere sospeso per valutare il successivo decorso della malattia, ma se i disturbi riprendono precocemente e tendono alla continuità, il trattamento dovrà essere continuato con la dose minima efficace. Nei casi in cui i sintomi riprendono dopo periodi più o meno lunghi di benessere, la terapia con IPP può essere ripresa secondo lo schema “a domanda”, ossia il farmaco viene assunto solo all’eventuale ripresa dei sintomi e per il periodo strettamente necessario alla loro scomparsa (e comunque non inferiore ai 15 giorni).

I pazienti, invece, che non rispondono alla terapia devono essere valutati dallo specialista per ulteriori approfondimenti diagnostici.

Pazienti con lunga storia di malattia da reflusso

Paziente con lunga storia (più di 5 anni) di MRGE, anche se rispondente a pregressi cicli di terapia con IPP e senza segni o sintomi d’allarme, soprattutto se di età superiore ai 45 anni è indicato un accertamento endoscopico per valutare lo stato della mucosa esofagea. La terapia sarà stabilita in base al risultato della gastroscopia che può avere rilevato: 1) mancanza di lesioni esofagee; 2) segni di esofagite; 3) Esofago di Barrett.

1) In mancanza di lesioni esofagee si può formulare la diagnosi di NERD (Non Erosive Reflux Disease, cioè Malattia da Reflusso non Erosiva). La terapia indicata è la somministrazione quotidiana di un IPP a dose piena secondo lo schema “step-down” sino a completa scomparsa dei sintomi. Nei pazienti con NERD ci può essere una minore risposta al farmaco, a causa di una concomitante “ipersensibilità” recettoriale della mucosa o per la contemporanea presenza di una sindrome dispeptico-funzionale. Quindi, se non c’è una risposta efficace al ciclo con IPP è bene valutare l’effettivo ruolo del reflusso acido mediante l’esecuzione di una pH-impedenzometria esofagea. Tale indagine ci darà il dato reale sulla presenza, entità, qualità, estensione del reflusso e una stima della probabilità di associazione tra sintomi e reflusso acido.

2) In presenza di un’esofagite la terapia sarà stabilita in base al grado dell’infiammazione. In presenza di un’esofagite di tipo A e B, sarà prescritta una terapia con IPP per 4-8 settimane, mentre in presenza di un’esofagite di grado C o D il ciclo di terapia sarà prolungato dai 3 a 6 mesi.

3) Nei pazienti con esofago di Barrett la terapia deve essere mantenuta a dose piena indipendentemente dai sintomi che possono anche essere assenti. Il rischio di degenerazione neoplastica nell’esofago di Barrett è modesto e l’insorgenza è lenta per cui, senza allarmismo alcuno, è indicato eseguire dei controlli endoscopici che saranno programmati sulla base del danno istologico e con tale cadenza.

Pazienti con o senza displasia

  • pazienti senza displasia: esofago-gastro-duodenoscopia ogni 2-3 anni
  • Pazienti con displasia di basso grado. Recenti studi hanno dimostrato che la possibilità di evoluzione in cancro della displasia di basso grado è sovrapponibile alla condizione di assenza di displasia. Per tale motivo è ragionevole portare l'intervallo delle endoscopie di controllo in questi pazienti a 2 anni.
  • Pazienti con displasia di alto grado. Revisione dei preparati istologici da parte di un patologo esperto di patologia gastro-intestinale e successiva valutazione clinico-patologica per valutare la strategia di intervento terapeutico (endoscopico o chirurgico).

Per evitare false diagnosi di displasia è importante che i prelievi vengano eseguiti in assenza di lesioni infiammatorie (erosioni/ulcere) in atto. La flogosi attiva, infatti, può favorire artefatti cito-istologici e false interpretazioni per cui è necessario un trattamento con IPP per 8-12 settimane prima di procedere al campionamento bioptico.

Terapia chirurgica

Il numero degli interventi chirurgici per controllare il reflusso gastroesofageo è in netta diminuzione a livello mondiale grazie all’efficacia dei potenti farmaci disponibili che inibiscono la secrezione gastrica. Pur tuttavia ci sono delle condizioni in cui, a torto o a ragione, il paziente (o lo stesso medico) vorrebbe valutare la soluzione chirurgica. Vediamo quali sono le situazioni in cui maggiormente viene richiesta una valutazione chirurgica.

  • Giovani pazienti sotto i 40 anni che rispondono bene alla terapia medica, ma che non sono disponibili, considerando la loro giovane età, ad assumere “a vita” il farmaco. Sono i candidati ideali per l’intervento chirurgico.
  • Pazienti che non rispondono alla terapia medica. È la categoria che meno si può giovare di un trattamento chirurgico. Infatti, molto spesso in tali pazienti i sintomi non sono attribuibili al reflusso, mentre entrano in gioco altre cause: cardiaco respiratore muscoloscheletriche, intestino irritabile, altri disturbi della motilità gastrointestinale, ecc. Si tratta dunque di pazienti che devono essere correttamente studiati altrimenti il fallimento chirurgico è scontato.
  • Pazienti intolleranti alla terapia antireflusso (IPP). Alcuni pazienti possono essere intolleranti (per reazioni avverse del farmaco), in modo parziale o totale agli IPP. Ovviamente, prima di optare per l’intervento chirurgico, bisogna escludere che non ci siano eventuali patologie concomitanti che possano in qualche modo simulare i sintomi della malattia da reflusso (vedi situazione precedente). In alcuni soggetti, inoltre, c’è un mancato o ridotto assorbimento del farmaco per cui è inutile continuare a cambiare molecola.
  • Pazienti con rigurgito persistente. Gli IPP sono in grado di controllare l’acidità gastrica, ma non il rigurgito. Può succedere quindi che alcuni soggetti riescano con gli IPP a controllare i sintomi da reflusso (pirosi, dolore retro sternale, ecc.) ma non il rigurgito che può essere persistente ed invalidante. Tale condizione trova corretta indicazione alla chirurgia.
  • Pazienti con complicanze respiratorie. Un reflusso che superi lo sfintere esofageo superiore può dar luogo ad un’importante sintomatologia laringea e polmonare (laringiti, tosse cronica, asma, focolai broncopolmonari, ecc.) e non sempre la terapia con IPP risulta efficace. Prima di pensare alla soluzione chirurgica bisogna che gli specialisti del settore escludano delle reali affezioni bronco-polmonari (responsabili della sintomatologia). È importante, inoltre, avere la conferma del reflusso “alto” dagli accertamenti strumentali mirati (pH-impedenzometria esofagea)
  • Pazienti con complicanze della malattia da reflusso. Le complicanze che meritano di essere valutate per una soluzione chirurgica sono le stenosi e l’esofago di Barrett. Le stenosi esofagee sono sempre meno frequenti e sono legate ad inefficacia della terapia medica o ad un trattamento non idoneo Prima di decidere per l’intervento chirurgico, bisogna escludere altre possibili cause (motilità esofagea compromessa, come nell’acalasia e nella sclerodermia). Per quanto concerne l’esofago di Barrett, bisogna precisare che la semplice presenza di tale patologia non è un’indicazione alla chirurgia (nell’ottica di prevenzione del cancro dell’esofago), ma tale decisione deve essere presa al fine di correggere il reflusso allorquando il paziente rientra in una delle categorie precedentemente elencate (giovane età, intollerante alla terapia, rigurgiti, ecc.). Ovviamente, l’indicazione chirurgica diventa assoluta in presenza di un esofago di Barrett complicato dal cancro invasivo (ma non per sottoporre il paziente ad una fundopliucatio).

Quanto riferito deve suggerire particolare cautela nel porre l’indicazione alla chirurgia che deve basarsi soprattutto su uno studio adeguato a provare che i sintomi riferiti dal paziente siano effettivamente attribuibili al reflusso. Questo perché l’intervento chirurgico non è esente da rischi o da insuccessi. Inoltre, alcuni pazienti non traggono alcun beneficio altri, invece, non riescono ad abbandonare completamente la terapia medica dovendo far ricorso agli IPP, sebbene in dosi ridotte. Altri infine sono soggetti alle complicanze proprie dell’intervento chirurgico. In definitiva, gli insuccessi della terapia chirurgica sono spesso legati ad una non corretta valutazione della sindrome da reflusso.

In che cosa consiste l’intervento chirurgico

L’intervento chirurgico mira a correggere lo sfintere esofageo ossia quella valvola deputata a regolare il passaggio del cibo nello stomaco e ad evitare i reflussi patologici delle secrezioni gastriche in esofago. L’intervento maggiormente seguito è la “Fundoplicatio secondo Nissen” che consiste nel riportare stomaco e cardias in addome, chiudere la breccia erniaria del diaframma e confezionare una plastica antireflusso a 360° che prevede una porzione di stomaco posizionato “a cravatta” intorno all’esofago (foto).

Intervento di plastica antireflusso: Fundoplicatio Totale

Tale intervento viene attuato con una tecnica mini-invasiva (video laparoscopia) basata sull'inserimento di microtelecamere e speciali strumenti chirurgici attraverso alcune piccole incisioni effettuate sull'addome. Con tale intervento la degenza post-operatoria generalmente non supera le 48-72 ore e nel giro di una settimana il paziente può riprendere le normali attività, mantenendo una dieta morbida per 20-30 giorni ed astenendosi dai lavori pesanti per almeno 2 mesi dopo l'intervento.

Terapia endoscopica

Per superare i rischi e gli inconvenienti della terapia chirurgica, sono state sviluppate nel corso dell’ultimo decennio differenti tecniche endoscopiche per il controllo del reflusso con diverse vie di approccio: terapia iniettiva, radiofrequenza e sutura. Nessuna di queste tecniche, però, ha dimostrato ad oggi di poter competere con l’intervento chirurgico in quanto sono risultate o poco efficaci (radiofrequenza) o poco sicure (tecniche iniettive) o poco pratiche (suture). La terapia endoscopica del reflusso, in attesa di una sua definitiva collocazione, viene al momento proposta all’interno di alcuni protocolli di ricerca.

Prevenzione

Alimentazione e stile di vita

La prima “terapia” è la corretta alimentazione e un adeguato stile di vita che, in caso di un reflusso di lieve entità, possono di per sé essere sufficienti. Mentre nei casi più gravi della malattia, oltre che le regole alimentari, solo un’adeguata terapia anti-secretiva può consentire un efficace controllo dei sintomi e la cura delle lesioni. Ad ogni modo, le norme alimentari costituiscono delle regole che il paziente dovrebbe seguire.

È importante, come prima regola, il “modo” di mangiare che significa evitare di mangiare in fretta mentre è bene masticare lentamente. Infatti, la prima tappa della digestione, avviene in bocca perché la saliva contiene una sostanza l'amilasi salivare (prodotta dalle ghiandole salivari) che opera la digestione dell'amido; inoltre la triturazione e lo sminuzzamento del cibo facilita l'attività gastrica di digestione ed assorbimento dei principi nutritivi.

Per quanto concerne i cibi bisogna tenere conto che un reflusso più intenso può essere causato da determinati cibi che possono stimolare la secrezione gastrica, rallentare lo svuotamento gastrico o anche ridurre il tono della valvola tra esofago e stomaco.

Il latte può essere consumato in quanto, essendo un cibo alcalino, neutralizza l'acidità del reflusso. Da preferire però il latte scremato poiché il latte intero è ricco di grassi, proteine e calcio che aumentano l'acidità gastrica e rallentano lo svuotamento dello stomaco. Quindi, dopo un immediato beneficio si ha una veloce ricomparsa dei sintomi. Lo Yogurt va bene ma, anche per questo alimento, ricordarsi di preferire sempre quelli a basso contenuto di grassi.

Evitare le carni grasse (maiale) e quelle affumicate ed evitare gli insaccati, mentre vanno bene tutti i tipi di pesce (sia fresco che surgelato). Evitare le uova sode o fritte e preferire quelle alla coque.

A rischio i formaggi molto grassi o fermentati (gorgonzola, taleggio, mascarpone e brie) perché rallentano lo svuotamento gastrico, mentre sono più adatti quelli freschi (come ricotta o mozzarella).

È bene evitare (o non esagerare) con la frutta acidula come agrumi, limoni, mandarini, arance, cedro, melograno, ribes e ananas. mentre si possono tranquillamente mangiare mele, more, lamponi, meloni, banane, pere, pesche

Per quanto concerne il “bere” sono da evitare assolutamente i superalcolici, a digiuno. No al vino bianco, meglio un bicchiere di rosso. Limitare l’uso di tè, caffè, bibite gasate, bibite contenenti caffeina, succhi di frutta (arancio, pompelmo, limone, ananas, pomodoro). La menta è "da evitare" perché sembra ridurre il tono della valvola tra stomaco ed esofago. Attenzione, infine, a non assumere bevande troppo calde (the, caffè, tisane, ecc.)

Non esagerare con dolci soprattutto con quelli farciti con creme o cioccolato. Il cioccolato, anche se buonissimo, ha l’effetto di ridurre il tono della valvola esofago-gastrica.

 Evitare l'uso di spezie (cannella, noce moscata e curry) ed evitare fritti e soffritti. Preferire sempre cotture leggere, scegliere quindi una cottura alla griglia e ottima la bollitura e le cotture saltate.

Regole comportamentali

Ecco alcune indicazioni che possono aiutare nella prevenzione del reflusso gastro-esofageo:

  • mantenere il proprio peso forma perché i chili in eccesso peggiorano i sintomi della malattia ed aumentano la pressione addominale (e, quindi, il reflusso)
  • ridurre lo stress e le tensioni che la vita giornaliera comporta;
  • non saltare mai i pasti, ma questi devono essere non abbondanti e frequenti.
  • smettere di fumare: la nicotina ha un effetto ipotonico sul cardias, determina una ipersecrezione di acido cloridrico e riduce la produzione di bicarbonato che ha lo scopo di proteggere la mucosa gastrica dall' azione corrosiva del succo gastrico.
  • bere tanta acqua in modo da diluire gli acidi rendendoli meno efficaci.
  • evitare dopo il pasto di assumere posizioni, come il distendersi sul divano, che agevolano il reflusso, mentre una buona passeggiata facilita il processo di digestione

Decalogo per combattere il reflusso gastroesofageo

  1. Dimagrire se si è in sovrappeso e mantenere il peso forma, privilegiando la dieta mediterranea
  2. Fare attività fisica regolarmente
  3. Evitare di indossare cinture o abiti troppo attillati
  4. Non fare pasti abbondanti, ridurre i cibi grassi, spezie e bevande gasate
  5. Smettere di fumare
  6. Abolire i superalcolici e ridurre il vino (bianco soprattutto)
  7. Evitare il cioccolato
  8. Non coricarsi o sdraiarsi dopo mangiato: attendere almeno due ore
  9. Dormire con il capo ed il busto un po’ elevati inserendo uno spessore (10 cm) sotto le gambe del letto (solo se in presenza di rigurgiti)
  10. Consultare il medico in presenza di sintomi d’allarme (anemia, emorragia digestiva, dolore toracico o disfagia, disturbi notturni, calo di peso).
Data pubblicazione: 07 febbraio 2015 Ultimo aggiornamento: 07 gennaio 2021

Autore

felice.cosentino
Dr. Felice Cosentino Gastroenterologo, Chirurgo apparato digerente, Chirurgo generale, Colonproctologo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1974 presso Università di Padova.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Milano tesserino n° 24617.

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