Stress stomaco chiuso rifiuto del cibo.

Il "peso" delle emozioni - parte 1: quando lo stress chiude lo stomaco

Lo stress è una risposta naturale del corpo a situazioni percepite come minacciose o impegnative. Quando ci troviamo sotto pressione, il nostro organismo attiva una serie di reazioni fisiologiche che possono influenzare il sistema digestivo. Una delle manifestazioni più comuni è la sensazione di avere lo stomaco chiuso. Questo fenomeno può rendere difficile l'assunzione di cibo, portando a una temporanea perdita di appetito.

Stress e alimentazione

Mangiare è uno degli atti più semplici e quotidiani della nostra vita, e tuttavia è anche uno dei più complessi da comprendere. Sotto stress, in molti di noi l’appetito di spegne, come se il corpo si chiudesse in difesa.

In altri, invece, la fame diventa improvvisa e urgente, quasi che un biscotto o un piatto caldo potessero proteggere dalla tempesta interiore.

E quando entra in scena la depressione, il quadro si complica ulteriormente: se per qualcuno il cibo scompare dal radar, per altri diventa un rifugio, un calmante, un impulso difficile da controllare.

Queste reazioni così diverse sembrano in contraddizione tra loro ma, in realtà, raccontano la stessa storia: quella di un corpo che tenta di adattarsi.

Il modo in cui mangiamo nei momenti difficili non dipende soltanto dal carattere o dalla forza di volontà, ma è radicato nella nostra biologia, nella storia personale, nei circuiti del cervello, nel nostro microbiota e persino nelle predisposizioni genetiche.

Analizziamo tre punti di vista del rapporto tra stress e alimentazione:

  1. lo stress che chiude lo stomaco;
  2. la fame che si accende nei momenti di tensione, fino a diventare iperfagia;
  3. come una stessa emozione possa tradursi in risposte diametralmente opposte.

Perché non è il sintomo a definire la persona, ma il percorso che il suo corpo, la sua mente e la sua storia tracciano insieme.

Perché la fame sparisce quando la mente è in allerta

Quando pensiamo allo stress, immaginiamo tensione, pensieri veloci, magari un cuore che batte più forte.

Più raramente pensiamo allo stomaco.

Eppure, per molte persone, lo stress ha un impatto immediato e sorprendente sull’appetito: la fame si spegne, il cibo perde ogni interesse, a volte persino la vista di un piatto provoca fastidio.

È come se il corpo, all’improvviso, producesse un tacito ordine interno che dice: “Adesso non è il momento di mangiare.”

Per comprendere che cosa accade, occorre guardare alla biologia profonda della risposta allo stress, a un sistema finemente orchestrato che integra cervello, ormoni e intestino.

Dallo stress acuto allo stress cronico: l’asse ipotalamo–ipofisi–surrene

Tutto comincia nellipotalamo, una piccola area del cervello che ha il compito di monitorare ciò che accade dentro e fuori di noi.

Quando percepisce una minaccia (un rumore inatteso, una preoccupazione improvvisa, un pensiero che inquieta) l’ipotalamo attiva una un sistema anatomo-funzionale integrato, l’asse ipotalamo–ipofisi–surrene, che dà avvio a una serie coordinata di risposte nell’organismo.

È un circuito di comunicazione rapidissimo e antichissimo: l’ipotalamo segnala all’ipofisi, che a sua volta avverte le ghiandole surrenali, situate sopra i reni.

L’intero asse funziona come un sistema dallarme sincronizzato. Serve a garantire che, in caso di pericolo, l’organismo mobiliti energie, aumenti la vigilanza e prepari i muscoli all’azione.

Ma per farlo deve “sospendere” tutto ciò che non è essenziale nellimmediato, ed è qui che entra in gioco il rapporto fra stress e appetito.

Il primo messaggero che l’ipotalamo rilascia è l’Ormone di Rilascio della Corticotropina (CRH).

Questo segnale biochimico ha poteri straordinari:

  • amplifica l’allerta
  • ci rende più vigili
  • ci spinge a concentrare le risorse su tutto ciò che potrebbe rappresentare un rischio.

E, allo stesso tempo, riduce drasticamente lattività dellapparato digerente.

Il CRH agisce, quindi, come una sorta di freno interno.

Lo stomaco si contrae, la motilità gastrica si riduce, la sensazione di fame si spegne.

Dal punto di vista evolutivo è una strategia impeccabile: in una situazione pericolosa, digerire non serve alla sopravvivenza immediata. Serve essere pronti. Il corpo lo sa da sempre.

Il nodo allo stomaco: ansia e rifiuto del cibo

Molte persone descrivono questa sensazione come un nodo allo stomaco.

Non è un’immagine poetica, è esattamente ciò che accade.

Lo stomaco, infatti, è uno degli organi più sensibili agli stati emotivi, perché è ricchissimo di terminazioni nervose collegate direttamente al cervello.

Quando lansia acuta prende il sopravvento, ad esempio in occasione di un esame imminente, un colloquio atteso, una notizia destabilizzante, il diaframma si irrigidisce, il respiro si fa corto e il corpo concentra energia nei muscoli, non nella digestione.

Il risultato è un rifiuto quasi istintivo del cibo.

Se lo stress è episodico, questa reazione è transitoria. Ma quando la tensione non si dissolve, quando diventa un sottofondo costante, il corpo può rimanere intrappolato in questa modalità d’allerta e il CRH continua a circolare, mantenendo lo stomaco in uno stato di contrazione.

A distanza di giorni entra in scena un altro attore, il cortisolo, un ormone che, in genere, stimola l’appetito e aiuta l’organismo a recuperare energie.

Tuttavia, in molte persone, soprattutto in quelle che vivono stati prolungati di ansia, il segnale del cortisolo non riesce a superare il freno imposto dal CRH.

In questi casi, il messaggio dominante resta: “Non è il momento di mangiare.”

Depressione e perdita di appetito: quando il cibo smette di attirare

La depressione aggiunge un ulteriore strato di complessità.

Non tutte le forme di depressione. Infatti, riducono la fame, ma in una parte dei pazienti accade esattamente questo: lappetito si attenua fino quasi a scomparire.

È il risultato della riduzione della dopamina, che rende più difficile provare piacere, e della diminuzione della serotonina, che regola sia l’umore sia i segnali di fame e sazietà.

L’energia mentale si abbassa, gesti quotidiani come preparare un pasto o sedersi a tavola richiedono uno sforzo sproporzionato e il cibo smette di attrarre non perché faccia paura, ma perché sembra distante, irrilevante, scollegato dalle necessità emotive del momento.

Intestino, nervo vago e microbiota: il dialogo continuo con il cervello

Mentre tutto questo accade nel cervello, l'intestino non resta in silenzio.

Il suo dialogo con il sistema nervoso è continuo e bidirezionale.

Lungo il nervo vago viaggiano segnali che informano il cervello sullo stato dell’apparato digerente, mentre ormoni e molecole prodotte nell’intestino influenzano direttamente le regioni cerebrali che regolano l’appetito.

Al centro di questa comunicazione c’è il microbiota intestinale, la comunità di miliardi di microrganismi che partecipano alla digestione, alla produzione di serotonina e alla modulazione dell’infiammazione.

Quando siamo sotto stress, il microbiota cambia sorprendentemente in fretta: alcune specie si riducono, altre proliferano in modo disordinato, la permeabilità intestinale aumenta.

Queste alterazioni, documentate in numerosi studi sperimentali, modificano i segnali che regolano la fame.

Per approfondire:Cervello intestinale: microbiota e salute mentale

Il risultato è un dialogo confuso: a volte la fame si spegne completamente, altre volte appare a intermittenza, in un ritmo irregolare che rende difficile capire cosa il corpo stia realmente chiedendo.

Con il passare dei giorni, questa combinazione di fattori crea un circolo difficile da spezzare:

  • Mangiare poco riduce l’energia disponibile
  • La riduzione dell’energia peggiora la qualità del sonno
  • Il sonno disturbato amplifica ansia e irritabilità
  • L’aumento del carico emotivo alimenta ulteriormente i segnali di stress
  • Lo stress continua a spegnere l’appetito
  • Il corpo, già indebolito, diventa ancora più vulnerabile allo stress successivo.

Cosa fare quando l’inappetenza persiste

Quando la perdita di appetito si protrae oltre pochi giorni, non è soltanto una reazione nervosa passeggera, ma è un segnale biologico che merita attenzione.

Come abbiamo visto, lo stress cronico può alterare la secrezione del CRH e del cortisolo, modificando la motilità gastrica, la sensibilità viscerale e la regolazione centrale della fame.

Questa combinazione, se mantenuta nel tempo, può generare calo ponderale non intenzionale, peggioramento del sonno, irritabilità e indebolimento immunitario.

In queste situazioni è utile seguire alcune indicazioni pratiche.

Mantenere una routine alimentare regolare aiuta a stabilizzare la glicemia e a evitare ulteriori picchi di stress fisiologico.

Se il cibo solido risulta difficile da tollerare, possono essere introdotte preparazioni più semplici da digerire, come brodi, creme, frullati o alimenti morbidi e poco irritanti, ispirati alle raccomandazioni utilizzate nella dispepsia funzionale associata allo stress.

Per approfondire:Salute mentale: cibi consigliati e cibi da evitare

Anche l’uso di piccoli pasti frequenti può facilitare la ripresa dell’appetito senza sovraccaricare lo stomaco.

È importante osservare la comparsa di segnali dallarme:

  • nausea persistente
  • perdita di peso
  • peggioramento dell’ansia
  • peggioramento dell’umore.

Se l’inappetenza dura più di una o due settimane, o se si accompagna a una sensazione di astenia progressiva, è consigliabile rivolgersi al medico di famiglia o a uno specialista.

Non si tratta di “forzarsi a mangiare”, ma di prevenire il rischio che una risposta allo stress diventi essa stessa un fattore scatenante di disturbi d’ansia e/o depressione.

Per approfondire

  1. Fuente González et al. (2022). Emotional eating and hyperpalatable foods. Journal of Obesity.
  2. Hill et al. (2022). Stress and eating behaviours. Health Psychology Review.
  3. Kris-Etherton PM et al. (2020). Nutrition and behavioral health disorders: depression and anxiety. Nutrition Reviews.
  4. Markus CR (2015). Gene × cognition in stress-induced eating. Psychoneuroendocrinology.
  5. Oliver & Wardle (1999–2000). Stress and food choice: a laboratory study
  6. Parylak SL et al. (2011). The dark side of food addiction. Physiology & Behavior.
  7. Ruf et al. (2023). Individual differences in dietary response to stress. Applied Psychology.
  8. Sinha R (2013). Neurobiology of stress and food intake. Biological Psychiatry.
  9. Sominsky L, Spencer SJ (2014). Eating behavior and stress: a pathway to obesity. Neuroscience & Biobehavioral Reviews.
  10. Spoor et al. (2007). Relations between negative affect, coping, and emotional eating. Appetite.
  11. Torres & Nowson (2007). Relationship between stress, eating behavior, and obesity. Nutrition.
  12. Ulrich-Lai YM et al. (2015). Stress exposure, food intake and emotional state. Stress.
  13. Wijnant et al. (2021). Stress responsiveness and emotional eating. Nutrients.
  14. Yau & Potenza (2013). Stress and eating behaviors. Minerva Endocrinologica.
Data pubblicazione: 15 dicembre 2025

Autore

arotondo
Dr. Alessandro Rotondo Psichiatra

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1990 presso universita di pisa.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Pisa tesserino n° 3886.

Esperto in psichiatria con esperienza internazionale presso NIH Washington e Columbia University New York, docente universitario di criminologia e genetica psichiatrica. Autore di circa 100 pubblicazioni scientifiche, si dedica alla ricerca e trattamento di disturbi dell’umore, ansia, disturbi alimentari e discontrollo degli impulsi. Membro di prestigiose società psichiatriche internazionali.

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