Coinvolgimento familiare in terapia psichiatrica

A seguito di un lungo consulto psichiatrico è emerso un quadro di ciclotimia. La terapia proposta da subito consiste nell'assunzione a dosi estremamente ridotte di un farmaco neurolettico e in una serie di esercizi comportamentali. Lo specialista mi ha anche consigliato, almeno in questa prima fase, di non informare i miei familiari della diagnosi e della terapia intrapresa, poichè proprio loro e le nostre dinamiche relazionali possono avere in parte determinato lo stato attuale di cose.
Vi chiedo se quest'ultimo consiglio rientra in un approccio terapuetico o serve, come temo, solo a stabilire un rapporto esclusivo (e forse acritico) con il "curante".
Grazie
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Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119 6
Gentile utente,
coi limiti del consulto via internet, mi sembra che lo psichiatra ha spiegato le motivazioni della propria raccomandazione e che non servono a creare un rapporto "esclusivo" con lui, ma sono motivate dalle necessità cliniche.

A parte questo, aggiungo anche che, siccome Lei è già una persona adulta, se fossi al posto del Suo psichiatra, aspetterei che Lei riesca ad avere un proprio spazio nel quale esprimersi, avere i dubbi, ma anche i segreti: riservato dalle altre persone significative nella Sua vita (sarebbe normale nella luce dell'evoluzione verso l'età adulta).

Chiederei comunque al Suo psichiatra che Le spieghi il razionale della prescrizione del neurolettico se si tratta di ciclotimia.

Dr. Alex Aleksey Gukov

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dopo
Utente
Utente
La ringrazio infinitamente per la risposta.
Posso capire le motivazioni, ma l'assunzione di un farmaco mi sembra un argomento da condividere con le persone a me più vicine, soprattutto se questo rischia di incidere (con effetti collaterali) sul normale svolgimento del mie attività quotidiane. Penso che condividere un percorso teraputico, possa aiutare a vivere con meno vergogna e più consapevolezza certi aspetti della propria vita.
Grazie ancora