Il distacco dal terapeuta

Cortesi dottori, sono di nuovo qui a chiedere un consiglio. Sono una donna di 33 anni e, per superare un periodo di insoddisfazione e tristezza generale scaturiti in seguito ad un aborto spontaneo, due mesi fa mi sono rivolta ad un terapeuta. La prima dottoressa da cui sono andata mi ha proposto, dopo i primi 3 colloqui introduttivi, una psicoanalisi da 3 incontri a settimana per mesi. Terrorizzata dall’idea di un percorso così impegnativo sia economicamente sia in termini di tempo e vista la scarsa empatia tra me e la dottoressa ho deciso di cambiare terapeuta. Mi sono così rivolta ad un professionista della terapia sistemica, in parte nella speranza di ritrovare il mio benessere in tempi meno lunghi in parte perché il dottore in questione è un uomo. A tal riguardo chiarisco che di solito preferisco professionisti del sesso opposto poiché in maniera più o meno voluta tendono ad essere più formali e distaccati, soprattutto in quei campi in cui si è condividono questioni intime e sono pertanto più facili i fraintendimenti. Consepevole però del fatto che avrei ricercato nel terapeuta un'intesa per sentirmi a mio agio, avevo il timore di poter fraintendere il rapporto con una figura maschile e ho inizialmente scelto una donna. Non mi sono trovata bene e sono quindi tornata sui miei passi. Il primo approccio con il nuovo terapeuta è stato piacevole. Rispondendo alle sue domande e dovendomi raccontare a partire da un punto di vista esterno ho capito di essere orgogliosa di me e della mia vita, anche se non rispecchia il modello che la società e la mia famiglia quasi impongono. I risultati sono probabilmente evidenti anche a lui, tanto che mi ha lasciato intendere che l’incontro dopo le vacanze di Natale potrebbe essere l’ultimo. L’idea di non potermi più confrontare e confidare con lui mi rattrista. È possibile aver sviluppato una dipendenza emotiva dal terapeuta in così poco tempo (un mese in tutto)? Quando parlo con lui mi sento capita e apprezzata. Immagino rientri nella professione far sentire la persona in un ambiente privo di ostilità e pregiudizi e ho ben chiaro il fatto che il terapeuta non è un amico su cui fare affidamento a tempo indeterminato, ma non mi va di rinunciare alla sensazione di benessere che deriva da quel contesto così rassicurante. Sento di avere bisogno del suo appoggio ancora un po’, d’altra parte ho paura che forzare la situazione richiedendo incontri che hanno il solo scopo di appagare una mia carenza porti a perdere di vista la realtà del rapporto terapeuta-paziente. Per questo timore mantengo sempre il distacco, non do mai del tu, non cerco attenzioni fuori dalla seduta, non chiedo né mi interesso della sua vita privata. So che la fragilità emotiva è cattiva consigliera e prendo le mie precauzioni, ma ciò non toglie che mi pesa l’idea di rinunciare agli incontri. Cosa mi consigliate di fare? Esprimo a lui il mio dispiacere o accetto il distacco senza obbiettare?
Grazie della disponibilità e Buone Feste
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Gentile utente, per rispondere a questa domanda è necessario prima rispondere a un'altra: nel complesso, i motivi che l'hanno portata a scegliere di andare in terapia, hanno avuto una risposta/soluzione? Se la risposta è un sì, allora anche la difficoltà del distacco dal terapeuta, che a volte c'è, ma non sempre, le dovrebbe riuscire molto più tollerabile.

Tuttavia, dalle sue precedenti richiesta lei appare come una persona ansiosa. L'ansia porta le persone ad aver bisogno di continue rassicurazioni, e in questo senso la sua paura del distacco potrebbe benissimo essere parte del suo problema, non qualcos'altro di staccato.

Se fosse così, paradossalmente ma nemmeno tanto, dovrebbe andare in terapia per non aver bisogno di andarci.

Cordiali saluti

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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dopo
Attivo dal 2010 al 2011
Ex utente
La risposta alla sua domanda è sì: il motivo per cui sono andata in terapia ha trovato soluzione.
Come è risultato evidente anche a Lei, l'evento dell'aborto mi aveva fatto cadere in uno stato di apprensione e ansia che posso assicurarle non mi appartiene. Improvvisamente ho avvertito un senso di urgenza e ogni piccolo sintomo diventava una minaccia. Dovevo avere tutto e subito perché temevo che all'improvviso potesse capitare qualcosa di brutto e volevo aver provato tutto nella vita. Ora scrivendo questo mi rendo conto di quanto fosse assurdo il pensiero. Non so cosa sia cambiato di preciso, né quando, ma so che sono serena: niente più bisogno del massimo esperto in infettivologia per senrtirmi dire che un raffreddore è solo un raffreddore, niente pianti improvvisi al lavoro o nel cuore della notte. Il lavoro è sempre precario come prima, ma mi piace quanto mi piaceva prima di questo imprevisto. I miei sono sempre pressanti come prima, insistendo per appagare il loro desiderio di diventare nonni, ma io ora riesco a difendere le mie scelte senza sentirmi una vittima o una sciocca. Uno dei miei problemi pratici era far capire al mio fidanzato e ai miei familiari cosa volevo, ma era difficile poiché in realtà non lo sapevo bene neanche io. Ora lo so e più o meno so anche come esprimerlo. Ci sono situazioni su cui dovrò ancora lavorare un po', ma ho capito che strumenti usare. Lavorare sul rapporto con gli altri, sulle aspettative che ci arrivano addosso dall'alto e sui modi per difendere la propria identità e le proprie scelte di vita è un processo faticoso. In questo contesto il terapeuta è stato molto importante, oserei dire fondamentale.
So che ora posso camminare da sola, ma so anche che mi mancherà davvero tanto il clima che c'è in quello studio, perché è un po' una valvola di sfogo, un luogo in cui mi sento bene.
Io sono molto lontana dai canoni della mia famiglia e per quanto sia orgogliosa di me, talvolta mi sento un po' sola. Il terapeuta mi fa sentire capita quando gli affetti più vicini mi fanno sentire lontana ed estranea al gruppo.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
>>> Il terapeuta mi fa sentire capita quando gli affetti più vicini mi fanno sentire lontana ed estranea al gruppo.
>>>

In questo caso potrebbe aver bisogno di rivedere qualcosa nel suo modo di relazionarsi alle persone che le sono più vicine.

Come le dicevo, si va dal terapeuta per imparare a farne a meno. Ove questo non succeda, se il terapeuta diventa un punto di riferimento da cui è doloroso allontanarsi perché ci fa sentire capiti, significa che è proprio la "vita reale" il luogo dove non ci sentiamo capiti. Quindi, il distacco dal terapeuta ci segnala che la difficoltà sta in realtà da un'altra parte.

Poi è anche vero che terapeuti diversi lavorano in modo diverso. Ad esempio l'uso della relazione terapeutica (vicinanza emotiva) può essere inteso in modo molto differente a seconda dell'indirizzo teorico di riferimento: in certi tipi di terapie si favorisce la creazione di un forte legame fra terapeuta e paziente, che può poi essere doloroso interrompere dopo il successo della terapia. In altri tipi di terapia, ad esempio le terapie brevi, la vicinanza emotiva c'è ma è più chiaro fin dall'inizio che non ci sarà molto tempo/spazio per "affezionarsi", mentre se ne dà di più all'efficienza e all'efficacia dell'intervento.

Cordiali saluti
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dopo
Attivo dal 2010 al 2011
Ex utente
Lei ha perfettamente ragione: ho un problema a relazionarmi con la mia famiglia. Purtroppo prenderne atto non è di per sé risolutivo e, sempre purtroppo, a volte le differenze sono tali da rendere impossibile cambiare la situazione. Io sono oggettivamente diversa dai miei genitori e da mia sorella: diversi i progetti di vita, diverse le idee politiche, diverso il credo religioso, diverso il percorso accademico e l'importanza che diamo alla soddisfazione professionale e alla costruzione della famiglia. Loro non sono in grado di capirmi, non per mancanza di amore o di volontà, ma perché apparteniamo a mondi differenti. Ho tentato di cambiare questa situazione, ma è come lottare contro i mulini a vento: l'unico modo per essere integrata nella famiglia è sottostare a regole che io non sento mie. Credevo che un bimbo avrebbe creato la complicità che non ho mai avuto in casa, ma ora so che non sarà così. In questi mesi avrei voluto sentirmi parte della famiglia, ma non posso cambiare il mio modo di esssere e questo mi ha fatto sentire sola. Ho cercato e trovato comprensione in altre realtà: il fidanzato e gli amici, che hanno percorsi simili ai miei, mi sono vicini, ma per quanto possa essere sicura del loro affetto non posso razionalmente pensare che sia eterno e a prova di bomba. Il tempo e le esperienze di vita possono mettere in discussione molte cose. In questo contesto forse ho identificato nel terapeuta una figura sicura, che sarebbe stata lì per me finché io avessi avuto bisogno. Rinunciare a questa garanzia mi spaventa, alimentare questa dipendenza mi spaventa ancora di più..
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Che tipo di terapia sta facendo? Qual è l'approccio teorico del terapeuta?

Cordiali saluti
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dopo
Attivo dal 2010 al 2011
Ex utente
Inizio ringraziandola sinceramente per il tempo che mi sta dedicando e le rispondo: il terapeuta si occupa di terapia sistemica breve. Non credo che si basi sull'instaurarsi di una vicinanza emotiva: gli incontri sono ogni 2 settimane ed è stato chiaro fin dall'inizio che sarebbero stati in numero limitati. Ho scelto questo percorso per evitare il legame personale che si crea incontrando il terapeuta per mesi 3 volte a settimana.
Ho però creato in brevissimo tempo una dipendenza emotiva dalla terapia, sicuramente indice del fatto che mi mancano, nella vita reale al di fuori dell'ambiente protetto, le rassicurazioni che prendo dallo psicologo. So che sono proiezioni di un mio bisogno, ma so che questa caratteristica mi appartiene da sempre, da prima dell'aborto. I disturbi oggettivi direttamente legati a questa esperienza sono in risoluzione. Non so se è il caso di spostare l'attenzione su un piano diverso né se la terapia sistemica può aiutare nel cambiare qualcosa di tanto radicato.
Cordiali saluti.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Sì, in questo caso si tratta quasi certamente di un bisogno di dipendenza da parte sua, al quale probabilmente la terapia che ha appena fatto non si è rivolta in maniera specifica.

Le suggerisco di rifare "il punto della situazione" con se stessa, tenendo conto di ciò che ha imparato in quest'esperienza e informandosi sulle differenze fra i vari approcci terapeutici, per affrontare questa sua dipendenza attraverso un eventuale, successivo, percorso.

Nel suo caso è possibile che si debba essere un po' flessibili sull'aspetto di brevità della terapia, individuando con chiarezza il funzionamento del problema per poterle fornire indicazioni comportamentali precise, da mettere in atto fra una seduta e l'altra.

Ossia, partire dopo per arrivare prima.

Legga questi articoli:

https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html

http://www.giuseppesantonocito.it/art_psicoterapia.htm

Cordiali saluti
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dopo
Attivo dal 2010 al 2011
Ex utente
Grazie per il suggerimento, che seguirò, e per la possibilità che mi ha dato di "parlare". Mi è servito, perché nel tentativo di essere chiara nelle risposte forse ho già in parte inquadrato la problematica.
Proverò a dire al mio terapeuta quello che ho capito scrivendo qui e vedrò come pensa sia meglio agire. Ormai che ho mentalizzato di avere questo bisogno forse vale la pena capire perché e come gestirlo, anche con un terapeuta diverso se quello attuale lo ritiene più opportuno.

Cordiali saluti
[#9]
dopo
Attivo dal 2010 al 2011
Ex utente
Ho letto gli articoli suggeriti, ma ho dimenticato di chiederLe una delucidazione.
Nell'arco della mia vita ho sempre ricercato figure di riferimento rassicuranti tra gli adulti con ruoli intellettualmente stimolanti (docenti o figure affini). Spesso a questo è seguito il manifestarsi di un sentimento che nella confusione adolescenziale ho confuso con l'amore.
Ora che sono adulta mi ritrovo in una situazione che non si allontana molto dal mio passato, se non per la consapevolezza che non si tratta di amore.
Più che capire il perché mi capiti questo sarebbe effetivamente utile smettere di ricadere in certe dinamiche, soprattutto perché possono creare inconvenienti anche seri. Nel desiderio di superare tutto questo, lei quale approccio terapeutico consiglierebbe?
Grazie
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Se il suo obiettivo è uscire dal problema ed è meno interessata alla riflessione sul quando e perché è sorto, un approccio pragmatico come quello breve strategico potrebbe fare al caso suo. Ma ovviamente il mio parere è "viziato" dal fatto che anch'io seguo questo approccio, e ne sono un entusiasta. Quindi ne tenga conto.

Cordiali saluti