Il primo vero periodo nero della mia vita

Gentili dottori e dottoresse buongiorno,
Sono uno dei tanti giovani che non trovano lavoro. E sono anche uno di quelli che pensano che i soldi non facciano la felicità. Ma sono anche uno piuttosto realista: senza uno stipendio non si vive. Infatti, mi rivolgo a voi perché quella che sto facendo non è la vita che vorrei fare. Ho una ragazza da molto tempo con la quale ho da tempo il progetto, che sta diventando sempre di più un sogno, di costruire il futuro insieme. Nel frattempo sono costretto a vivere ancora a casa dei miei, e la cosa è diventata insopportabile. Al di là del fatto che alla mia età, che sono consapevole non essere certamente veneranda, dover chiedere soldi è comunque una bastonata all’orgoglio e alla dignità, vivo costantemente nella condizione di non potermi permettere nulla. Ma il problema a vivere ancora in famiglia chiaramente non è solo economico. Non ho gli spazi che vorrei, devo sempre rendere conto delle mie azioni, vengo visto da tutti i parenti ancora come un bambino, se alzo la voce perché non mi sta bene qualcosa sono solo capricci, devo sempre chiedere la disponibilità di un auto se devo spostarmi...e potrei continuare con piccoli e grandi motivi di frustrazione. Penso che possiate immaginare insomma. Tutto questo appunto sta trasformando il mio carattere, sono spesso di pessimo umore, passo le giornate chiuso in casa, sono spesso irritato e intrattabile. Il tutto esacerbato dalla consapevolezza che ciò che mi separa dalla vita che vorrei è un maledettissimo posto di lavoro. Ci tengo a precisare che una delle mie paure è anche quella che questa convivenza forzata rovini il rapporto che ho con la mia famiglia, quindi sono convinto che se riuscissi ad andarmene di casa, nonostante (comprensibilmente) i miei genitori non vivano la mia permanenza con loro come un peso, il nostro rapporto ne gioverebbe e si ristabilirebbe un nuovo equilibrio. Sono arrivato ad un punto in cui sto mettendo in dubbio un sacco di cose: le decisioni che ho preso in passato, gli studi che ho fatto, il mio modo di relazionarmi, le mie capacità e quelle che ho sempre pensato fossero le mie qualità. L’unica cosa che rimane una certezza, e lo rimarrà sempre, è la mia relazione di coppia. Il fatto che questa non possa raggiungere la sua aspirazione massima, la nostra aspirazione massima che, come in tutte le coppie in cui c’è un forte legame, sarebbe quella di costruirci il futuro che da sempre desideriamo, mi sta logorando. Sto sbagliando qualcosa? Cos’è di me che non va bene al mercato del lavoro? Queste sono le domande che mi rimbalzano in testa ogni giorno. Non so più cosa fare, né sul piano operativo (ho finito le risorse a cui fare appello per cercare un impiego) né sul piano psicologico, sul quale inizia ad aleggiare lo spettro della depressione. Premesso che cercherò di recarmi quanto prima da un vostro collega di persona, dato che ora come non mai ne sento davvero il bisogno, c'è qualche consiglio che vi sentite di darmi? Grazie a tutti.
[#1]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Gentile Utente,

è indubbio che la convivenza forzata con la propria famiglia d'origine, quando le aspirazioni sono rivolte all'autonomia materiale ed affettiva (come è giusto che sia), può essere fonte di grande difficoltà nell'affrontare la quotidianità.

Da quanto ci dice sembra che i suoi non prendano in considerazione il suo disagio, e il fatto che se si trova (ancora) lì non è per sua scelta.
Se le cose stanno così forse potrebbe essere utile un discorso chiarificatore con loro, per informarli del fatto che questo stato di cose non la rende per nulla felice e che se abita con loro è unicamente per necessità.

Ha provato a parlare con i suoi come si sente?

Vorrei inoltre chiederle, se ce lo vuole dire, che studi ha svolto e se ha provato a cercare lavoro anche accontentandosi di un impiego che non corrisponda al tipo di lavoro per il quale ha studiato.

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

[#2]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Che cosa sta facendo per cercare un lavoro?

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#3]
Dr.ssa Verena Elisa Gomiero Psicologo, Psicoterapeuta 173 3
Gentile ragazzo,
la sua fidanzata cosa dice-pensa del suo "periodo nero?"

Dr.ssa Verena Elisa  Gomiero
psicologa psicoterapeuta
Operatore training autogeno

[#4]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Ho appena finito di far ristrutturare casa. Fra i muratori c'era un ragazzo albanese molto bravo e dedicato, che sta in Italia dall'98. Come molti suoi compatrioti sarà arrivato da noi con mezzi di fortuna, in mezzo agli stenti. Eppure, forte di un mestiere umile e nobilissimo al tempo stesso, sta riuscendo a sbarcare il lunario. Ha una fidanzata e vive in affitto con lei. Con lo stipendio che guadagna qui si è addirittura potuto costruire una casetta tutta sua, in Albania, con il solo aiuto del padre e del fratello.

Che cosa ritiene di avere lei, in meno di un immigrato che vive in un paese non suo, in mezzo una cultura non sua, senza la propria famiglia accanto, parlando una lingua che non è la sua, che le starebbe impedendo di ottenere un lavoro?

Cordiali saluti

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#5]
dopo
Utente
Utente
Dottoresse vi ringrazio di cuore per il tempo che mi dedicate. Cerco di rispondervi.
La mia idea è quella di accettare qualsiasi lavoro possibile, infatti sto rispondendo ad annunci sul web, sono andato di persona a portare curriculum alle aziende, sono andato in agenzie interinali/di somministrazione, ho compilato i classici form "lavora con noi" di un sacco di aziende della mia zona... non mi pongo limiti di sorta, nè sulle modalità di ricerca nè sulla tipologia di lavoro, purchè questo mi consenta mantenermi ovviamente. I miei studi non saprei se scriverli qui per questioni di privacy, ma comunque sappiate che appartengono ad un ramo molto particolare per il quale praticamente non c'è mercato in Italia, da qui infatti nascono mille dubbi su una scelta che a suo tempo feci esclusivamente per pura passione.
In realtà la questione è più complessa di quello che ho scritto e per rispondere alle altre domande forse è il caso che io la approfondisca. Con la mia ragazza ho condiviso i due anni di specializzazione fuori sede, durante i quali abbiamo condiviso anche una casa studenti mantenendoci con i nostri risparmi. Le finanze non sono bastate a coprire tutta la nostra permanenza fuori città e per non coinvolgere le famiglie mescolando l'esigenza di mantenerci gli studi fuori sede a quella che di fatto era una convivenza, non avendo più lezioni abbiamo deciso di tornare nella nostra città di origine per cercare un lavoro, una casa insieme e finire quel poco che ci restava dell'ambito studi. La mia ragazza ha trovato lavoro, precario, ma l'ha trovato. Io sono da quasi 4 mesi ancora a casa. L'università per vari motivi è ancora congelata, a un passo dala fine, sia per me che per lei. Penso che il motivo principale sia una perdita di motivazione dovuta a tutta questa situazione, che, per rispondere ad una delle domande, pesa molto (anzi forse di più, per motivi suoi familiari) anche alla mia ragazza. Lei infatti è sulla mia stessa linea, frustrata per doversene rimanere a casa con il padre e senza la possibilità economica di prendere la propria strada con me.
I miei genitori penso non abbiano ben compreso non tanto il fatto che la mia volontà è andarmene di casa, quanto piuttosto il disagio che provo a rimanere forzatamente ancora con loro, non so se mi spiego. A me pare che non si accorgano di quanto sto soffrendo la situazione, tant'è che il loro consiglio è quello di finire prima gli studi e poi pensare al dopo. In questo senso la dott.ssa Massaro ha ragione, ma io ho già parlato del mio disagio con loro e l'impressione è appunto che sottovalutino il fatto che se la situazione non migliora temo di crollare psicologicamente.
[#6]
dopo
Utente
Utente
Dott. Santonocito grazie infinite anche a lei. Non sa quante volte penso a questi ragazzi, magari immigrati che vengono in Italia e insegnano a noi Italiani cosa significhi lavorare. Io credo di non avere assolutamente niente in meno di questi ragazzi, quello che non ho è la possibilità di spiegare ai titolari delle aziende che sia così. Ho cercato lavoro anche in imprese edili, ma in sostanza la risposta è sempre la stessa, come in altre aziende in cui mi sono proposto per lavori cosiddetti "umili": leggono il mio curriculum e non si fidano del fatto che uno che ha studiato abbia voglia di lavorare. E' questo pregiudizio che non so come abbattere.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Il consiglio che le ha dato il Collega è molto concreto e opportuno: a mali estremi, estremi rimedi.

Ovviamente lei dovrà in un certo senso elaborare il lutto per le aspettative che ha costruito durante gli anni di università, e che prendevano una direzione differente rispetto alla situazione lavorativa che dovrà (le auguro transitoriamente) accettare.
Questo è un ostacolo psicologico non da poco, perchè, pur sapendo che per la sua materia non c'è mercato, lei si è impegnato per anni e ora è ad un passo da una laurea che non farà per il momento la differenza nel mondo del lavoro.

Se in cima alle sue priorità c'è la costruizone di un futuro con la sua fidanzata penso che al momento non le resti che rimandare i tentativi di trovare una professione soddisfacente e accontentarsi di qualunque cosa possa trovare.

Ovviamente però quello che conta è quanto "pesa" questa rinuncia sul piatto della bilancia, rispetto al desiderio di iniziare una vita autonoma.
Se questo è per lei davvero importante penso che potrà trovare la motivazione necessaria per individuare una soluzione strumentale ad ottenerlo.
[#8]
dopo
Utente
Utente
Dott.ssa Massaro lei ha dato voce al ragionamento che abbiamo fatto io e la mia ragazza quando abbiamo deciso di tornare nella nostra città di origine. "Non troveremo sicuramente lavoro nell'ambito nel quale abbiamo lavorato, quindi dobbiamo accettare qualsiasi lavoro per riuscire ad andare via di casa". Era il minimo. E le aggiungo che a fronte della voglia che ho di raggiungere l'obiettivo (= iniziare la mia vita) questa opzione per me ha avuto un costo psicologico pari a zero. Infatti la mia ragazza a trovato un lavoro che avrebbe potuto fare benissimo senza le lauree che ha, ma la cosa non le pesa perchè sa che è tutto finalizzato alla prospettiva di vita che ha. E a questo proposito, adesso come adesso, anch'io sarei disposto anche ad annullare tutta la mia carriera di studi, senza nessun problema. Il problema è spiegarlo a chi un posto di lavoro me lo dovrebbe offrire.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
>>> leggono il mio curriculum e non si fidano del fatto che uno che ha studiato abbia voglia di lavorare
>>>

Non si tratta di questo, ma di una cosa un po' diversa.

Avendo una certa età, sono già passato per la trafila della ricerca di lavoro, da giovanissimo. Appena diplomato mi recai presso un'azienda nei pressi di dove abitavo, chiedendo un lavoro. I titolari mi squadrarono per bene e stavano quasi per assumermi come furgonista. Appena seppero che mi ero appena diplomato, però, cominciarono a titubare e in sostanza a scartarmi.

La loro preoccupazione non era che non avessi voglia di lavorare, ma che le mie aspirazioni fossero ALTRE rispetto a un semplice lavoro di furgonista, e che quindi non avrei avuto MOTIVAZIONE sufficiente per svolgerlo al meglio. La frase che mi rimase impressa di uno di loro fu: "Sai, ognuno deve trovare un po' la propria dimensione".

Perciò se provi, provi, provi e nessuno ti vuole, probabilmente non riesci a essere convincente, perché TU PER PRIMO non sei convinto di ciò che vuoi fare, di quale sia la tua dimensione. E dall'esterno è facile accorgersene, non credere.

Il mio suggerimento è di contattare uno psicologo del lavoro e delle organizzazioni, che potrà esserti utilissimo per chiarirti le idee. Superata questa fase, potrai ripartire con più convinzione. Per informazioni puoi sentire l'Ordine Psicologi e Psicoterapeuti della tua regione.

Cordiali saluti
[#10]
dopo
Utente
Utente
Grazie del consiglio dott. Santonocito, non avevo pensato ad uno psicologo del lavoro. Mi trovo d'accordo con lei, molto spesso noi candidati abbiamo a nostra volta dei pregiudizi sui datori di lavoro e forse tendiamo a sminuire le loro capacità di capire chi hanno di fronte. Mi preme però sottolienare una cosa, visto che ha citato la sua esperienza. Quando ha cercato lavoro lei i modi e i mezzi credo fossero un po' diversi. Ora c'è la rete, da cui tutto ha origine per volontà (e forse comodità) delle aziende stesse. Oggi il fatto di bussare alla porta di un'azienda e presentare il proprio curriculum di persona, è una cosa inusuale. Ho letto nelle facce di quelli con cui ho parlato una certa dose di insofferenza, quasi di stizza per essermi permesso di bypassare tutta la trafila di convenevoli via internet, invio del cv, scrematura da parte loro, eccetera. Il tutto mostrando a parole la più seria intenzione a prendere in considerazione la mia candidatura o a sottoporla a chi di dovere. Ovviamente prima di liquidarmi con la più classica delle frasi "le faremo sapere". A queste persone, tanto meno via mail, non posso manifestare la mia convinzione e la mia motivazione a ricoprire il ruolo per cui mi propongo, e nemmeno pretendo che mi prendano ascatola chiusa. E' questo che mi fa sentire impotente, il fatto di non avere la possibilità di spiegarle a loro le mie motivazioni, il perchè sto cercando un lavoro non coerente con la mia storia, le mie intenzioni future. Questo anche perchè, come penso immaginerà, tutto deve passare necessariamente dai canali consoni che oggi sono quasi garanzia di sicurezza da parte delle aziende e cioè le agenzie di somministrazione. In questi luoghi per esempio nel 99% dei casi ho parlato con un semplice impiegato il quale guarda il mio cv e si prende il lusso di pensare che le mie motivazioni non coincidano con il tipo di lavoro che sto cercando. Senza chiedermelo ovviamente. Capisce cosa voglio dire? Io potrei anche sbagliare nel credermi convinto del lavoro per il quale mi sto candidando, ma se alla persona che ho davanti interessa solo la carta degli studi che ho fatto o magari è, con tutto il rispetto, un semplice impiegato di un agenzia per il lavoro interinale, come glielo spiego che la motivazione ce l'ho eccome data la mia situazione? Per esempio mai nessuno mi ha chiesto quali fossero le mie aspettative in ambito lavorativo e soprattutto perchè avessi quelle aspettative. Questo non capisco, e per questo mi chiedo spesso dove sto sbagliando. Il discorso è molto semplice: nel mio campo non troverò mai lavoro, quindi non mi resta che provare negli ambiti in cui non è richiesta specializzazione. Ma qui a questo punto ho la strada sbarrata, che sia perchè il datore di lavoro pensi che io non abbia voglia di lavorare o perchè pensi che le mia motivazione a fare quel tipo di professione non sia tale da rendermi produttivo. Fattostà che sono a casa a rodermi il fegato senza la possibilità di dimostrare il constrario. Quando parlo di frustrazione intendo anche questo e mi auguro davvero che una consulenza con uno psicologo del lavoro possa aprirmi una strada diversa da questa.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Però non è da qui che potremo darti una risposta definitiva. Di persona si capiscono un sacco di cose su chi si ha davanti che per email, come dici tu, non si riescono ad apprezzare. E qui si apre un altro capitolo, quello di come si prepara un curriculum e come ci si presenta alle aziende, nell'era di internet, poiché anche questo può fare la differenza.

Mettiti in contatto con uno psicologo del lavoro e delle organizzazioni, vedrai che potrai ricevere due tipi di indicazioni preziose: il primo riguarda il suddetto chiarimento delle idee, ovvero orientamento professionale, bilancio di competenze, aree di forza, criticità e così via. Il secondo, altrettanto importante, è un feedback su di te come persona. Come appari, come ti presenti, gli errori da fare e da non fare e così via.

Da qui, più di questo è difficile fare.

Cordiali saluti
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dopo
Utente
Utente
Certo, va benissimo dott. Santonocito. Grazie mille davvero.

Se posso vorrei chiederle un'altra cosa, a lei e alla dott.ssa Massaro che in qualche modo ha sollevato la questione: per quanto riguarda la situazione con la mia famiglia come dovrei fare? Per ora mi sto limitando ad aggiornarla sulla situazione, ma le domande della dott.ssa Massaro mi fanno supporre che i miei genitori dovrebbero avere un ruolo un po' più partecipe in tutto questo. Inoltre ho dei parenti stretti molto presenti all'interno della famiglia, che però io vivo come un’intrusione anche questa nociva per il rapporto che io vorrei mantenere con loro. Quello che mi pesa è il fatto che tutti in famiglia sappiano tutto e poi anche questa visione che hanno di me come se fossi un bambino. Questo lo capisco dal modo con cui si rivolgono a me e da certi atteggiamenti che hanno con me e con i miei genitori e, oltre a non capacitarmene, la cosa mi fa imbestialire (ma se reagissi sarei il bambino che si arrabbia perché non è considerato “grande”). Anche questi parenti non credo sappiano che ho intenzione di andarmene di casa, più che altro perché, come ripeto, i miei non credo abbiano compreso fino in fondo la situazione. Vorrei sapere se c’è qualcosa che posso fare con i miei genitori, considerando come misura estrema il fatto di sbattergli in faccia la mia sofferenza, e come dovrei comportarmi con i parenti, che con immenso dispiacere inizio a non sopportare più.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Per non essere trattato come un bambino forse dovrebbe modificare qualche atteggiamento o comportamento che tiene in casa.
Cos'ha fatto finora perchè la trattino come un adulto?
Questo tipo di considerazione va conquistata, ed è difficile ottenerla da chi ci ha visti nascere e crescere: di conseguenza se non vuole che la trattino da bambino può cercare di modificare - nei limiti del possibile - quello che li motiva a non voler vedere che lei ormai è un uomo.

Visto che sono coinvolti anche altri familiari, cerchi di parlare apertamente in casa dei progetti di convivenza con la sua fidanzata e delle difficoltà che sta trovando a realizzarli in modo tale da far sapere che sta progettando un futuro e che non è "parcheggiato" lì fino a data da destinarsi.

Per quanto riguarda i suoi genitori, non aspetterei di arrivare al punto di sbattere loro in faccia il suo stato d'animo esasperato: parli con calma e chiaramente di come si sente e di quanto le pesa non riuscire per ora a realizzare i suoi progetti, sono sicura che capiranno che è davvero in difficoltà e che magari le daranno un supporto affettivo o qualche buona idea da mettere in pratica.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Come ti dice la collega Massaro, difficoltà lavorative e familiari non sembrano disgiunte nel tuo caso.

È probabile che la vostra famiglia sia una di quelle che gli psicoterapeuti sistemico-relazionali definiscono "invischiata", ossia dove i confini fra le individualità non sono chiare. Tutti dipendono da tutti e i margini di manovra di ognuno sono ridotti. O si soffre tutti insieme o si è felici tutti insieme.

Sembra che tu faccia parte del "pacchetto" a pieno titolo, e che sia combattuto. Da una parte vorresti che i tuoi familiari ti aiutassero, dall'altra vorresti più indipendenza. Ma crescere significa imparare a fare delle scelte, a volte di distacco, e a prendersi in prima persona la responsabilità di perseguire ciò di cui si ha bisogno.

Cordiali saluti
[#15]
dopo
Utente
Utente
Capisco, il dialogo come sempre sarebbe la soluzione migliore. In effetti non è che nella mia famiglia non ce ne sia, il problema è che è sempre stato unidirezionale, cioè dall'alto verso il basso, per così dire. Per esempio se i miei genitori mi dicono qualcosa io non ne rimango indifferente, faccio sempre tesoro dei loro punti di vista. Però quando ci sono discussioni tra me e loro mi rinfacciano quasi sempre il contrario, ovvero il fatto di non tenere assolutamente conto delle loro parole: "non ascolti mai i consigli di chi ci è già passato", o frasi del genere. Se invece sono io a dire qualcosa a loro, alla discussione successiva mi dimostrano di non aver ascoltato le mie parole e di rimanere fermi nelle loro convinzioni. Questo succede da quando ho ricordi, ed è infatti, anche se meno esplicito, uno degli atteggiamenti che mi fa sentire trattato come un bambino.
In questo senso mi viene da dire che è vero che vorrei essere anche aiutato da loro, ma nella misura in cui due genitori aiutano un figlio adulto. Per ottenere questo, forse dovrei essere più fermo io sulle mie posizioni, ma c'è sempre il freno dato dal fatto che non posso distaccarmi totalmente da loro vivendo ancora nella stessa casa e soprattutto essendone ancora dipendente economicamente.
Ho cercato di parlare a loro di tutto questo in passato, ma nel tempo il loro atteggiamento non è cambiato, il che mi fa supporre o di sbagliare qualcosa io nel pormi nei loro confronti quando parliamo di queste cose, o che a loro le mie parole sembrino appunto quelle di un bambino che vuole essere considerato un adulto, quindi si limitano ad assecondarmi mentre si discute per poi continuare, di fatto, a trattarmi nello stesso modo.
Non so se c'entra, ma a tutto questo forse può aggiungersi il fatto che non sono figlio unico, quindi da sempre in casa e in famiglia c'è stato il il confronto tra me e la mia sorella minore. Tale confronto è stato costruito sin dall'infanzia da tutta la famiglia allargata ai miei parenti "intrusi", ma a me, sono molto sincero, non ha mai mai pesato. Il problema è che mi è sempre parso che contasse molto per i miei parenti, che ad ogni occasione non mancano di rapportare discussioni o temi che riaguardano me anche alla storia di mia sorella: come ha affrontato lei quel problema, cosa farebbe lei se, qual è la differenza tra me e lei, eccetera. Questo secondo me lascia un po' il tempo che trova, diciamo che lo vedo più che come un peso, come una perdita di tempo e un modo per girare attorno al nocciolo della questione.
Concludo dicendo che mi riservo di pensare alla domanda della dott.ssa Massaro: cos'ho fatto finora perchè mi trattino come un adulto. E' una domanda che mi sono sempre posto al contrario, ovvero cos'ho fatto perchè continuino a trattarmi come un bambino. E la risposta non la trovo.
Grazie comunque dell'attenzione e dei consigli, ci penserò su e cercherò di metterli in pratica. Se volete aggiungere qualcosa io sono ben contento. Grazie di nuovo.
[#16]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Il problema non è che lei fa qualcosa per farsi trattare da bambino (a meno che non si faccia accudire in tutto e per tutto, invece di rendersi indipendente almeno nelle faccende pratiche).
E' da quando lei è nato che la trattano da bambino, ovviamente!

Il punto è dimostrare che ora non lo è più e cercare di ottenere un cambio di atteggiamento da parte loro.
Fa parte di questo atteggiamento anche l'attesa che lei segua la strada che loro le indicano, ma questo aspetto può anche far parte di una semplice divergenza di vedute fra adulti.
E' probabile che a volte vi scontriate su quale sia la soluzione migliore o l'opinione più giusta come fanno tra loro gli adulti, e non necessariamente come genitori e figlio in conflitto, ma forse non ve ne rendete conto.
Di sicuro per un genitore non è facile convivere con un figlio che si fa portatore di idee differenti dalle loro e che pensa con la propria testa, e questo crea frizioni in genere già da prima dell'adolescenza.

Ad ogni modo, sua sorella è divenuta suo malgrado la pietra di paragone e immagino che in fondo questo la infastidisca almeno un po'.
Visto che è più giovane, sa dirci se trattano anche lei da bambina?
Oppure la trattano da adulta?
[#17]
dopo
Utente
Utente
Gentile dottoressa Massaro,
mi scusi la latitanza nella risposta ma prima mi sono ammalato, poi ho avuto un po' da fare e tra l'altro ho sostenuto un altro paio di colloqui.
Dunque, ho pensato molto a come rispondere alla sua domanda e ci sono due aspetti da considerare: dai miei parenti "intrusi" viene sostanzialmente trattata come una bambina anche lei, ma direi però che viene considerata come più responsabile di me: se io sono lo scansafatiche, che non ha voglia di studiare, idea che ho provato invano a sfatare per esempio laureandomi brillantemente, e di non fare niente in buona sostanza, lei è quella in gamba, che si impegna, studia e lavora, eccetera. L'altro aspetto è che, proprio per queste ragioni, i miei la trattano secondo me un po' più da adulta rispetto a me: quando c'è un diverbio per esempio, i suoi non sono capricci, come invece sarebbero i miei, ma "eh lei ha il carattere così", che è già diverso.
La cosa che mi infastidisce, sono sincero, non è tanto il "perdere il confronto", perchè non sono nè un tipo competitivo, nè credo che ci sia qualcosa da vincere o da perdere, bensì il fatto di dover istituire il confronto stesso. Siamo due persone differenti, con età differenti, con teste e caratteri differenti, punto e stop. Il confronto è un artefatto che disperde l'attenzione da ciè che conta, e cioè le esigenze di vita che sia io che mia sorella abbiamo.

Le vorrei però rivolgere una domanda: lei parla di atteggiamento che dovrei cercare di far cambiare ai miei genitori. Non mi è chiaro quali siano i passi che normalmente un figlio deve compiere per passare da bambino ad adulto agli occhi di genitori e parenti, se ci sono dei punti di svolta o riti di passaggio importanti magari. Pensavo che il lavoro, che saltuariamente ho svolto, il vivere due anni via di casa, il mostrare dei cambiamenti caratteriali e di condotta di vita importanti rispetto all'adolescenza bastassero per far fare agli occhi dei genitori il naturale "salto di livello", diciamo così. Ma evidentemente manca qualcosa. Cos'è che mi sfugge?

Avrei una domanda anche per il dottor Santonocito: ho preso contatti con uno psicologo del lavoro di uno studio professionale, il quale mi ha proposto un lavoro che sarebbe davvero molto utile, ma purtroppo con dei costi stupefacenti oltre che insostenibili per me. Volevo chiederle se in genere i servizi di cui parlava hanno dei costi così alti o se devo provare a sentire qualche altra campana. Grazie a entrambi.
[#18]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile Utente,

il lavoro che Le ha suggerito il Collega presso uno psicologo viene erogato gratuitamente anche presso Servizi della Provincia. In genere si tratta di servizi di orientamento piuttosto che di outplacement dove può non solo beneficiare di quanto descritto sopra dal Collega, ma anche viene favorito l'incontro con le Aziende.

Deve provare a verificare sul sito della Sua Provincia.

Un cordiale saluto,
[#19]
dopo
Utente
Utente
Dottoressa Pileci si riferisce ai servizi erogati dal centro per l'impiego? Io ci sono stato varie volte per alcuni annunci di lavoro a cui avevo risposto, e a suo tempo avevo chiesto se erano previsti anche dei servizi di orientamento e di, io l'avevo chiamata un po' alla buona, "valutazione dei candidati" anche a pagamento se necessario, ma mi è stato detto che non erano previsti nel tipo di servizio che offre l'ente pubblico. Forse è il caso che ci torni...
Senta dottoressa, dal momento che seguo spesso la sezione di psicologia e anche lei è tra i professionisti che apprezzo e leggo molto volentieri, posso permettermi di chidere anche un suo parere sulla mia situazione? Intanto grazie dei consigli e dell'interesse.
[#20]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
>>> Volevo chiederle se in genere i servizi di cui parlava hanno dei costi così alti o se devo provare a sentire qualche altra campana.
>>>

Sentire più campane è sempre un'ottima idea, anche quando i preventivi che si ricevono non sembrano "così alti".

Cordiali saluti
[#21]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Il centro per l'impiego è solo uno dei numerosi servizi che la Provincia offre ai cittadini.
A Milano, per esempio, ci sono Poli di orientamento, di ricerca attiva del lavoro (e qui a mio avviso sbaglia ad affidarsi solo alla rete...), per non parlare delle Politiche Attive del Lavoro che promuovono non solo corsi di formazione che potrebbero tornarLe utili, ma anche percorsi di bilancio di competenze e tutoraggio per le Aziende.

Dico che internet è solo uno dei mezzi, e peraltro limitato, per diverse ragioni:

- solo il 13 % delle reali richieste aziendali passa attraverso internet, pubblicazioni, APL, centro per l'impiego, ecc...

- tutto il resto è sommerso e avviene attraverso il PASSAPAROLA.

A questo punto è indispensabile fare un lavoro mirato per costruire una rete di contatti utili per la ricerca (ATTIVA questa volta) di lavoro.
E' un dato di realtà, infatti, che la tendenza è quella di assumere personale di cui le aziende possano fidarsi, meglio se suggerito da qualcuno di fiducia. E questo riguarda sia le altre professionalità, sia quelle medio-basse.

Provi a pensare se Lei dovesse assumere qualcuno a casa Sua in qualità di colf: trattandosi di una persona di fiducia (banalmente per il fatto di lasciare le chiavi di casa), vorrebbe qualcuno suggerito da una persona di Sua fiducia (un conoscente del vicino di casa; la colf che lavorava da un parente, ecc...).

E' opportuno dunque portare avanti insieme le due strade:

- quella della ricerca "passiva" (che già sta facendo, tramite internet, candidature spontanee, ecc...)

- quella della ricerca attiva. partendo dalla rete di conoscenze. Se non ha questa rete di conoscenze è meglio crearla quanto prima. Cominci dalle persone attorno a Lei e faccia una lista: dove lavorano? Può lasciare loro un cv con preghiera di consegnarlo in azienda? Può organizzare un incontro dove presentarsi?

Inoltre, soprattutto gli uomini fanno fatica a dichiarare il proprio stato di disoccupazione perchè questo, spesso, coincide con altri significati. Pur comprendendo la difficoltà, questo è un errore, perchè diminuiscono le possibilità di trovare un lavoro. Quindi è necessario diffondere la voce per potersi promuovere in tal senso.

Può cercare in libreria delle guide sul self-marketing e su come fare la ricerca attiva del lavoro. Solo qualche anno fa c'era una guida veramente ben fatta del Il Sole 24 ore che spiegava, come un diario di bordo, quello che io ho sintetizzato qui.

Spero di esserLe stata utile e Le auguro di cuore di riuscire presto a cercare un lavoro gratificante.

Un cordiale saluto,
[#22]
dopo
Utente
Utente
Eccomi qua cari dottori. Dott.ssa Pileci la ringrazio davvero dei suoi consigli, inconsapevolmente stavo già adottando una "tattica" come quella che mi ha consigliato.
Le scrivo ora, e scrivo alla dott.ssa Massaro, al dott. Santonocito, alla dott.ssa Gomiero, perchè ci tengo a dirvi che finalmente ho trovato il mio posto nel mondo del lavoro. Non mi sembra ancora vero, ma sono reduce dalla firma di un contratto lavorativo presso un'azienda di un paese limitrofo al mio. Inutile dire che sono al settimo cielo, pieno di entusiamo per la nuova esperienza che mi attende, ma con i piedi ben saldi per terra conscio del fatto che ora dipende tutto da me. Il lavoro che ho trovato non ha attinenza con il mio percorso di studi, ma è molto meglio di quanto potessi aspettarmi.
Che dire, grazie di nuovo a voi per il supporto, io continuerò nel mio piccolo a battermi perchè i diritti dei giovani volenterosi vengano garantiti e spero che questa discussione possa in qualche modo giovare a qualcuno che stia attraversando un periodo infelice.

Cordialmente
[#23]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Benissimo, molti auguri per il suo lavoro nuovo di zecca, dunque.

Cordiali saluti
[#24]
Dr.ssa Verena Elisa Gomiero Psicologo, Psicoterapeuta 173 3
Che dire buon lavoro!
Cordiali saluti.
[#25]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Bene, mi fa molto piacere sapere che alla fine la situazione si è sbloccata.

Spero che riuscirà quanto prima anche a iniziare una vita autonoma dalla sua famiglia e costruire un futuro con la sua fidanzata.

Le faccio tanti auguri, se vuole ci faccia avere sue notizie!
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