Paura di vomitare dopo avvenimento traumatico legato ad una malattia

Gentilissimi medici,
mi rivolgo a voi per avere un parere riguardo un disturbo che mi affligge dal 2005. Spiego brevemente, e spero in modo esaustivo, il mio problema e le cause scatenanti. Nell'aprile del 2005, all'età di 14 anni, sono stata colpita da una malattia gastrointestinale, purtroppo non diagnosticata in tempo. Prima di arrivare alla diagnosi di Salmonella ho dovuto affrontare continui viaggi a vuoto tra ospedali e medico di base, e nel frattempo mangiare senza vomitare era diventato impossibile. Anche un solo sorso d'acqua non riusciva ad essere buttato giù, per non parlare del cibo. Mi veniva detto che si trattava di gastroenterite e che di li a poco, con l'aiuto di fermenti lattici e vari integratori alimentari, sarei guarita, ma purtroppo continuavo a stare male, ero sempre più debole, e vomitavo ogni giorno, fino ad aver perso circa 13-14 chili. Mia mamma arrivo' al punto di minacciare di denuncia i medici, nel caso in cui non mi avessero ricoverata per l'ennesima volta. Durante i 5 giorni di ricovero, durante i quali dovetti anche subire episodi di bullismo da parte di infermiere e medici stessi che non mi credevano anoressica dimostrando un'estrema mancanza di professionalità, non venne diagnosticata la Salmonella, ma mi venne dato il Motilium, e riuscii a mangiare qualcosa, per la mia grande gioia.

Dimessa, continuano i problemi, fino alla visita di un infettivologo, che mi dice avere contratto il virus della Salmonella; da qui ne consegue l'assunzione di un forte antibiotico e molto lentamente riconinciai a mangiare. Passa l'estate e un giorno di agosto mi fu detto di aver finalmente debellato il virus.

Inizio a settembre il primo anno di scuola superiore e cominciano i problemi: ogni mattina mi alzavo e cominciava questa forte paura di vomitare, seguita dal vomito di succhi gastrici, o del poco che riuscivo a mangiare, spesso alimenti il più insapore possibile. Tre anni di scuola, oni santa mattina la stessa paura, e vomito, fino a che riuscii a sconfiggerlo finalmente, grazie allo studio e alle mie amiche, nonostante dovessi convivere anche con la depressione di mia mamma scaturita dall'evento che mi ha coinvolto e un padre assente.

Nel 2011 mi trasferisco da mia nonna, in un'altra regione, con i miei genitori. Litigi e tensione erano all'ordine del giorno. Un giorno cominciai a sentirmi molto strana e, consapevole della malvagità della malattia mentale di mia mamma decisi di correre ai ripari rivolgendomi ad una psicologa, per paura di poter cadere anche io in depressione. Una grandissima mano da parte della psicoterapeuta, ma un giorno torna l'incubo, davanti a una pizza si manifesta nuovamente l'incubo. Mi assale la paura di vomitare e non riesco a mangiare. Scoppio in un pianto a dirotto.

Da allora fino ad oggi mi tormenta di nuovo, già da due anni e più. Sono migliorata, ma non riesco a liberarmene. Ho difficoltà a mangiare fuori con gente con cui non ho molta confidenza, non riesco ad andare a casa dei genitori del mio ragazzo perché mi agito (non c'è un buon rapporto e gli odori di casa loro mi danno fastidio), mi agito quando devo mangiare fuori e non conosco l'ambiente o c'è troppa gente. Sottolineo il fatto che sono tuttora in cura da una psicologa, ma mi sembra di non riuscire a liberarmene del tutto e ciò mi spaventa. Quando devo alzarmi presto al mattino è un problema e opto per saltare la colazione.

E' brutto vivere così e in più ho sempre il "peso" della malattia di mia mamma che forse mi indebolisce un po'. Non ho mai voluto assumere psico farmaci e non voglio prenderne neanche ora ne' in futuro. C'è un modo per neutralizzare questa mia ansia? Un modo per far scattare in me la leva per spegnere questa sofferenza?

Vi ringrazio infinitamente per il tempo che mi dedicherete.
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Psicologo attivo dal 2014 al 2018
Psicologo
Gentile Utente
La sua storia è carica di vissuti spiacevoli.
Dalle sue parole leggo che ha sviluppato un forte evitamento fobico, ossia una forte ansia e paura che le sembrano fuori controllo al solo pensiero di dover mangiare e di conseguenza vomitare.
Si crea in tal modo un circolo vizioso che i pensieri, negativi e l'ansia autoalimentano.
La sua situazione familiare non è serena e ciò le fa vivere nello stomaco emozioni di tensione, di paura.
Tutto ciò limita fortemente la sua vitalità, socialità e vita privata.
Non ho elementi sufficienti ma credo sia presente anche una forte ansia sociale che le fa evitare di mangiare in pubblico.
Il vomito, il voltastomaco possono essere letti anche come un desiderio di scaricare la mente da pensieri indigesti, da elementi che intossicano.
Alla fine la funzione fisiologica del vomito è proprio queste evitare che sostanze dannose vadano in circolo nell'organismo.
Finche non troverà una serenità in famiglia e non sarà aiutata a gestire l'ansia e la paura del vomito il circolo vizioso sarà sempre attivo.
Alla base del suo malessere superato il problema medico ci sono numerose somatizzazioni che vanno ascoltate, capite e trasformate in linfa vitale.
Magari provi a contattare uno psicoterapeuta esperto il gestione dell'ansia.

Cordialità.
[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile dottoressa,

è proprio così. Anche le volte che sono rilassata quando si avvicina il momento di mangiare in compagnia di altra gente che non siano i miei genitori o il mio ragazzo (anche se a volte mi capita anche con lui) comincio a pensare che possa vemirmi da vomitare. A differenza del primo periodo in cui ho sofferto di questo problema, da quando è tornato non ho più vomitato, ho imparato a mandare giù il "boccone amaro" e la mia ansia viene espressa andando di corpo, ovviamente non in modo normale ma con scariche. Non è piacevole ma mi fa meno paura del vomito. Una volta scaricata l'ansia sto meglio, come quando vomitavo. Quando invece riesco ad evitare anche di andare di corpo, cosa che ora succede frequentemente, la affronto facendomi forza e concentrandomi per mandare via l'ansia che mi affligge e ogni volta segno nella mia mente la mia vittoria, perché anche se è arrivata l'agitazione sono riuscita a gestirla.

Il mio dubbio è legato al fatto che dopo ben 3 anni di terapia psicologica non sono ancora riuscita a debellare questa fobia, forse perché non è stato intrapreso il giusto percorso. Mi chiedo quali siano le tecniche giuste per elaborare questo mio trauma, se è giusto parlare solo degli eventi che capitano nei giorni che intercorrono tra un colloquio e l'altro o se la mia dottoressa dovrebbe anche farmi elaborare gli avvenimenti che mi hanno portata a soffrire di ciò.

Ringrazio nuovamente per l'attenzione.
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