Coppia e vita sociale

Salve,
vorrei sottoporvi una problematica che ho con il mio ragazzo, con cui convivo da due anni. In questo arco di tempo la nostra vita sociale è stata assai ridotta, lui ha un carattere molto riservato e non si apre facilmente con gli altri. Io fino adesso ho accettato questa cosa, sperando che magari col tempo un poco si aprisse e la situazione migliorasse un po'. Ultimamente però è accaduto un fatto che mi ha fatto riflettere. Mia sorella si è laureata e lui non è venuto, dicendo che soffre di agorafobia e demofobia e che ha problemi a trovarsi negli spazi aperti e affollati (saremmo dovuti andare in centro città). Evidentemente a questo punto la cosa ha assunto un aspetto diverso, non si tratta più di carattere ma di una fobia. La riflessione che ho fatto è questa: se lui non trova il modo di superare questa cosa temo che per me sarà un grosso problema, perchè significa che lui non potrà mai condividere con me occasioni simili, dove in effetti la sua assenza mi è molto pesata. Lui dice che se voglio andare non mi costringe a restare a casa ovviamente, però questo significa che in definitiva, a parte che nei posti dove lui si sente a suo agio, non potremo mai andare insieme da nessuna parte, che sarà sempre un problema affrontare qualsiasi situazione. Neanche a me piace essere sempre in giro, per carità, però la situazione così davvero diventa estremamente limitante, perchè in occasioni come queste, che per me sarebbe naturale condividere con lui, diventa estremamente difficile farlo. Mi sento molto confusa e preoccupata, preoccupazione che è confermata da chi mi sta intorno. Con lui ho un bel rapporto e non vorrei perderlo, ma sinceramente apprendere questa situazione mi ha sconcertata, e intravvedo un futuro pieno di difficoltà se lui non riuscirà a superare questa cosa. Dal canto suo lui dice che non soffre di questa situazione, che alla fine anche se non viene sempre non è un dramma, però avere questo problema significa che anche lui è limitato, che anche quando vorrebbe fare una cosa non può, causando di conseguenza preoccupazione anche a me, che devo andare sola oppure rinunciare.
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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119 9
Gentile Ragazza,
che ne è stato di quanto ci riferiva in un consulto precedente riguardo all'idea da parte del suo ragazzo di rivolgersi a un nostro collega?

Ha cambiato parere? Cosa lo frenerebbe dal consultare un nostro collega?

Solo un intervento specialistico diretto può accompagnare il suo partner a far fronte ai propri disagi che coinvolgono anche lei e la coppia.

Gli ha espresso le sue preoccupazioni per lei e il vostro futuro insieme?

Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it

[#2]
dopo
Utente
Utente
In un primo momento ha preso in considerazione la cosa, però adesso lo vedo dubbioso e rimanda sempre.....è evidente che la cosa non parte da lui ma parte da me. Lui ha sempre vissuto da solo e quindi ha potuto agevolmente evitare le situazioni che lo spaventano, ma da quando ci sono io evidentemente ha dovuto spesso confrontarsi con esse, con i risultati che vi ho descritto.
In pratica se non ci fossi io lui non sentirebbe l'esigenza di risolvere il problema, e questo secondo me è il punto. Se lui non sente l'esigenza di risolvere la cosa, dovrei porlo di fronte alla scelta che o risolve il problema o io sarò costretta a chiudere? Non mi pare ci siano alternative. E verificare in questo modo a cosa tiene di più?
E' chiaro che essendo un problema reale e non immaginario, a mio parere dovrebbe risolverlo comunque, a prescindere a me, credo.
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Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 576 66
Gentile ragazza,
lui ha sempre fronteggiato il problema tramite l'evitamento; ma anche nascondendo agli altri il problema, lei compresa, che l'ha scoperto tardi.
Questa specifica difficoltà è piuttosto inabilitante per la vita quotidiana, infatti molte sono le situazioni in cui la nostra presenza è richiesta.

Se Lei ritiene di NON poter vivere una vita accettabile assieme ad una persona con questi problemi, è costretta a forzare un po' la situazione.

>>Se lui non sente l'esigenza di risolvere la cosa, dovrei porlo di fronte alla scelta che o risolve il problema o io sarò costretta a chiudere? <<

Se corrisponde alla Sua realtà interiore, direi proprio di sì.


Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119 9
Certamente la motivazione alla cura dovrebbe partire dal diretto interessato, altrimenti ogni tentativo si può rivelare infruttuoso.

<o risolve il problema o io sarò costretta a chiudere?>
Veda lei se se la sente di fare questo tentativo per scuoterlo, salvo poi essere coerenti...se la sente?
Certo che fino a che lei tollera e in qualche modo lo asseconda, ad esempio rinunciando alle occasioni o altro che non sappiamo , il problema non si risolve, anzi viene alimentato

Anche tentare di agganciarlo in un consulto ponendolo come un problema che appartiene alla vostra coppia e andare insieme dallo specialista potrebbe essere un'opportunità, sarà poi quest'ultimo a procedere nella maniera più opportuna.

E ancora, potrebbe chiedere un consulto specialistico diretto lei in prima persona per ricevere indicazioni su come agganciarlo.

Cordialità

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dopo
Utente
Utente
Salve,
ho nuovamente affrontato la questione con il mio ragazzo e con mio papà, che è intervenuto per chiarire un po' la situazione visto che le situazioni che hanno creato disagio al mio ragazzo sono state sempre associate alla mia famiglia di origine. In pratica il mio ragazzo dice che a causa della ripetitività degli inviti e della pretesa della mia famiglia di origine di esserci sempre e insieme, se no i miei facevano un dramma, lo ha portato ad esagerare un po' la sua situazione, nel timore che, se non tirava fuori un motivo inattaccabile, io non sarei stata mai capace di dire un no ai miei. In effetti ho poi riflettuto su questo periodo insieme e ho riscontrato che alcuni episodi sono in aperto contrasto con la sua affermazione di essere affetto da demofobia e agorafobia: l'anno scorso avevamo prenotato per andare 10 giorni a visitare una città e andare anche a vedere una partita allo stadio, iniziativa partita da lui e con entusiasmo anche, tanto che poi abbiamo dovuto annullare per motivi di lavoro miei e si è anche dispiaciuto......per dire. Lavora in un posto dove praticamente è sempre al bancone e deve continuamente relazionarsi con persone, con alcune delle quali è nata anche un'amicizia e con queste infatti ha piacere di vedersi anche fuori dal lavoro. Dice che dal momento che il suo lavoro è fatto di relazione, quando viene a casa vorrebbe stare tranquillo (con me), quindi va bene trovarsi con altre persone al di fuori del lavoro però non troppo spesso.
Ovviamente mio papà non concorda con questo, cioè questa cosa può anche andare nei confronti degli amici ma non può andare nei loro confronti, perchè loro sono i miei genitori, e lui deve avere rispetto, quando lo invitano lui deve essere contento che è invitato e avere piacere di stare in loro compagnia. Lui ripete che sia io che lui lavoriamo per cui alla fine lo spazio per stare insieme non è molto, se poi lo usiamo per vederci sempre con gli altri io e lui quando stiamo insieme? Poi di fondo il mio ragazzo sicuramente non è una persona socievole, se lo fosse stato magari sarebbe venuto ogni volta senza problemi, che fossero stati i miei o altri.
A mio papà lui ha detto che ha piacere di vederli ma non tutte le volte che vogliono loro, ma due o tre volte all'anno (stiamo a 15 km di distanza).
Ad ogni modo adesso i miei hanno preso la decisione che non ci invitano più, che quando vogliamo andare andiamo, se no ognuno per conto suo. E' anche chiaro che i miei adesso sono risentiti, e sarà molto difficile che si possa stabilire un rapporto positivo fra lui e loro. Io sicuramente fino adesso non ho mai detto un no convinto ai miei, e quelle volte che l'ho fatto per me è stato difficile, perchè sentivo sempre l'obbligo di andare. Forse però adesso la situazione che si è venuta a creare mi potrà effettivamente fare capire se il problema è solo il rapporto coi miei o è più generale.
Adesso sinceramente non sono in grado di dirlo. Che lui sia riservato e poco socievole è un conto. Che non si trovi particolarmente coi miei è un altro. Che abbia quelle patologie è un altro ancora. A questo punto credo non mi resti che stare a vedere come evolve il tutto.
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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119 9
Gentile Utente,
da ciò che specifica in questa sua successiva replica emergono elementi aggiuntivi che danno alla vostra situazione di coppia sfumature diverse da quanto ci aveva esposto in precedenza.

<In pratica il mio ragazzo dice che a causa della ripetitività degli inviti e della pretesa della mia famiglia di origine di esserci sempre e insieme, se no i miei facevano un dramma, lo ha portato ad esagerare un po' la sua situazione, nel timore che, se non tirava fuori un motivo inattaccabile, io non sarei stata mai capace di dire un no ai miei. >

Se le cose stanno in questo modo sarebbe indispensabile creare confini permeabili attorno alla vostra coppia, preservandola dalle pretese della sua famiglia.
La coppia ha bisogni dei propri spazi, probabilmente nella sua famiglia determinate dinamiche interattive (disfunzionali) di cui lei è partecipe attiva le impediscono di tracciare i confini corretti attorno alla vostra coppia. E ciò si riverbera sul benessere del rapporto naturalmente.

Che sia un problema personale del suo ragazzo (prima versione), che lo sia in parte o non lo sia, che sia un problema di staccare il cordone ombelicale dalla sua famiglia o quali possano essere i rispettivi pesi, occorrerebbe capirlo per cambiare ciò che non va e ritrovare miglior benessere nel rapporto e personale, da parte di entrambi.

Un caro saluto

[#7]
dopo
Utente
Utente
Ringrazio per la risposta. Ma quindi il fatto che io voglia condividere le occasioni di ritrovo con la mia famiglia di origine anche con lui è una questione di educazione? Per come sono stata educata per me è scontato che a certe occasioni si partecipi insieme, certo ammesso che non siano troppo numerose. Per lui invece non è così, ognuno è libero di muoversi come vuole.....Però se si sta insieme non si dovrebbe condividere? Perchè ogni volta deve essere un problema?
Credo che in fondo sia questo che non capisco, è vero che non per forza bisogna condividere tutto, ma ci sono delle cose che per me è importante condividere, sarà anche per una questione di educazione, però di fatto è così. Ora stando così le cose devo dedurre che le nostre rispettive posizioni siano inconciliabili? Per me è anomalo che in certe occasioni lui non ci sia, se non c'è alcun valido motivo per non esserci. Per lui invece è normale e non ci vede nulla di strano. Però se vede che a me dispiace che lui non ci sia perchè deve sempre farmelo pesare? Anche concordando poche volte? Secondo lui è giusto che i miei lo invitino, ma vuole sentirsi libero di venire quando vuole, a prescindere che io vada oppure no. Ma se ognuno alla fine si muove in modo indipendente si può dire veramente che si sta insieme? Per supportare questa sua posizione il mio ragazzo dice che, se dovesse nascere un rapporto di affetto e amicizia coi miei, e poi fra noi dovesse finire, il suo rapporto coi miei si chiuderebbe automaticamente. In passato mi è capitato di chiudere una storia di diversi anni e chiaramente i rapporti con le rispettive famiglie di origine si sono interrotti, anche se erano buoni. Ma questo può essere un motivo? E' chiaro che quando sono coinvolte le rispettive famiglie e ci si lascia è doloroso anche per le famiglie, però......è doloroso anche che mentre si sta insieme non ci debba essere alcun rapporto con le famiglie di origine a causa del timore che poi qualcosa può andare male. Ma allora questo riguarda anche la coppia, riguarda anche le amicizie, perchè se si ha sempre paura di essere delusi allora per evitarlo non si può che stare soli.
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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119 9
< Per come sono stata educata per me è scontato che a certe occasioni si partecipi insieme, certo ammesso che non siano troppo numerose. >

Il problema potrebbe stare nel fatto di come lei vive il rapporto con i suoi, certamente i legami con la famiglia di origine continuano anche quando si è adulti e autonomi, ma in modo maturo.

Certamente se diventa un dovere "timbrare il cartellino" e si deve obbligatoriamente condividere i giorni liberi con la famiglia pena la loro offesa e i nostri sensi di colpa, ci sarebbe qualcosa da rivedere a mio avviso.

<Per lui invece non è così, ognuno è libero di muoversi come vuole.....Però se si sta insieme non si dovrebbe condividere? >
Condividere e confrontarsi sui reciproci bisogni, aspettative, progetti, relazioni con la famiglia estesa, trovando accordi e soluzioni che soddisfino entrambi.

Ognuno poi nella coppia dovrebbe avere spazi anche per sé, nel rispetto reciproco, non chiudersi solo nella coppia o questa chiudersi al mondo esterno e alle frequentazioni sociali, limitandosi a quelle familiari.

Naturalmente detto a grandi linee.

Cordialità

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