Estraneazione dalla realtà irrefrenabile

Buongiorno.
Sono uno studente universitario.
Quando ero piccolo giocavo molto con la fantasia e l'immaginazione, come tutti.
ad esempio, immaginavo di trovarmi in luoghi diversi mentre compivo qualche impresa. e quindi mi muovevo, facevo versi e parlottavo facendo uscire dalla mia bocca qualche pezzo del complicato discorso intrattenuto con le figure immaginate. ovviamente sapevo bene di stare semplicemente giocando.

Alle elementeri e alle medie quando studiavo mi capitava spessissimo di distrarmi senza accorgermene. mentre studiavo ad un certo punto, un pensiero catturava la mia attenzione e da li mi partivano viaggi mentali simili a quando giocavo con la fantasia. cioè cominciavo a pensare e immaginare cose completamente assorto e capitava facessi versi o parlottavo o mi muovevo leggermente sulla sedia. ad esempio se immaginavo di parlare muovevo la testa e facevo le espressioni tipiche come quando si parla con una persona, quando immaginavo un esplosione facevo il verso e magari tremavo tutto.

il punto è che non mi accorgevo fino a quando non finivano.

ora ho un problema. da qualche mese mi capita mentre studio da solo in casa di avere dei viaggi simili. non faccio versi non mi muovo sto immobile ma ho queste storie fantastiche che irrompono nella mia testa prima ancora che riesca ad accorgermene. mi capita quando magari mi distraggo un attimo.

sinceramente ho un pò paura.
la mia disattenzione è semplicemente un vizio un difetto dato dalla mia pigrizia e dalla mia poca metodicità nello studio.
il problema è che questi viaggi che mi prendono sono lunghi (3,4,5 minuti) dove non ho nessun modo di tornare alla realtà se non quando finiscono o quando un rumore non mi riscuote.

che problema c'è nella mia testa?

ps: non mi drogo e non mi sono mai drogato.
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicologo, Psicoterapeuta 4.9k 86 75
Gent.le Ragazzo,
non c'è bisogno di scavare nell'infanzia o di patologizzare quella che è un'attività normalissima, la nostra attenzione può essere attratta dall'immaginazione e dalle rappresentazioni mentali che ne derivano a volte alimentate anche dalla fantasia.
Temo che il punto sia un altro ovvero lo scarso coinvolgimento verso la materia che stai studiando che sembrerebbe rendere lo studio meno produttivo e forse rischia di aumentare la tua demotivazione. Cosa ne pensi?

Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it

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Dr. Magda Muscarà Fregonese Psicologo, Psicoterapeuta 3.8k 149 11
Concordo con la Collega Camplone, mi auguro che ora stia preparando un esame non talmente interessante e che gli altri esami siano più motivanti..
Forse vede e sente la meta lontana da raggiungere , una cosa faticosa che sta là , in fondo al tunnel.. provi a studiare con qualcuno , un paio di volte alla settimana, spesso funziona, ognuno dà una mano all'altro , e si prenda dei tempi di recupero esca , per tornare più riposato e motivato ai suoi libri..
Non sappiamo niente di Lei, con chi vive ?, si sente incalzato, controllato ?Quanto più si sentirà responsabile, in primis del suo futuro , tanto meglio riuscirà a studiare..
Restiamo in ascolto..

MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it

[#3]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Salve, ci tenevo a lasciarle alcune mie suggestioni a seguito della lettura del suo racconto.

Ho trovato molto lucida e comunicativa la sua narrazione, ha in sé qualcosa di prezioso.
Il suo ricordare che fin dall'infanzia, cioè da sempre, si ritrova a "giocare con l'immaginazione" indica una sua caratteristica che potremmo dire tipica.

Dalle sue parole, sembra assorbire in un modo profondo la sua attenzione nel suo mondo interno, come se riuscisse a creare uno stato speciale di coscienza che, come lei stesso afferma, e in accordo con le colleghe, è una condizione di per sé naturale. Anzi è fondamentale per l'essere umano.

Nel suo racconto c'è un momento in cui mi sembra che per lei questa esperienza cominci a preoccuparla. Se nella prima infanzia le sembra un "gioco come lo è per tutti", successivamente succede qualcosa fino al punto che ci scrive.
Una prima domanda che mi porrei, se ho letto bene le sue parole, è capire come mai accade questo in lei oggi?

Un secondo aspetto importante sul quale mi soffermerei è quando dice: "Il punto è che non mi accorgevo fino a quando non finivano".
C'è una questione su cui riflettere in proposito, e certamente in queste sede abbiamo il limite di non poterla approfondire adeguatamente.

Provo a darle uno spunto di riflessione, su una questione che è particolarmente complessa.
Mi chiedo se il profondo assorbimento nel quale si trova non generi in lei un senso di paura o preoccupazione, per il fatto che sembra "irrompere" contro la sua volontà e non si sente padrone di questo gioco. Il titolo che ha scelto per il suo post mi sembra emblematico in proposito sia per il senso di estraneazione che vive sia per il suo carattere di irrefrenabilità.

Porrei allora l'attenzione, che lei mostra di avere nel suo racconto, sul senso qualitativo di questa irrefrenabilità, quasi fosse un bisogno o un invito primario del suo corpo.

La capacità immaginativa è importante perché, potrei dire, è un ponte per la fondazione della nostra autonomia e crea la nostra appartenenza unica al mondo. Nella sua esperienza, invece, lei sente un senso di estraneità del suo "gioco".

Allora, in via del tutto ipotetica, da una parte può capitare che l'esperienza immaginativa diventi sempre più incisiva finché lei non la sfrutti come qualcosa di autentico e non la spenda per la sua vita. Senza viverla esclusivamente dentro di sé. In altri termini è un'esperienza che preme per emergere. Ed è un processo opposto a quello dell'estraneità, è un processo di integrazione se emerge.

Dall'altra parte, e non so se è quello che sta sentendo, se il gioco resta separato dalla realtà, potrebbe diventare una sorta di fuga, cioè un modo per gratificarsi a causa di una realtà di cui non ci sentiamo parte.

Non ci conosciamo, prenda le mie come idee come suggestioni ipotetiche, e la invito a essere liberamente critico verso esse.
Diciamo che se il timore di cui ci parla è legato a un'esperienza che sente ingombrante e che resta sempre chiusa dentro di sé, questo è importante. E il suo racconto può essere un'occasione particolarmente creativa oggi per lei.

In questo caso diventa utile aprirsi alla propria storia, come sta mostrando di fare con lucidità e coscienza, e capire se ci sono dei vincoli che fin da piccolo non le hanno permesso di essere se stesso.

Un saluto,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it